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COVID-19: i dispositivi di protezione e l’appannamento degli occhiali

COVID-19: i dispositivi di protezione e l’appannamento degli occhiali

Autore:

Categoria: Coronavirus-Covid19

21/12/2020

In riferimento all’emergenza COVID-19 un contributo si sofferma sull’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie da contagio COVID-19 e sulle cause e rimedi all’appannamento degli occhiali. A cura di Michele Del Gaudio, ricercatore Inail.

 

Il fenomeno dell’appannamento degli occhiali durante l’uso di un dispositivo di protezione dal contagio da COVID-19, può costituire non solo una limitazione per la popolazione ma anche un problema per chi deve svolgere un lavoro predisponendolo ad errori.

 

A ricordarlo e ad analizzare il fenomeno fornendo anche utili suggerimenti è un contributo di Michele Del Gaudio (ricercatore Inail UOT CVR Avellino) che riceviamo e volentieri pubblichiamo integralmente anche perché, come il contributo conclude, “se utilizziamo i dispositivi in condizioni di massimo comfort, probabilmente, saremo in grado di resistere più a lungo senza toccarli o sganciarli proteggendo la nostra salute” durante l’emergenza COVID-19.

 

Premessa

Le maschere protettive

Discussione

Conclusioni


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Premessa

Quando si indossano le mascherine protettive necessaria per evitare il contagio da COVID-19, tutti coloro che utilizzano gli occhiali hanno il problema dell’appannamento delle lenti.

Questo fenomeno può impedire alle persone comuni di svolgere attività come condurre automezzi, utilizzare il cellulare, fare la spesa ecc. ma può essere ancor più invalidante per persone che svolgono una attività lavorativa critica come ad esempio l’assistenza medica. Il rischio è che qualcuno possa addirittura pensare di sganciare il dispositivo. Questo approfondimento vuole spiegare le cause di questo fenomeno mostrando i possibili correttivi.

 

Le maschere protettive

I recenti decreti hanno ribadito l’obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie che sono riconducibili prevalentemente a due tipologie: maschere chirurgiche e facciali filtranti. Le prime sono dispositivi medici e quindi limitano la diffusione del virus da parte di chi le utilizza mentre le seconde sono classificate come DPI e quindi proteggono dal contagio chi le indossa. Le maschere ad uso sociale autoprodotte o prive di certificazioni erano state previste da alcuni decreti Legge ma con il tempo il loro uso è stato scoraggiato, ad esempio nelle scuole e negli uffici, perché non potendo garantire l’uniformità delle caratteristiche non danno sufficienti garanzie sulla loro efficacia.

 

Tutti i dispositivi filtrano l’aria, espirata o inspirata, trattenendo in percentuale diversa le particelle capaci di trasmettere il virus, ma è parimenti importante che siano correttamente indossati dato che il flusso d’aria trova nel filtro una resistenza al passaggio e potrebbe quindi seguire, le vie alternative a minore resistenza lungo i bordi della maschera bypassando la filtrazione.

 

In seguito alla pandemia tutta la popolazione ha dovuto improvvisamente utilizzare dei dispositivi senza conoscerne appieno il funzionamento. Fino ad allora, solo il personale sanitario utilizzava le maschere di tipo chirurgico e solo poche categorie di lavoratori avevano confidenza con i facciali filtranti che abbiamo imparato a conoscere con le sigle FFP2 ed FFP3, che indicano la loro capacità di trattenere le particelle pericolose di tipo chimico o biologico. Ma in tutti i casi professionali era stata, però, fornita una adeguata formazione sul loro uso. Gli stessi canali di distribuzione dei dispositivi sono cambiati ed oggi è possibile acquistare al supermercato prodotti che prima della pandemia venivano forniti da ditte specializzate in grado di offrire anche un supporto informativo adeguato.

 

La massiccia pressione mediatica ha creato ancor più confusione, ed è quindi necessario ribadire alcuni concetti basilari. Il flusso d’aria coinvolto nella respirazione umana attraversa la bocca e il naso ma dato che questi ricevono attraverso i canali lacrimali il prodotto del lavaggio degli occhi anche questi ultimi sono da considerarsi in contatto.

