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Quali sono le conseguenze dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro?

Quali sono le conseguenze dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Approfondimento

14/07/2023

Un contributo si sofferma sulla connessione tra i nuovi modelli organizzativi indotti dalle trasformazioni del lavoro e i nuovi rischi per la salute e la sicurezza di chi lavora. Le criticità della quarta rivoluzione industriale.

Urbino, 14 Lug – Non è semplice esporre le “intricate e in larga parte ancora inesplorate connessioni tra i nuovi modelli organizzativi, indotti dalle più recenti trasformazioni del lavoro e della impresa, e i nuovi rischi per la salute e la sicurezza di chi lavora”. E non a caso “nella pur vasta letteratura giuslavoristica sulla nuova ‘grande trasformazione’, prevalentemente attratta dal lavoro su piattaforma dei circa 30.000 rider metropolitani e dalla improvvisa accelerazione delle esperienze di lavoro c.d. agile spinta dalla pandemia, sono ancora pochi i contributi che si sono espressamente e direttamente occupati del tema nella sua interezza e in profondità”. E ciò anche “in ragione di un altissimo tasso di specializzazione e tecnicismo che lo rende pienamente accessibile a pochi esperti”. Ed è ormai evidente “il profondo divario, quantomeno per operatori e addetti ai lavori, tra la retorica di una nuova cultura della sicurezza, espressione che non manca mai nei dibattiti pubblici e nelle commemorazioni ufficiali degli ultimi decenni, e i dati offerti dalle statistiche relative a morti e infortuni sul lavoro che segnalano un persistente scollamento tra la modernità declamata nei saggi scientifici come nelle opere divulgative e la fragile quotidianità di chi vive gli ambienti del lavoro, nuovi o vecchi che siano, e subisce i relativi rischi occupazionali”.

 

A parlare in questi termini della difficoltà di raccontare la connessione tra il nuovo mondo del lavoro e i nuovi rischi è un interessante contributo di Michele Tiraboschi (professore ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia) pubblicato sul numero 1/2022 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino. Il contributo riproduce, con l’aggiunta di varie note, il testo della sua relazione presentata al Festival Internazionale della Salute e Sicurezza sul Lavoro – La sfida della prevenzione partecipata (Urbino, 4-5-6 maggio 2022).

 

Ci soffermiamo oggi brevemente sul contributo e su alcune considerazioni dell’autore con riferimento ai seguenti argomenti:


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I nuovi modelli della organizzazione del lavoro e i nuovi rischi

Il contributo - dal titolo “Nuovi modelli della organizzazione del lavoro e nuovi rischi” –si propone, malgrado le difficoltà indicate in premessa e come indicato nell’abstract dell’intervento, di “inquadrare il complesso tema del rapporto tra nuovi modelli organizzativi e tutela della salute e sicurezza occupazionale nel più ampio contesto delle trasformazioni del lavoro: non solo la transizione ecologica e quella digitale ma anche l’impatto dei cambiamenti demografici”.

 

In particolare si cerca di rispondere alla “domanda se oggi, al di là di ogni retorica sulla ‘nuova modernità’, sul lavoro (e di lavoro) si muoia esattamente per le stesse ragioni e ancora allo stesso modo di come avveniva cinquant’anni fa”.

 

Questa prospettiva – continua l’abstract – “aiuta a comprendere, dati alla mano e rispetto allo sforzo di ripensare il concetto sempre più polimorfo di organizzazione del lavoro, i progressi compiuti sul versante della sicurezza sul lavoro, là dove ancora non pienamente comprese sono le sempre più rilevanti problematiche di salute occupazionale e il loro impatto sul sistema prevenzionistico e sul sistema delle tutele assicurative. Da qui la consapevolezza di dover oggi pensare, nei mercati transizionali e sempre più fluidi del lavoro, non solo a regole giuridiche ma anche a reti sociali di protezioni in chiave partecipativa e comunque tarate sulla persona piuttosto che su (soli) luoghi fisici sviluppando una direzione di marcia già impressa all’apparato di tutele in materia prevenzionistica” con il Decreto legislativo 81/2008 (Testo Unico), “grazie a una definizione ampia e universalistica di lavoratore affrancata dallo specifico status occupazionale o anche contrattuale. Una “sicurezza dei lavoratori” piuttosto che la mera ‘sicurezza nei luoghi di lavoro’”.

