La presenza in cantiere del Coordinatore per l’Esecuzione
Quando e quanto il Coordinatore per l’Esecuzione deve essere presente in cantiere?
Per rispondere a questa domanda occorre partire dal seguente presupposto: il CSE esercita un’“alta vigilanza” che non va confusa con la stretta vigilanza sull’attività lavorativa che deve essere esercitata dal datore di lavoro appaltatore sull’attività dei propri lavoratori.
Come ribadito ancora una volta da una sentenza del mese scorso, infatti, “la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l’esecuzione dei lavori non può avere valore assorbente sulle responsabilità del titolare dell’impresa appaltatrice, atteso che essa ha ad oggetto esclusivamente il rischio c.d. generico, relativo alle fonti di pericolo riconducibili all’ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese; mentre il coordinatore non risponde degli eventi riconducibili al c.d. rischio specifico, proprio dell’attività dell’impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo” (Cassazione Penale, Sez.IV, 5 aprile 2018 n.15191).
In particolare, “la funzione di alta vigilanza, che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto” (Cassazione Penale, Sez.III, 27 aprile 2017 n.19970).
Dunque “il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ex art.92 D.Lgs.9 aprile 2008, n.81 […] svolge compiti di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale” mentre “non è invece tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, controllo questo demandato ad altre figure operative, quali datore di lavoro, dirigente e preposto” (Cassazione Penale, Sez. IV, 19 maggio 2017 n.24924).
Questo è il punto di partenza ineludibile da cui parte la Cassazione quando si pronuncia sui criteri che regolano la necessità della presenza in cantiere del CSE e afferma il seguente principio di diritto: “il coordinatore per l’esecuzione identifica momenti topici delle lavorazioni e predispone attività che assicurino rispetto ad esse l’attuazione dei piani ‘attraverso la mediazione dei datori esecutori’. Certo non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità significativa e non burocratica (cioè dettate dalle necessità che risultino idonee allo scopo e non routinarie).
Parallelamente, l’accertamento giudiziale non dovrà ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce di azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale.” (Cassazione Penale, Sez.VII, 19 maggio 2017 n.25212).
Facciamo un paio di esempi che ci permettano di comprendere meglio come vengono applicati i criteri che regolano la necessità della presenza del CSE in cantiere.
1) CSE non a conoscenza dell’uso del muletto in quanto assente dal cantiere per almeno 20 giorni dopo la redazione del PSC e poco dopo l’inizio dei lavori (Cassazione Penale, Sez.III, 27 aprile 2017 n.19970)
In questo caso, “l’uso del muletto (a bordo del quale il figlio del legale rappresentante della s.r.l. S. aveva avuto un grave incidente ribaltandosi nel fossato) non era stato estemporaneo, bensì necessario fin dall’inizio dell’attività di cantiere, che […] era stato aperto da circa un mese.”
Infatti “il sinistro si è verificato il 20 luglio e il muletto era stato preso a noleggio il 2 luglio, tanto da ammettersi che il suo utilizzo era ammesso fin dalle prime fasi di lavoro e che l’imputato doveva essersi reso conto della sua presenza, ove si fosse recato in cantiere per la verifica dell’andamento dei lavori”.
Secondo la Corte, “al di là quindi della formale redazione del PSC, vi sarebbe stato tutto il tempo, nell’ipotesi in cui fossero intervenuti i doverosi controlli, per rimediare all’anomalo andamento del cantiere.”
Ma “vero è, al contrario, che dal momento dell’apertura del cantiere l’odierno ricorrente non era più stato ivi presente, o quantomeno egli non si era fatto vedere per almeno tre settimane, ossia dal 2 luglio, data di presa a noleggio del muletto, al 20 luglio, data del grave incidente e momento nel quale l’imputato aveva preso contezza dell’uso del muletto. Tutto ciò era quindi avvenuto poco tempo dopo l’inizio dei lavori di cantiere, in un momento nel quale ben maggiore avrebbe dovuto essere l’attività di vigilanza, di verifica, anche eventualmente di sanzione.”
Quanto alle conseguenze di tale assenza dal cantiere rispetto alla coerenza tra POS e PSC, la sentenza specifica che “in ordine al carico e allo scarico dei materiali, non vi era piena coerenza circa i mezzi da utilizzare […], tanto più che l’uso del muletto non era previsto benché fosse divenuto ben presto elemento essenziale nell’attività di cantiere; oltre a ciò, l’imputato - a prescindere da ogni ipotesi circa le eventuali condotte che avrebbero potuto porre in essere i rappresentanti della società che stava eseguendo i lavori, al fine di celare anche al professionista l’uso del mezzo non previsto - certamente non si è recato in cantiere quantomeno per venti giorni, e proprio nella fase iniziale del cantiere. Sì che ogni eventuale attività di riconciliazione tra PSC e POS era per ciò solo impossibile.”
