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Storie di infortunio: una storia di ordinaria schiavitù
Il Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte (Dors) raccoglie storie d'infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione. In questa storia, dal titolo “Io sono Cheng: una storia di infortunio di ordinaria schiavitù” (a cura di Marcello Libener, Servizio Pre.S.A.L. della Asl AL), durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra riportando un’invalidità permanente del 46%.
Io sono Cheng: una storia di infortunio di ordinaria schiavitù
a cura di Giovanni Polliotti e Giorgio Ruffinatto, Servizio Pre.S.A.L. della Asl TO3
Che cosa è successo
Durante i lavori per la realizzazione di cubetti in pietra, un operaio ha subito una ferita da schiacciamento alla mano destra riportando un’invalidità permanente del 46%.
Chi è stato coinvolto
Cheng è un operaio cinquantenne di origine cinese che vive in Italia da cinque anni. Da quando è emigrato ha sempre lavorato presso un piccolo laboratorio della pietra come addetto al taglio.
Conosce pochissime parole di Italiano, ma il lavoro che svolge, di tipo manuale e perlopiù individuale, non prevede grossi scambi con colleghi e superiori e non necessita quindi di un vocabolario molto articolato. Inoltre, il rumore assordante e la diversa provenienza dei lavoratori (Marocco e Cina) complicano ulteriormente la comunicazione durante le ore di lavoro.
Dove e quando
L’infortunio è avvenuto in provincia di Torino, nell’autunno del 2008, in un piccolo laboratorio di lavorazione della pietra.
Come
La denuncia di infortunio pervenuta allo SPreSAL riportava una dinamica di accadimento non molto chiara:
“Mentre tranciava una pietra inavvertitamente si feriva alla mano…”
Nel corso di un primo sopralluogo in azienda, il datore di lavoro della ditta aveva riferito che l’evento era avvenuto in un piazzale dello stabilimento, dove operano gli scalpelliniche preparano i blocchi di pietra per il successivo trancio, in un’area priva di macchinari.
Dai primi accertamenti pareva quindi che l’infortunio fosse avvenuto per pura accidentalità: il lavoratore che si era dato una martellata sulle mani…
Non è stato facile mettersi in contatto con Cheng, trasferitosi nel frattempo in un’altra provincia, ma quando si è potuto sentire la versione dell’infortunato e dei suoi colleghi, si è riusciti ricostruire la vera dinamica dell’infortunio.
Il laboratorio in cui è avvenuto l’infortunio svolge attività di lavorazione della pietra. In particolare la lavorazione parte da blocchi in pietra naturale, da cui vengono prodotte lastre, cordoli, cubetti o quanto richiesto dal cliente. La creazione dei cubetti avviene mediante presse tranciatrici, dette anche “cubettatrici”, macchine dotate di due lame semoventi che spezzano i blocchi di pietra in elementi di più piccole dimensioni [1]
Cheng, operaio addetto ad una pressa cubettatrice, il giorno dell’infortunio, come d’abitudine, stava procedendo alla realizzazione dei cubetti mediante una vecchia tranciatrice, quando ha subito una ferita alla mano destra per schiacciamento fra un blocchetto in pietra e la lama superiore della macchina. L’infortunato è stato portato al Pronto Soccorso, quindi trasportato al CTO di Torino, dove è stato sottoposto a ripetuti interventi chirurgici alla mano. In seguito all’infortunio, Cheng ha recuperato solo in parte l’utilizzo della mano.
“Quando mi sono fatto male, i miei colleghi cinesi sono venuti ad aiutarmi. L’altro mio collega arabo ha telefonato al capo. Dopo circa due ore, il mio capo è arrivato e mi ha portato in ospedale a Pinerolo.
Adesso non riesco più a muovere la mano e il polso lo muovo poco perché mi fa ancora male”.
Perché
L’infortunio di Cheng è potuto accadere in quanto la macchina tranciatrice al momento dell’infortunio non garantiva un sufficiente grado di sicurezza: la lama superiore, attivata dal comando a pedale, scendeva sul banco di lavoro anche senza il consenso delle fotocellule che intercettano la presenza delle mani dell’operatore (dotate di guanti con catarifrangenti) nell’area di sicurezza.
