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L'approfondimento. ''Segnaletica di sicurezza e giurisprudenza'' (2/2)
(La prima parte dell'articolo è stata pubblicata sul numero 671 di PuntoSicuro).
Insufficienza del cartello disatteso dalla prassi
In altra situazione processuale è stata dichiarata l'assoluta insufficienza del cartello che ammoniva sul divieto di eseguire operazioni sulla macchina in movimento, qualora nella prassi venga abitudinariamente disattesa tale prescrizione, e per di più sotto gli occhi dell'imprenditore 'dalla decisione impugnata, integrata con quella sostanzialmente conforme di primo grado, emerge che Giuseppe Prete, dipendente della impresa gestita da Filippo Bodda e addetto, con funzioni di capo-macchina, a una sega a nastro predisposta per tagliare tronchi, unitamente ad altri operai, che lo coadiuvavano, il giorno 15 maggio 1986, dopo avere rimosso una scaletta posta a protezione del volano inferiore della macchina, si infilò nella fossa, nella quale detto volano era sistemato unitamente a un aspiratore, per rimuovere segatura che aveva intasato il tubo di aspirazione; mentre compiva l'operazione la lama seghettata si ruppe e lo colpì alla mano destra provocando la subamputazione del secondo, terzo e quarto dito (dal che conseguì indebolimento permanente all'organo della prensione); i giudici di entrambi i gradi di merito ritennero responsabile del fatto il datore di lavoro per violazione degli articoli 108 e 48 del D.P.R. n. 547/1955, per avere omesso di far disporre adeguata protezione al volano inferiore della macchina e per avere consentito e comunque tollerato che operazioni di pulizia dell'utensile venissero eseguite con organi rotanti in movimento; il capo di imputazione fa anche richiamo alla violazione del principio generale di cui all'articolo 2087 del codice civile, addebitando all'imprenditore il mancato apprestamento di idonei mezzi di protezione in relazione all'operazione di sgombero del materiale (segatura e pare anche corteccia di tronchi) frequentemente accumulantesi all'imbocco del tubo di convogliamento all'apparato di aspirazione'.
Su tali presupposti, 'che l'operaio abbia volontariamente eseguito l'operazione di pulizia è pacifico, ma non è questo il punto che interessa la causa; il datore di lavoro aveva l'obbligo di apprestare i presidi antinfortunistici, sia in relazione alle specifiche disposizioni di legge (articolo 4, D.P.R. n. 547/1955 citato, in relazione all'articolo 108 stesso decreto), sia con riferimento alla norma di chiusura di cui all'articolo 2087 del codice civile, contestato in rubrica, la cui operativa valenza non risulta mai posta in forse'. E qui, aggiunge la motivazione, viene alla luce la responsabilità del datore di lavoro: 'l'operaio, addetto alla macchina, eseguiva giornalmente quella operazione (che altri aveva ritenuto rischiosa) e il datore di lavoro di ciò era consapevole e questo tollerava (seppure non si vuole dar credito all'infortunato che sostiene essergli stato ordinato): qui si annida la responsabilità penale e civile del Bodda; ogni altra considerazione, su questo punto, sfugge al rilevante; è appena il caso di evidenziatore che l'operazione eclettica, in contrasto con quella dei giudici del merito, tentata dal ricorrente con il prospettare diversa scelta e valutazione del materiale probatorio, rimane priva di effetti perché improponibile in questa sede di legittimità'. concludendo, 'la circostanza, infine, che fosse esposto un cartello portante il divieto di effettuare operazioni di ingrassaggio e manutenzione a macchina in movimento, si risolve nel semplice rilievo della formale quanto mistificatoria osservanza della legge; quel che conta è che quotidianamente l'operazione di sgombero dell'imboccatura della tubazione di aspirazione dei residuati della segatura dei tronchi veniva effettuata a macchina in movimento e il datore di lavoro, sempre presente nell'opificio, nulla aveva da replicare' [Corte di Cassazione Penale, 13 marzo 1992 n. 2665].