Sulla base “della stessa successione degli eventi che dà conto di una prolungata assenza dal cantiere dopo la redazione del PSC (formalmente completa, ma in sostanza non pienamente aderente alla concretezza operativa, come si evince anche dall’affermata, ma non riscontrata, presenza di una macchina atta allo scarico ed allo stoccaggio), non può essere negata la responsabilità dell’imputato”.
2) Il rischio di caduta dall’alto quale momento che “non può non essere considerato “topico” rispetto alla funzione di controllo” del CSE, trattandosi di lavorazioni che “richiedono assolutamente la presenza del coordinatore per l’esecuzione” e alla luce del potere-dovere del CSE di sospendere i lavori (Cassazione Penale, Sez.VII, 19 maggio 2017 n.25212)
In questo caso, l’imputato CSP e CSE aveva ricevuto un verbale di prescrizione in sede di visita ispettiva presso un cantiere, in quanto l’organo di vigilanza aveva rilevato “violazioni di carattere formale e sostanziale tali da determinare l’immediata sospensione dei lavori (mancanza di parapetti con tavola fermapiede in più parti del solaio e nella scale laterali; presenza nel solaio di tre aperture non circondate da difesa di copertura e parapetto; mancanza del PIMUS tra la documentazione della sicurezza)”.
Con tale verbale era stato ingiunto al CSE di sospendere i lavori fino ad una verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dall’impresa.
Una volta adempiuto quanto prescritto dal verbale, l’imputato non aveva eseguito il pagamento previsto dal D.Lgs.758/94 bensì aveva depositato una memoria difensiva con cui sosteneva “di non aver disposto la sospensione dei lavori non avendo riscontrato direttamente un pericolo grave ed immediato nel corso del suo ultimo accesso in cantiere […], aggiungendo che sia per motivi economici riguardanti l’impresa che per ragioni familiari egli non aveva più potuto frequentare il cantiere, seppure non comunicando la sua impossibilità a recarvisi”.
Il Giudice aveva condannato l’imputato “in base al rilievo che alla data [dell’ultimo accesso in cantiere], considerato anche lo stato in cui si trovavano le opere venti giorni dopo, data del sopralluogo ispettivo, dovevano essere visivamente riscontrabili tutte le violazioni rilevate dall’organo accertatore, e in ogni caso la mancanza del PIMUS, donde il dovere del reo, nella qualità di coordinatore per l’esecuzione dei lavori, di dare atto della situazione accertata e di sospendere immediatamente i lavori.”
La Cassazione conferma la condanna, ricordando che “è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre ai compiti che gli sono affidati [dall’art.92 T.U.], ha una autonoma funzione di alta vigilanza circa la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, ma non è tenuto anche ad un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto), salvo l’obbligo, previsto dall’art.92, lett.f), del D.Lgs.81/08, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate (v., da ultimo: Sez.IV, n.27165 del 24/05/2016 - dep. 04/07/2016).”
E in particolare “il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni.”
Pertanto, secondo la Cassazione, l’attività di verifica richiesta al CSE “non può significare presenza quotidiana nel cantiere ma, appunto, presenza nei momenti delle lavorazioni topici rispetto alla funzione di controllo.”
E la sentenza specifica che “l’alta vigilanza della quale fa menzione la giurisprudenza di questa Corte, lungi dal poter essere interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia indica piuttosto il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici. Mentre le figure operative sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il coordinatore opera attraverso procedure; tanto è vero che un potere-dovere di intervento diretto lo ha solo quando constati direttamente gravi pericoli (art. 92, co.1 lett.f) dlgs. n.81/2008).”
In tale quadro, “l’obbligo di cui alla lettera f) è particolarmente importante, perché è norma di chiusura che, eccezionalmente, individua la posizione di garanzia del CSE nel potere-dovere di intervenire direttamente sulle singole lavorazioni pericolose, e che implica anche la necessità legale di frequentare il cantiere con una periodicità compatibile con la possibilità di rilevare le eventuali lavorazioni pericolose.”
Mentre “per il resto, il coordinatore per l’esecuzione, identifica momenti topici delle lavorazioni e predispone attività che assicurino rispetto ad esse l’attuazione dei piani ‘attraverso la mediazione dei datori esecutori’. Certo non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità significativa e non burocratica (cioè dettate dalle necessità che risultino idonee allo scopo e non routinarie).
Parallelamente, l’accertamento giudiziale non dovrà ricercare i segni di una presenza diuturna, ma le tracce di azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e la loro adeguatezza sostanziale.”
La Cassazione conclude affermando che “non può non essere considerato “topico” rispetto alla funzione di controllo il momento in cui in cantiere vengono svolte lavorazioni che comportano il rischio di caduta dall’alto, lavorazioni che per la loro intrinseca pericolosità richiedono assolutamente la presenza del coordinatore per l’esecuzione legittimato, proprio in virtù della predetta lett.f), ad esercitare un potere-dovere di intervento diretto, che può e deve spingersi sino al punto di sospendere i lavori.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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