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Sicurezza e lavoro autonomo

Rolando Dubini

Autore: Rolando Dubini

Categoria: Approfondimento

31/05/2004

L’applicazione delle norme di prevenzione nella Collaborazione coordinata e continuativa a Progetto. Di Rolando Dubini. Seconda parte: la prevenzione.

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Continua l’articolo dell’avv. Rolando Dubini sull’applicazione delle norme di prevenzione nella Collaborazione coordinata e continuativa a Progetto con gli oblighi di prevenzione e protezione del collaboratore a progetto.

L'articolo 66 comma 4 del D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 prevede ora l'applicazione del decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626, e successive modificazioni e integrazioni "nonché le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali" (tutte le norme di sicurezza e igiene del lavoro vigenti, dunque) alla prestazione lavorativa del collaboratore a progetto a condizione che la stessa "si svolga nei luoghi di lavoro del committente".

La Circolare 8 gennaio 2004 n. 1 del Ministero del Lavoro evidenza la problematicità dell'applicazione della norma di cui all'art. 66 comma 4 D. Lgs. n. 276/2003 che estende le norme prevenzionistiche finalizzate alla tutela dei i lavoratori dipendenti a favore anche dei collaboratori, il cui contratto. a stretti termini di legge (cfr. art. 61 D. Lgs. n. 276/2003), prevede che la collaborazione è “prevalentemente personale” ma “senza vincolo di subordinazione".
Quindi qui ci troviamo di fronte, in modo inoppugnabile, ad una variante del lavoro autonomo.

Secondo la circolare ministeriale: "riguardo in particolare alla protezione contro i rischi lavorativi, occorrerà naturalmente considerare che, stante la ratio del D.Lgs. n. 626 - principalmente orientata alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori subordinati, ed alla corrispondente responsabilizzazione dei datori di lavoro - non poche prescrizioni di tale provvedimento (per lo più sanzionate penalmente) risultano di problematica applicazione nei confronti di figure, come quelle dei collaboratori, fortemente connotate da una componente di autonomia nello svolgimento della prestazione (in funzione del risultato, ancorché nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente). Non a caso, per i lavoratori autonomi (figure, sotto questo profilo, assai prossime ai collaboratori) lo stesso D.Lgs. 626 ha previsto uno specifico regime di tutela (art. 7)".

L'ultima considerazione potrebbe essere considerata un interessante spunto applicativo, tendente a inquadrare l'applicazione delle norme prevenzionistiche nel senso della cooperazione e soprattutto della promozione del coordinamento ai fini della sicurezza con particolari obblighi, penalmente sanzionati, a carico del datore di lavoro-committente nel cui ambiente di lavoro viene erogata la prestazione lavorativa.
Ma si tratta di una chiave interpretativa che va utilizzata con particolare oculatezza dall’interprete, anche per evitare una applicazione degli estesi obblighi prevenzionistici sanciti dal legislatore a carico del committente dal D. Lgs. n. 276/2003 riduttiva, restrittiva e incompatibile con una interpretazione fedele alla formulazione letterale della norma e all'intenzione del legislatore.
Infatti l'art. 7 del D. Lgs. n. 626/94 era applicabile alle collaborazioni antecedenti la novella introdotta dall'art. 66 del D. Lgs. n. 276/2003, mentre ora l'obbligo è molto più ampio, intenso e penetrante, a carico esclusivo del datore di lavoro-committente.