Il malfunzionamento del sistema di sicurezza, che evita lo schiacciamento delle mani da parte degli elementi mobili della macchina, potrebbe essere stato determinato dai seguenti motivi:
- mancanza o insufficienza di interventi di controllo periodici o straordinari, secondo frequenze stabilite in base alle indicazioni fornite dal fabbricante, necessarie a verificare le buone condizioni di sicurezza della macchina;
- mancata o insufficiente manutenzione sulla macchina tranciatrice volta a garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza previsti dal costruttore; in azienda non era presente il libretto d’uso e manutenzione della macchina e non vi era alcun registro comprovante gli interventi di controllo e di manutenzione sulle macchine;
- eventuale manomissione del sistema di sicurezza costituito da fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente, che potrebbe determinare la possibilità di operare senza l’utilizzo dei guanti dotati di catarifrangente.
In sintesi, l’azienda ha evidentemente privilegiato la velocità del lavoro a scapito della sicurezza; a tal proposito, Cheng ha riferito che:
“A volte, senza schiacciare il pedale, le lame si muovevano. Quando mi sono fatto male io non ho schiacciato il pedale, ma la lama è scesa...
Avevo i guanti, ma senza il catarifrangente. Sulla mia macchina le fotocellule non funzionavano. Non hanno mai funzionato. Io usavo dei guanti senza catarifrangente...
Avevo detto più volte al mio capo che la macchina non funzionava bene: la macchina qualche volta era stata aggiustata, ma le fotocellule non hanno mai funzionato”.
È stato inoltre sentito Lorenzo, un tecnico manutentore intervenuto subito dopo l’infortunio:
“Abbiamo verificato che a volte i coltelli, azionando il comando a pedale, scendevano anche senza posizionare i guanti con catarifrangente al di sotto delle fotocellule”.
Cosa si è appreso dall’inchiesta
La macchina su cui è avvenuto l’infortunio presentava le seguenti situazioni di rischio:
- il dispositivo di protezione della macchina, costituito da fotocellule (protezioni opto-elettroniche attive) e guanti dotati di banda catarifrangente, sono facilmente eludibili in quanto permettono l’utilizzo di catarifrangenti generici che quindi possono essere posizionati in qualunque parte della mano o del braccio dell’operatore. A titolo di esempio, qualora l’addetto indossasse una giacca o qualsiasi indumento con bande catarifrangenti sulle maniche, il sistema potrebbe permettere la discesa della lama anche se le mani non si trovano in posizione di sicurezza;
- il mancato funzionamento di elementi costituenti i dispositivi di sicurezza della macchina non impedisce l'avviamento o il movimento degli elementi mobili. In particolare, i dispositivi di sicurezza della macchina, costituiti da fotocellule e guanti dotati di banda catarifrangente non sono di tipo intrinseco (al verificarsi del minimo guasto o anomalia la macchina dovrebbe fermarsi), contrariamente a quanto previsto dalle norme di buona tecnica (UNI EN), permettendo quindi alla macchina di essere azionata con il comando a pedale, anche in caso di guasto delle fotocellule.
Il fatto che in azienda non fosse reperibile il libretto d’uso e manutenzione della macchina oggetto dell’infortunio o documentazione comprovante interventi manutentivi effettuati, comprova che la tranciatrice non sia mai stata oggetto degli specifici interventi di manutenzione e controllo secondo modalità e frequenze previste dal costruttore. Tra le condizioni indispensabili per un corretto funzionamento della macchina riportate sul libretto d’uso, vi è anche la necessità di “controllare ogni sei mesi la funzionalità dei relé che vanno ad eccitare le elettrovalvole per evitare che i contatti si incollino e la lama salga o scenda in modo inatteso”.
Secondo Lorenzo, un tecnico manutentore:
“Potrebbe, al momento dell’infortunio, esserci stato un falso contatto o qualche anomalia di tipo elettrico che ha consentito la discesa del coltello anche senza il posizionamento dei guanti”.
Nel corso degli accertamenti è stato richiesto al datore di lavoro della ditta di visionare il documento di valutazione dei rischi, che è risultato però assente. L’azienda era passata recentemente di proprietà e c’era un documento a firma del titolare dell’azienda precedente, ma con contenuti generici.