 

Le criticità della quarta rivoluzione industriale: i nuovi contesti lavorativi

Rimandando alla lettura della prima parte del contributo/relazione in cui si segnalano alcune significative componenti della nuova “grande trasformazione” del lavoro, ci soffermiamo su quanto indicato del prof. Tiraboschi a proposito delle tecnologie, dei nuovi modelli organizzativi, della tutela della salute e sicurezza del lavoro e, in definitiva, delle luci e ombre della cosiddetta “IV Rivoluzione Industriale”.

 

Si indica che “lungi dall’essere un fenomeno puramente tecnologico o industriale”, la quarta Rivoluzione industriale (spesso assimilata semplicisticamente al fenomeno denominato Industria 4.0) “muta radicalmente la concezione dei mercati del lavoro, non più statici ma transizionali, e la stessa idea di lavoro che si allarga oltre gli stretti confini di una ontologia puramente economicista che ha reso per lungo tempo invisibili, e come tali, non protetti dal legislatore e della stessa contrattazione collettiva rilevanti espressioni del lavoro come il lavoro domestico e di cura rispetto alle quali assistiamo oggi a radicali evoluzione che passano anche dalle piattaforme”. Diversamente rispetto al passato “la prestazione può ora – grazie alla diffusione di dispositivi con connessione internet – esser resa ovunque, in luoghi e tempi distanti da quelli tradizionali, consentendo di superare le logiche verticistiche e responsabilizzando il lavoratore, al quale viene ora chiesto di operare con maggiore autonomia all’interno della organizzazione produttiva”.

La prestazione “diventa in un certo senso ‘fluida’, destandardizzata e frammentata, risultando via via sempre meno rilevanti i modi, i tempi e anche i luoghi in cui questa viene resa, essendo adesso possibile la gestione a distanza dei sistemi produttivi, perennemente interconnessi, così liberando dal vincolo di presenza fisica in azienda persino una figura quale quella del manutentore, storicamente legata alla materialità dei mezzi di produzione”.

 

Come ricordato anche dall’Agenzia europea per la salute e sicurezza sul lavoro, il pericolo oggi è “quello di trascurare la tutela dei lavoratori inseriti in contesti aperti e fluidi a discapito non solo della salute e sicurezza tradizionalmente intesa, ma altresì della sua dimensione sociale. Infatti, seppur perennemente connessi, molti lavoratori tendono progressivamente a isolarsi, incorrendo nel pericolo di una vera e propria perdita di identità (personale e professionale), in quanto sempre più spesso orfani di un luogo di lavoro in cui tessere relazioni di senso e costruire una vera e propria comunità di appartenenza. In questa prospettiva la distanza fisica del lavoratore dalla sfera organizzativa del datore di lavoro, nonché dal luogo tradizionale di lavoro in cui è facile instaurare interazioni con i colleghi, comporta il rischio di un maggiore individualismo e isolamento sociale dei lavoratori”.

 

Un rischio che corriamo – continua il contributo - è quello di “assistere alla conseguente e progressiva perdita del tradizionale luogo di lavoro, il quale passa dall’essere inserito stabilmente all’interno dei locali aziendali sino al disperdersi nel territorio circostante all’impresa, rendendo quasi obsoleta la differenza tra le due dimensioni, nonché, di conseguenza, quella tra salute (e sicurezza) occupazionale e salute pubblica e questo senza ancora porsi il problema, di complessa soluzione, relativo alla possibilità di immaginare una progressiva funzionalizzazione dell’obbligo datoriale di sicurezza anche alla tutela della salute pubblica”.