Indossare correttamente un dispositivo significherà principalmente accertarsi che il flusso d’aria attraversi soprattutto il materiale filtrante anche se è inevitabile che una parte possa fuoriuscire lateralmente e la presenza della barba può essere una ulteriore criticità.  In questa fase di emergenza è inoltre sfuggita l’informazione che le maschere filtranti sono prodotte con taglie diverse e che quindi, potendo, bisognerebbe scegliere quelli con caratteristiche che meglio si adattano al nostro viso.

 

L’utilizzo generalizzato delle maschere chirurgiche è sufficientemente protettivo della popolazione, perché se nessuno emette particelle contagiose la probabilità di contagio si riduce notevolmente. L’utilizzo di facciali filtranti, invece, dovrebbe essere riservato a chi frequenta professionalmente luoghi in cui è presente concretamente il rischio di contagio, quindi luoghi di assistenza sanitaria o tutti quei luoghi ad alta frequentazione, come gli sportelli aperti al pubblico, i supermercati e tutti i mezzi pubblici. I facciali filtranti sono caratterizzati da una elevata resistenza al passaggio dell’aria e quindi possono essere poco confortevoli per le persone più anziane o per chi li deve utilizzare per molto tempo e per questo motivo esistono dei modelli dotati di valvola di una espirazione che permette di espellere l’aria in espirazione senza che questa incontri la resistenza del filtro riducendo l’affaticamento. Questa caratteristica può essere addirittura pericolosa se il soggetto che indossa il facciale filtrante è un portatore del contagio e frequenta luoghi affollati.

 

Discussione

Per comprendere perché l’uso dei dispositivi di protezione favorisce l’appannamento degli occhiali occorre richiamare alcuni concetti relativi all’umidità contenuta nell’aria. Oltre alle componenti chimiche prevalentemente rappresentate da azoto, ossigeno e anidride carbonica nell’aria c’è una certa quantità di acqua in forma di vapore che può essere trattenuta in quantità diversa a seconda della temperatura della massa d’aria. A parità di pressione, masse d’aria più calde hanno la capacità di trattenere una maggiore quantità di vapore acqueo, viceversa masse d’aria più fredde possono trattenere una minore quantità di vapore acqueo. Sperimentalmente è possibile verificare che se una massa d’aria calda viene gradualmente raffreddata ci sarà un momento (definito punto di rugiada) in cui una parte di vapore condenserà producendo acqua allo stato liquido, oppure che immettendo ulteriore vapore acqueo questo non riesca ad essere trattenuto allo stato di vapore.

Convenzionalmente le masse d’aria vengono caratterizzate dal valore di umidità relativa che esprime in percentuale quanta umidità è contenuta nella massa d’aria rispetto a quanta al massimo la massa d’aria potrebbe contenerne a quella temperatura. Una massa d’aria data la sua temperatura sarà quindi caratterizzata da un valore di umidità relativa (UR) variabile da 0 a 100 % dove il valore 100%, detto punto di saturazione, corrisponde alla situazione in cui essa trattiene la massima quantità di vapore acqueo.

 

La quantità d’umidità presente nell’aria è funzione delle condizioni atmosferiche e nei luoghi chiusi di eventuali trattamenti da parte di impianti e dell’affollamento. Una quota di vapore acqueo, infatti, viene immessa nell’ambiente attraverso la respirazione umana ed è quindi maggiore nei luoghi affollati.

 

Quando la massa d’aria viene a contatto con superfici fredde come pareti, vetrate, ecc si ottiene la condensazione del vapore acqueo. È tipica la comparsa di gocce d’acqua sulle finestre quando la temperatura esterna e inferiore a quella interna soprattutto quando all’interno l’umidità relativa è elevata come ad esempio quando c’è una evaporazione d’acqua proveniente dai cibi in cottura.

 

Durante la respirazione nell’aria che inspiriamo la quantità di vapore acqueo è quella presente nell’ambiente ma nell’aria espirata questo valore sarà maggiore e prossimo al valore di saturazione per la temperatura corporea. Possiamo utilizzare la formula 1 contenuta nello standard UNI EN ISO 7726 per calcolare la quantità di vapore acqueo, espresso in Chilopascal, che una massa d’aria riesce a trattenere data la sua temperatura ta.