Poiché la macchina oggetto dell’infortunio era marcata CE, e quindi rientrava nel campo di applicazione della cosiddetta “Direttiva macchine”, sono state eseguite verifiche in merito alla rispondenza dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, inviando le dovute comunicazioni alle autorità nazionali di sorveglianza del mercato per le non conformità rilevate.
Nel corso delle indagini sono anche stati approfonditi aspetti inerenti la formazione dei lavoratori, verificando che gli stessi erano stati formati e informati sull’uso dei macchinari consegnando loro anche degli opuscoli scritti in cinese.
Raccomandazioni
In azienda devono essere messe a disposizione dei lavoratori attrezzature di lavoro conformi alle specifiche disposizioni legislative, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere.
Specialmente quando si utilizzano macchine di non recente costruzione, per verificare se queste possano essere adeguate dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, è importante valutare tutti i rischi legati al loro utilizzo: rischi intrinseci della macchina, della lavorazione, e dell’ambiente in cui verrà utilizzata. Il compito principale della valutazione dei rischi è infatti quello di far emergere eventuali carenze antinfortunistiche e indicare quali misure di prevenzione e di protezione devono essere attuate per far fronte ai rischi, nonché l’elenco dei dispositivi di protezione individuali da utilizzare.
È inoltre importante che sulle macchine venga svolta una corretta manutenzione secondo le modalità e periodicità indicati dal costruttore. Questo, oltre ad allungare la vita residua della macchina, può evitare che la macchina si comporti in modo inatteso, causando come nel caso in esame, un infortunio. È quindi fondamentale avere a disposizione il libretto d’istruzioni d’uso e manutenzione e conoscerne i contenuti.
Quando le macchine sono marcate CE, e quindi si rientra nella cosiddetta “Direttiva macchine”, le verifiche di conformità devono riguardare anche la rispondenza dell’attrezzatura di lavoro ai “requisiti essenziali di sicurezza”, eseguendo anche le necessarie comunicazioni alle autorità nazionali di sorveglianza del mercato. Ricerche di mercato e normative, possono poi portare ad acquisire informazioni utili sull’attuale progresso tecnologico, nuovi sistemi di protezione delle macchine.
Nel caso di infortuni su attrezzature di lavoro non conformi, a fini prevenzionistici è importante verificare se in azienda ve ne siano di simili, al fine di prescrivere che queste vengano messe in sicurezza prima del loro utilizzo.
L’efficacia della formazione deve essere verificata non solo dal punto di vista formale (presenza degli attestati di formazione) ma anche sostanziale, acquisendo le testimonianze dai singoli lavoratori. Tale elemento risulta fondamentale specialmente nel caso di lavoratori stranieri che possono avere problemi di comprensione della lingua.
Una corretta gestione delle emergenze all’interno dell’azienda con l’individuazione e la formazione delle persone addette può a volte ridurre il danno. Specialmente nel caso di infortuni gravi è infatti fondamentale saper intervenire rapidamente e in modo corretto, ad esempio per fermare un’emorragia.
Il coinvolgimento dei diversi livelli dell’organizzazione aziendale (datore di lavoro, dirigenti, preposti e lavoratori) nella gestione delle problematiche relative alla sicurezza del lavoro, ha un effetto positivo sulla prevenzione. Responsabilizzare le varie figure aziendali porta a una maggiore consapevolezza del pericolo e alla volontà di affrontare i problemi anche per timore di eventuali responsabilità penali.
Nell’azienda in cui è avvenuto l’infortunio, nonostante le ripetute segnalazioni di malfunzionamento della macchina da parte del lavoratore, sia al datore di lavoro che al diretto superiore (preposto di fatto), non sono mai stati effettuati interventi risolutivi. In azienda non è mai stata data importanza alle segnalazioni o agli “incidenti”. Un’adeguata attenzione ai “near miss” (quasi infortunio) è di importanza fondamentale per ridurre l’incidenza infortunistica in qualsiasi realtà lavorativa.
[1] Come funziona una cubettatrice?