 

I rischi psicosociali e l’evoluzione della tutela della salute e sicurezza

In questo senso la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori “si sta evolvendo in due direzioni: da un lato, sta valicando i confini dei luoghi fisici di lavoro e della protezione da fattori che potrebbero causare infortuni per investire una dimensione organizzativa del lavoro sempre meno reificata; dall’altro lato, si sta convertendo, partendo dalla mera prevenzione dei rischi, in una vera e propria promozione della salute anche al di fuori dei classici ‘ambienti di lavoro’ e dei tradizionali ‘tempi di lavoro’, di pari passo con il mutare dei tratti tipici del concetto di lavoro rilevante per il diritto e per l’economia”.

E dunque, come premesso anche nell’abstract, bisogna oggi pensare “non solo a regole giuridiche ma anche a reti sociali di protezioni tarate sulla persona piuttosto che su luoghi fisici”.

 

L’autore si sofferma poi sul tema dei rischi psicosociali che sono considerati spesso “un oggetto di studio emergente rispetto ai più tradizionali profili della normativa di tutela e promozione della salute e sicurezza dei lavoratori”. E i pericoli per il benessere psicologico e la salute mentale del lavoratore “vengono indicati e considerati quale esito delle nuove condizioni di lavoro, plasmate da fenomeni conseguenti alla incessante evoluzione tecnologica e a modelli organizzativi che consentono di controllare costantemente (e influenzare il ritmo del) la prestazione di lavoro”. E tuttavia questa impostazione, “per quanto dominante, finisce col non ricordare le dinamiche sociali e antropologiche innescate nella I Rivoluzione industriale con la conseguenza di prospettare soluzioni normative e organizzative inefficaci perché incapaci di cogliere il problema alla radice”.

Oggi, i rischi psicosociali “vengono infatti affrontati prioritariamente in termini giuridico-politici”, ma se tali rischi “venissero invece affrontati in prospettiva antropologica, rispetto al rapporto tra persona e lavoro, e non in chiave meramente tecnico-giuridica”, “sarebbe forse possibile immaginare soluzioni alternative – e fattualmente efficaci – per la gestione del problema rimettendo al centro l’idea o il valore stesso del lavoro per una società superando così quella visione prettamente economicistica che, non solo domina le sovrastrutture normative, ma che pure tanto incide sui comportamenti concreti e la psiche delle persone nelle organizzazioni produttive e nel mercato del lavoro”.

 

Rimandiamo poi alla lettura anche dell’ultima parte della relazione che si sofferma sul caso emblematico del lavoro agile che “proprio sul nodo della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e dei nuovi rischi ha evidenziato, almeno nel nostro Paese, una marcata ambiguità in termini di politica legislativa e rilevanti criticità dal punto di vista tecnico-formale”.

 

In conclusione si indica che se il diritto alla salute e sicurezza “va ripensato, anche come diritto della persona che lavora e non semplicemente come un diritto legato a una precisa dimensione fisica del lavoro”, bisogna comprendere che quella che viviamo “non è puramente una sfida regolatoria e normativa ma, prima di tutto, una sfida partecipativa che può essere vinta solo rimettendo al centro del sistema prevenzionistico una cultura (anche sindacale) collaborativa che è poi niente altro che la dimensione corretta per affrontare il nodo tecnico-organizzativo e della stessa costruzione sociale delle competenze e delle nuove professionalità di cui necessita il sistema della prevenzione”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l'articolo:

Università di Urbino Carlo Bo, Osservatorio Olympus, Diritto della sicurezza sul lavoro, “Nuovi modelli della organizzazione del lavoro e nuovi rischi”, a cura di Michele Tiraboschi (professore ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia), Diritto della Sicurezza sul lavoro - DSL n. 1/2022.

 


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