 

(1)     pas = 0,611*EXP((17,27*ta)/(ta +237,3))

 

Calcolando la quantità di vapore d’acqua al punto di saturazione per la temperatura corporea di 37°C si otterrà un valore di circa 6 Kpa. Se la temperatura esterna è inferiore ci sarà una condensazione dell’aria visibile con la tipica scia che fuoriesce dalla bocca o con le sottili goccioline che si depositano sulle superfici più fredde.

 

 

In un tipico caso invernale se i nostri occhiali si adattano alla temperatura di circa 10 °C si ha condensazione dell’80% dell’umidità emessa col respiro, mentre se gli occhiali hanno una temperatura di circa 20 °C si ha la condensazione di circa il 50% dell’umidità emessa col respiro. Peraltro questo fenomeno si verifica normalmente quando entriamo in un ambiente più caldo ma in questo caso si interrompe quando la temperatura delle lente eguaglia quella dell’ambiente.

 

Molte sperimentazioni, hanno evidenziato che è possibile evitare il fenomeno dell’appannamento mettendo in atto degli accorgimenti pratici.

Principalmente occorre scegliere il dispositivo che meglio si adatta al nostro viso ed indossarlo correttamente stringendo in particolare la linguetta rigida posta al disopra del naso. Se il dispositivo si è adattato bene al nostro viso dovremmo notare una minima deformazione del tessuto durante gli atti respiratori. Se possibile gli occhiali dovrebbero essere posizionati sul naso oltre il bordo della maschera ma questa soluzione potrebbe creare dei problemi soprattutto a chi utilizza lenti progressive.

 

Il metodo che evita sicuramente l’inconveniente dell’appannamento degli occhiali consiste nel sigillare il bordo superiore del dispositivo posizionando del nastro biadesivo tra la pelle ed il dispositivo oppure applicare del cerotto sul bordo superiore. In questo modo l’aria non potrà fuoriuscire e raggiungere le lenti.

 

 

Esistono inoltre altri accorgimenti tra cui lavare le lenti con acqua e sapone per rendere difficile l’adesione delle gocce di acqua condensata sulle lenti oppure respirare sporgendo il labbro superiore per indirizzare il flusso d’aria verso il basso ma il risultato non è sempre soddisfacente perché in entrambi casi gli effetti possono perdere d’efficacia col tempo.

 

Conclusioni

Il fenomeno per cui gli occhiali possono appannarsi durante l’uso di un dispositivo di protezione dal contagio da COVID-19, può costituire una limitazione per la popolazione ma soprattutto per chi deve svolgere un lavoro predisponendolo ad errori. Il fenomeno si verifica soprattutto nelle stagioni più fredde in cui è maggiore la differenza di temperatura tra l’aria espirata dalla bocca e dal naso e la temperatura esterna, o anche in ambienti climatizzati con una regolazione non ottimale dell’umidità dell’aria. Questo effetto è causato dal fenomeno della condensazione sulle lenti del vapore contenuto nell’aria espirata che fuoriesce dal bordo superiore del dispositivo.

 

Dopo un primo momento di crisi è aumentata la disponibilità sul mercato dei dispositivi e quindi ora, dovrebbe essere possibile scegliere i modelli che per forma e taglie meglio si adattano al nostro viso.

La scelta dei dispositivi più appropriati contribuisce a migliorare l’efficienza indirizzando il flusso d’aria il più possibile nella sezione filtrante e riducendo le perdite di tenuta. E’ inoltre auspicabile che tutti coloro che in questo periodo si occupano a vario titolo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie contribuiscano a formare opportunamente gli utilizzatori finali ed in primis i produttori, che pur già obbligati per legge a fornire istruzioni per il corretto uso, potrebbero integrare le istruzioni tenendo conto che in questo periodo i loro prodotti vengono utilizzati anche da persone comuni, che non hanno una cultura tecnica, e potrebbero utilizzare impropriamente i dispositivi.