L’infortunio è occorso su una macchina per il trancio delle pietre (macchine denominate anche “tranciatrici”, “presse cubettatrici”, “frangi rocce” oppure “stone splitting machine”). Tali macchine, a movimento oleodinamico, sono costruite con una particolare struttura aperta dove l’operatore, posto frontalmente, può agire direttamente sulla pietra da spaccare, in modo da posizionarla sul punto di taglio. Il sistema di trancio delle pietre è costituito da due lame: una superiore (dotata di pistone idraulico per il suo movimento in senso verticale) e una inferiore (posta a filo del banco di appoggio). Il banco è di tipo basculante, ossia, quando la lama superiore, abbassandosi preme il blocco di pietra contro il banco di appoggio, il piano di
appoggio si abbassa di pochi centimetri permettendo alla lama inferiore di andare a contatto con la pietra e provocando la rottura della pietra stessa lungo la linea di pressione fra le due lame. Il sistema di comando di sicurezza a fotocellule (protezioni opto-elettroniche attive) si attiva eccitando contemporaneamente le fotocellule situate di fronte all’operatore in posizione di sicurezza con i guanti catarifrangenti indossati dall’operatore stesso che entrando nel campo di lettura delle fotocellule e premendo il pedale posizionato alla base della macchina, permette la discesa della lama e lo spacco della pietra. Se l’operatore con i guanti catarifrangenti esce dal campo di lettura delle fotocellule (per esempio avvicinando eccessivamente le mani al punto di trancio) la lama superiore ritorna verso l’alto evitando qualsiasi possibilità di schiacciamento tra le due lame. Inoltre, qualora i guanti catarifrangenti vengano tenuti fermi al di sotto delle fotocellule per più di 30 secondi, la macchina va in blocco: ciò al fine di evitare che l’operatore possa posare i guanti sul banco di lavoro ed operare in assenza di questi, eludendo il sistema di sicurezza.
Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.
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Rispondi Autore: ... - likes: 0 | 28/07/2015 (09:41:31) |
ho letto l'articolo... tutto... e mi piacerebbe che mi venisse spiegato il titolo, possibilmente senza frasi fatte e senza "populismo"... |
Rispondi Autore: Lidia Fubini - likes: 0 | 29/07/2015 (10:50:09) |
Ringraziamo la redazione di Punto Sicuro per avere dato ancora una volta rilevanza al progetto relativo alla raccolta delle “Storie di infortunio”. Ringraziamo anche coloro che hanno letto e commentato le storie. Il titolo di questa storia, che a qualcuno è parso eccessivo, riflette la condizione di lavoratori cui viene chiesto non solo di lavorare in scarsa sicurezza, ma anche di subire un raggiro volto a fuorviare le indagini per la ricerca delle responsabilità. Un caro saluto a tutti dal gruppo di lavoro Dors - Servizio di Epidemiologia, Regione Piemonte. |
Rispondi Autore: G.Polliotti - G.Ruffinatto - likes: 0 | 30/07/2015 (14:02:48) |
Come autori della storia, vorremmo specificare che il titolo originariamente scelto era “Io sono Cheng”. La storia non riguarda una vicenda di schiavitù nello stretto senso della parola. Interessa però una situazione estrema, dove il lavoratore non ha diritti e non ha voce in capitolo, anche di fronte ad un infortunio (ne è di esempio il fatto che non sono stati chiamati subito i soccorsi per attendere l’arrivo del titolare). In queste realtà, i lavoratori hanno paura di parlare perchè è a rischio il loro precario posto di lavoro. Se si entra nel merito dell’efficacia della formazione, molte volte si capisce come i corsi vengano fatti esclusivamente per assolvere ad un obbligo normativo e non apportino nessun valore aggiunto per il lavoratore, specie quando si tratta di stranieri che non conoscono la lingua italiana. Un grazie alle redazioni di DORS Piemonte e di PUNTO SICURO per la pubblicazione della storia. |
Rispondi Autore: MB - likes: 0 | 03/08/2015 (10:27:22) |
rimango dell'idea che in generale ci sia veramente poca conoscenza reale del mondo del lavoro.. riguardo alla vicenda specifica.. dalle poche righe di ricostruzione dell'articolo emerge una censurabile (ma frequente) condotta tesa a minimizzare le conseguenze "post" evento.. ma parlare di schiavitù mi pare fuori tema.. se invece penso al "pre" evento, qui si parla di un macchinario con mancanze non chiare ed evidenti.. e si parla di operatori formati con opuscoli anche in cinese... vi assicuro che esiste di peggio, di molto peggio.. mi piacerebbe che prima di giudicare si conoscesse di più... |