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Come trasformare le città per garantire benessere e salute

Come trasformare le città per garantire benessere e salute
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Coronavirus-Covid19

13/04/2021

Quale modello di sviluppo delle aree urbane per rispondere alla crisi pandemica e alla sempre più pressante emergenza climatica?

È sempre più evidente come le città e le loro amministrazioni, nell'ultimo anno, abbiano giocato un ruolo chiave per rispondere all'emergenza sanitaria e a tutti quei bisogni, nuovi o rinnovati, che ne sono conseguiti, dal sostegno economico e sociale, agli interventi per la sicurezza, al ridisegno dei trasporti locali.

 

Se le nostre abitudini e i nostri modi di vivere e di utilizzare gli spazi urbani si sono trasformati in conseguenza alla pandemia, allo stesso tempo sono cambiate le modalità di amministrare la città, con una spinta ad esempio alle reti di solidarietà e ai processi di digitalizzazione, utili per garantire continuità ai servizi ai cittadini, comunicazione e condivisione dei processi. Secondo quanto emerge dal  Libro Bianco delle Responsive Cities 2020, infatti, le principali leve che hanno consentito la continuità dell’attività amministrativa sono state proprio le reti di collaborazione e il digitale: per quanto riguarda quest'ultimo aspetto, i limiti alla mobilità e ai contatti fisici hanno senz'altro consentito di vincere molte resistenze, non solo nell’attuazione di forme di smart working, ma anche nell’implementazione dell’accesso on line ai servizi e nell’utilizzo di modalità di comunicazione bilaterale. Anche l'annuale  ricerca ICity Rank ha osservato una generale accelerazione del percorso di trasformazione digitale delle città italiane in diversi ambiti, dall'accessibilità on line dei servizi pubblici, all'utilizzo di social media, passando per le app di pubblica utilità e le piattaforme digitali abilitanti.

 

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Il disegno delle città

In questo processo di cambiamento, lo stesso disegno delle città è quindi andato trasformandosi, si pensi ad esempio all'occupazione del suolo pubblico da parte delle attività commerciali o le modifiche al trasporto pubblico o ancora il ricorso improvviso e in maniera diffusa allo smart working e le limitazioni alla mobilità urbana, che hanno reso il tempo e la prossimità due elementi fondamentali per la destinazione e la distribuzione dei servizi.

 

Il modello a cui diverse città italiane hanno guardato con interesse è infatti quello della “città dei 15 minuti” che intende mettere al centro

  • il cittadino e i suoi bisogni,
  • la vicinanza ai servizi fondamentali,
  • il tempo, che va “liberato” dai vincoli degli spostamenti quotidiani casa-lavoro e del traffico; un tempo che va restituito anche alle relazioni, alle amicizie, agli affetti, alla creatività.

 

Nel modello proposto dal Dipartimento di Innovazione territoriale dell’Università La Sorbona di Parigi e adottato dal sindaco di Parigi lo scopo è che ogni cittadino possa svolgere, alla distanza di un quarto d’ora dalla propria abitazione, 6 funzioni sociali urbane fondamentali: vivere, lavorare, rifornirsi/acquistare beni, curarsi, apprendere, godere del proprio tempo libero.

 

La città dei 15 minuti prevede quindi la diffusione di servizi di prossimità, in un contesto non più di segmentazione e specializzazione ma di integrazione (città policentrica), nonché l'incentivazione della micro-mobilità leggera per muoversi e raggiungere le destinazioni.

 

Alla base naturalmente di questo modello, nato in periodo ante-Covid, vi è la necessità di trasformare e rendere più sostenibile il modo in cui i cittadini vivono l'ambiente urbano; è un paradigma che richiede quindi prima di tutto un cambiamento individuale, a partire dalle scelte di mobilità, e non solo.

 

Anche ANCI, nel suo  documento sulle linee guida per il Recovery Fund presentato al Governo, ha individuato alcune azioni chiave attraverso cui ripensare e progettare le città, tra cui proprio un servizio di trasporto pubblico integrato con un sistema articolato di servizi a domanda di micro-mobilità e un piano di rigenerazione urbana che preveda appunto il recupero di spazi dismessi e di periferie e l'attivazione di servizi di prossimità.

 

Si tratta di trovare, creare, riadattare spazi che ridiano tempo alle persone e portino loro beneficio, spazi che garantiscano anche ai cittadini la condivisione e la socialità, elementi della cui privazione abbiamo sofferto in questo ultimo anno. In questa direzione vanno i progetti di alcune amministrazioni locali che hanno dato impulso al ripensamento di spazi per garantire il diritto alla mobilità, alla salute e alla socializzazione dei cittadini, come ad esempio il progetto  Bari Open Space o  Piazze aperte di Milano.

 

Un altro punto su cui ANCI punta nel suo documento è quello delle infrastrutture verdi, essenziali per un futuro più resiliente delle città; le alberature stradali, i sistemi di pareti e coperture verdi degli edifici, i giardini pubblici, i parchi forniscono infatti una molteplicità di servizi ecosistemici: contribuiscono al miglioramento della qualità dell’aria e alla riduzione dell’inquinamento, alla regolazione del microclima locale e alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, alla tutela delle acque e al controllo dei deflussi superficiali, alla salvaguardia della biodiversità dell’ambiente urbano, migliorano il paesaggio urbano e contribuiscono al benessere e alla tutela della salute dei cittadini. Non per altro le  infrastrutture verdi sono state inserite tra i 7 obiettivi strategici della rigenerazione urbana secondo il modello delle green city.

 

Su queste tematiche si è concentrata anche l’attenzione dei più importanti studi di architettura e design nazionali e internazionali che hanno predisposto un  documento programmatico per la ripartenza post Covid, puntando ad esempio su

  • riprogettazione del ciclo di vita degli edifici e degli spazi urbani, considerando la scelta di materiali nel rispetto dell’ambiente, in relazione anche ad un loro possibile riuso,
  • riconversione di edifici, ad esempio complessi turistico-alberghieri inutilizzati trasformati in spazi di vita, o di co-living a tema, rivolti a uno specifico segmento di utenza,
  • fruibilità degli spazi aperti per offrire benessere ai cittadini, rendendo le abitazioni “ecosistemi aperti”,
  • economia circolare, incentivando approvvigionamenti di sostanze e materiali ecocompatibili o completamente riciclabili, insieme alle buone pratiche di smaltimento,
  • integrazione tra e-commerce e negozi fisici,
  • mobilità sostenibile, con il passaggio a veicoli con motore elettrico, il potenziamento della micromobilità e la riduzione degli spostamenti legata alla connettività digitale.

 

Non sappiamo se e quanto dopo questa emergenza torneranno ad accorciarsi le distanze tra noi cittadini, se faranno ritorno le nostre vecchie abitudini di incontro, siamo però consapevoli che questa occasione di “ripensare la città” non può essere persa. Questo è quanto più importante se si pensa che ormai il 60% della popolazione mondiale vive in città.

 

La crisi ha sconvolto le nostre abitudini, ma sicuramente ci ha fornito un'occasione importante di riflessione, cambiare il nostro modo di vivere e organizzare le città in modo ecosostenibile farà la differenza per garantirci un futuro migliore.

 

Maddalena Bavazzano

 

Fonte: ARPAT




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