In sostanza, conformemente al progetto e ai rischi che lo stesso comporta in quanto svolto nel luogo di lavoro del committente, al collaboratore dovranno applicarsi tutte le disposizioni prevenzionistiche previste dalla vigente normativa prevenzionistica, incluse quelle in materia di sorveglianza sanitaria. Come affermato esplicitamente dalla norma.
Di fatto, in base al diritto, il datore di lavoro deve rigorosamente applicare le misure di tutela di cui all'art. 3 del D. Lgs. n. 626/94, ovvero individuare i rischi dell'attività specifica svolta dal collaboratore nel luogo di lavoro del committente, conformemente al progetto, programma o fase di esso dedotta in contratto, e su questa base individuare le misure di protezione necessarie, i dispositivi di protezione individuale da fornire, informarlo, formarlo, addestrarlo qualora necessario, sottoporlo a sorveglianza sanitaria in caso di esposizione ad agenti nocivi (conformemente alle norme di igiene del lavoro), permettegli di partecipare e controllare l'obbligazione di sicurezza del committente-datore di lavoro attraverso il rappresentante ei lavoratori per la sicurezza, e provvedere alla sua incolumità e alla tutela della sua integrità fisica, psichica e morale adottando tutte le misure previste da tutte le norme prevenzionistiche vigenti e le misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili (art. 2087 c.c.).

La Circolare, giustamente, auspica in ogni caso che si dia "attuazione della delega (di cui all'articolo 3 della legge di semplificazione 2001, n. 229 del 2003) per il riassetto normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro" affinché intervenga il necessario "adattamento dei principi generali di tutela prevenzionistica alle oggettive peculiarità del lavoro a progetto".
Ma prima di tale riassetto è obbligatorio per il datore di lavoro-committente dei “co.co.co.” a progetto garantire che durante lo svolgimento della loro attività lavorativa gli stessi siano messi in condizione di operare nel pieno rispetto delle norme prevenzionistiche.

In che modo può raggiungersi tale risultato? Senza ombra di dubbio i “co.co.co.” anche se a progetto, non sono e non possono in alcun caso essere considerati dipendenti. E tuttavia a loro “si applicano” tutte le norme prevenzionistiche, come sancisce in modo inequivocabile l’art. 66 del D. Lgs. n. 276/2003.
Il nodo applicativo si scioglie combinando la lettura dell’art. 66 con quella dell’art. 62 sulla forma del contratto. Difatti la mancanza di uno dei requisiti previsti dall’art. 62 configura un contratto di collaborazione coordinate e continuativa privo di progetto, e come tale soggetto alla conversione in lavoro subordinato a tempo indeterminato, di cui all’art. 69 del D. Lgs. n. 276/2003. Le misure di sicurezza sono parte integrante del progetto, che assume una valenza giuridicamente legittimante l’instaurazione del rapporto di collaborazione solo qualora appunto sia esattamente delineato i tutti i suoi aspetti, tra i quali, in forza dell’obbligo del collaboratore di coordinarsi con l’organizzazione del committente al fine di attuare il progetto, particolare pregnanza assume la definizione delle misure preventive e l’applicazione di tutte le norme prevenzionistiche vigenti.

In tal senso la via per una corretta applicazione delle norme di riforma del mercato del lavoro, nel caso della collaborazione a progetto, e sulla base del rapporto di lavoro non subordinato, è solo una: il committente deve predisporre contratti nei quali siano indicate tutte le misure di sicurezza (in mancanza la sanzione sarà innanzitutto quella di cui all’art. 69 D. Lgs. n. 276/2003) concretamente applicabili al “co.co.co.” a progetto, e se del caso, precedere l’obbligo dello stesso di sottoporsi a sorveglianza sanitaria, qualora prescritta dalla legge, prevedendo una penale e la definizione del rifiuto di sottoporsi agli accertamenti preventivi e/o periodici come causa risolutiva espressa del contratto di collaborazione. In tal modo la protezione del collaboratore la si ottiene in modo completo e soddisfacente, senza la necessità di ipotizzare un rapporto di subordinazione che non esiste, formalmente. Dal punto di vista poi sanzionatorio, giova ricordare che, se del caso, potrà applicarsi l’art. 7 del D. Lgs. n. 626/94, che prevede sanzioni per il committente che non provvede e a dare impulso alla cooperazione al coordinamento prevenzionistico, e la disposizione troverà applicazione anche nel caso in cui non svolga i compiti di cooperazione e coordinamento previsti dalla legge. Invece il collaboratore a progetto che non rispetta le clausole contrattuali di prevenzione e protezione incorrerà in una grave violazione del contratto che giustifica il recesso da parte del committente.

di Rolando Dubini, avvocato in Milano

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