Nello stesso senso, premesso che 'in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, l'eventuale responsabilità del costruttore o venditore dei macchinari privi dei requisiti di sicurezza ex art. 7 del D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, non esclude quella di chi, a norma del precedente art. 4, è tenuto a verificare, prima dell'impiego, che essi siano rispondenti alla normativa antinfortunistica e non costituiscano fonte di pericolo per coloro che vi vengano a contatto', la Cassazione ha rilevato che correttamente il Tribunale, nella sentenza di secondo grado, 'confermò integralmente la decisione di primo grado, ritenendo irrilevante l'allegata circostanza che la macchina fosse stata venduta alla società già sprovvista dei prescritti dispositivi di sicurezza e osservando che il comportamento imprudente del lavoratore infortunato, a conoscenza del divieto, segnalato con appositi cartelli, di eseguire operazioni di pulizia con la macchina in funzione, non costituiva fatto eccezionale ed imprevedibile idoneo ad interrompere il nesso causale con l'irregolarità della macchina stessa risalente alla condotta omissiva dei due imputati [Corte di Cassazione Penale, 27 settembre 1986 n° 10047, v. anche Cassazione penale, sez. IV, 2 dicembre 1980, in Giur. agr. 1983, 187 (s.m.).].
Obbligo di esporre cartelli per la pulizia delle macchine
Anche nella giurisprudenza di merito meno recente troviamo la stessa identica impostazione: premesso che 'il fatto che il datore di lavoro abbia applicato un apprendista ad un tornio in batteria, con compiti specifici di un operaio qualificato e senza affidarlo ad operaio più esperto perchè lo seguisse costantemente, è di per sè sufficiente ad integrare gli elementi del reato di lesioni colpose', va ribadito che 'il datore di lavoro è altresì responsabile per aver omesso di esporre i cartelli che vietano di compiere operazioni di pulizia su organi delle macchine in movimento e per non aver vigilato sulla osservanza di tale divieto. Il rilievo che si costruiscano e si pongano in commercio macchine con barra priva di carter di protezione non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, cui incombe l'obbligo di garantire la sicurezza del lavoro ai propri dipendenti, ex art. 2087 c.c.' [Pretura Rho 8 ottobre 1977].
Dunque la mera presenza di cartelli ammonitori non esonera il datore di lavoro e i suoi preposti dall'obbligo generale di sicurezza e di vigilanza e dagli obblighi particolari di impedire tutte le manovre rischiose messe in atto dai lavoratori: 'va rilevato in linea generale che la disciplina normativa antinfortunistica non delimita in modo assoluto e tassativo gli obblighi e la responsabilità del datore di lavoro: la determinazione di tali obblighi va effettuata in concreto, anche alla stregua delle ordinarie norme di prudenza, diligenza e perizia, dirette ad assicurare la sicurezza dei lavoratori. Ciò importa che il datore di lavoro e i suoi preposti sono tenuti ad osservare e a far osservare sia le norme specifiche emanate per la prevenzione degli incidenti, sia quelle generiche, dettate appunto dalla comune prudenza; e sono altresì obbligati a impedire atti e manovre rischiose poste in essere dal dipendente nello svolgimento del suo lavoro; in difetto di ciò, il comportamento colposo di quest'ultimo non esclude la rilevanza causale della loro condotta omissiva qualora la violazione dell'obbligo di proteggere l'incolumità dei singoli lavoratori mediante il controllo dell'osservanza da parte di costoro delle norme di sicurezza e dell'uso dei mezzi di protezione messi a loro disposizione, abbia consentito o comunque reso possibile il verificarsi dell'evento, senza che possa attribuirsi rilievo all'esistenza di richiami alle disposizioni di sicurezza contenuti in cartelli apposti nel luogo di lavoro' [Corte di Cassazione Civile, Sez Lav., 6 settembre 1991 n.].
Nello stesso senso: 'il Tribunale (come il Pretore) ha accertato che nell'opificio era invalsa la prassi, tollerata da chi aveva il dovere di impedirla, in barba ai cartelli appesi alle pareti e alle istruzioni stampate sul libretto, di sostituire la cinghia di trasmissione della taglierina con la puleggia in movimento; questo perché, così procedendo, l'operazione risultava più facile e veloce, evitandosi di smontare alcune parti della macchina; la prova della consapevolezza da parte degli imputati della prassi in questione fu tratta dalla circostanza, per quanto riguarda il capoturno Lancione, che costui fu presente a operazioni così eseguite, mentre per il Raho, direttore di produzione, in via deduttiva si argomentò che non poteva non esserne a conoscenza, trattandosi, non di un singolo episodio, ma di una prassi'. 'In tema di prevenzione infortuni, il datore di lavoro, così come il dirigente, deve controllare acché il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli. Ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa sul posto di lavoro si instauri, con il consenso del preposto, una prassi "contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, il datore di lavoro o il dirigente, ove infortunio si verifichi, non può utilmente scagionarsi assumendo di non essere stato a conoscenza della illegittima prassi, tale ignoranza costituendolo, di per sé, in colpa per denunciare l'inosservanza al dovere di vigilare sul comportamento del preposto, da lui delegato a far rispettare le norme antinfortunistiche' [Corte di Cassazione Penale, 18 dicembre 1989 n° 17491].