La maggiore criticità si riscontra nei nuovi canali di distribuzione di questi prodotti perché se per i dispositivi di protezione utilizzati prima dalla pandemia solo dai lavoratori è sempre garantita una formazione da parte di figure esperte come RSPP, ASPP, preposti ecc., la distribuzione generalizzata dei dispositivi attraverso la grande distribuzione, l’e-commerce e gli altri canali non convenzionali ha di fatto cancellato la fase propedeutica di formazione. La tempesta mediatica sull’uso dei dispositivi ha in qualche caso ingenerato ulteriore confusione perché anche persone inesperte si sono sentite autorizzate a occuparsi di questo argomento. È importante ribadire che restano fonti affidabili le istruzioni fornite dai produttori che si rifanno alla normativa tecnica ed altre fonti ufficiali che per l’Italia sono principalmente l’Inail, l’Istituto Superiore di Sanità, ed il Ministero della Salute.

 

Vale la pena di ribadire che i dispositivi di protezione dovrebbero essere manipolati il meno possibile e sempre dopo aver igienizzato le mani per evitare di inquinare la loro superfice o rimuovere le particelle trattenute. L’ideale sarebbe toccare solo gli elastici e non le superfici filtranti. Ogni dispositivo dovrebbe essere utilizzato per un tempo limitato normalmente 4 ore per le chirurgiche e 8 ore per i facciali filtranti sostituendole più frequentemente se dovessero danneggiarsi, inumidirsi con saliva ed altri liquidi o in tutti quei casi abbiamo frequentato luoghi ad alto rischio (ospedali, studi medici, luoghi pubblici affollati ecc.).

Attenzione al loro smaltimento, bisognerebbe evitare di lasciarli su superfici con cui poi possiamo venire a contatto tenendo sempre presente che se hanno fatto bene il loro lavoro sulla loro superficie potrebbero essere depositate le particelle capaci di contagiare.

 

Se utilizziamo i dispositivi in condizioni di massimo comfort, probabilmente, saremo in grado di resistere più a lungo senza toccarli o sganciarli proteggendo la nostra salute.

 

 

Michele del Gaudio

Ricercatore INAIL UOT CVR Avellino

 

 

 

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Rispondi Autore: Margherita Gabriella De Biasi - likes: 0
21/12/2020 (14:01:33)
Articolo molto utile ed interessante. Lascio un commento per segnalare che abito a Napoli ed ho il viso molto piccolo. Per le mascherine chirurgiche ho risolto con la mascherina chirurgica per bambini Per le ffp2 invece è un problema perché nelle farmacie e parafarmacie non si vendono le diverse taglie. Essendo zona arancione siamo obbligati a fare le sedute sedute di laurea in presenza. Ed è un grosso problema ! Grazie mille se vi adopererete per risolvere questo problema che non è solo mio.
Rispondi Autore: Alberto - likes: 0
22/12/2020 (08:10:43)
Non sarebbe più semplice spruzzare un antiappannante sulle lenti?
Autore: Michele del Gaudio
22/12/2020 (13:19:56)
Buongiorno
Si l'uso di un antiappannante può essere una delle soluzioni. Sono disponibili molti prodotti a composizioni diverse e non le so dire se tutti non hanno controindicazioni per il soggetto e per le lenti, oltre ad avere un ulteriore costo. Il lavaggio con sapone funziona in modo simile ad alcuni di questi prodotti. Nell'articolo si spiega il fenomeno e soprattutto si richiama l'uso corretto dei Dispositivi.
Grazie per il commento.
Rispondi Autore: dott.Marco Monari - likes: 0
26/12/2020 (12:16:44)
Grazie per questo interessante articolo ma di scarsissima utilità.
Rispondi Autore: inge - likes: 0
02/01/2021 (10:39:59)
Anche se ero arrivata a grandi linee alle conclusioni dell'articolo, ho letto co interesse e piacere lo scritto che avvalora, ma con più particolari, la tesi a cui con la pratica, ero pervenuta!
Rispondi Autore: FERRANDINO GIANCARLO - likes: 0
11/01/2021 (22:18:32)
GRAZIE DOTTORE PER IL SUO STUDIO E COMMENTI.

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