La giurisprudenza di merito ha invece ritenuto che 'non può ravvisarsi una colpa specifica a carico del legale rappresentante e del capo reparto della ditta, nel caso in cui siano messi a disposizione dell'operaio gli strumenti idonei ed adeguati per eseguire correttamente l'operazione, quando la stessa venga eseguita in modo improprio da quest'ultimo (Fattispecie in cui un operaio, in presenza di cartelli che indicavano le modalità per l'esecuzione delle operazioni in sicurezza, subiva lo schiacciamento del piede per la caduta di una pompa dallo stesso non correttamente imbracata) [Corte App. Milano – sez. II – ud. 05.06.97– n. 2422 – Pres. Chiarolla – Est. Nunziata].
Vigilanza sui comportamenti ed esposizione di cartelli
Ma se l'effettiva vigilanza è essenziale, pure mai deve essere omessa l'affissione dei cartelli riportanti le norme antinfortunistiche essenziali: 'la mattina del 23 giugno 1983, in Caltagirone l'operaio Bernardini Domenico, dipendente dell'impresa edile di Caterini Pier Luigi, mentre stava pulendo e cospargendo di cera il rullo in movimento di un nastro trasportatore, riportava gravi lesioni personali, giudicate guarite in 197 giorni con l'indebolimento permanente dell'arto superiore destro; per tale fatto il Caterini (cui veniva specificamente addebitato di non aver reso edotto il Bernardini, mediante avvisi chiaramente leggibili, del divieto di pulire, oleare od ingrassare a mano gli organi e gli elementi in moto della macchina, così come previsto dall'art. 4 del D.P.R. n. 547 del 1955) era dichiarato colpevole, in primo ed in secondo grado, del delitto di cui agli artt. 590 comma 3° e 583 comma 1° nn.1 e 2 cod. pen. e condannato alla pena di giustizia: i giudici di merito (le cui motivazioni si integrano a vicenda, essendo stata la sentenza di primo grado confermata in appello) hanno infatti validamente giustificato il loro giudizio sulla responsabilità del Caterini, considerando che questi: a) aveva omesso nella sua qualità di datore di lavoro di rendere edotto il Bernardini dei rischi specifici cui andava incontro nell'espletamento delle operazioni di ingrassaggio e di pulitura dei macchinari (tanto vero che "da sempre" tali operazioni venivano effettuate con gli organi in movimento); b) non si era curato di portare a conoscenza dei lavoratori le norme antinfortunistiche essenziali mediante apposizione di cartelli affissi nell'ambiente di lavoro; c) e non si era neppure curato di vigilare sull'effettiva osservanza delle misure di prevenzione' [Corte di Cassazione Penale, 6 novembre 1990 n. 14428].
Particolarmente diligente deve essere il datore di lavoro nell'apporre la necessaria segnaletica antincendio (cfr. artt. 33-34-35 D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547]: 'nelle aziende in cui esistono pericoli specifici di incendio, questi ultimi ed i divieti di usare l'acqua per lo spegnimento delle fiamme in determinate condizioni, devono essere resi noti al personale mediante appositi cartelli, anche quando per la particolare conformazione interna dei locali dello stabilimento sia facile l'uscita nelle ipotesi di emergenza improvvisa' [Corte di Cassazione Penale - Sez. III, 8 maggio 1990 n° 6641].
A cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano
Insufficienza del cartello disatteso dalla prassi
In altra situazione processuale è stata dichiarata l'assoluta insufficienza del cartello che ammoniva sul divieto di eseguire operazioni sulla macchina in movimento, qualora nella prassi venga abitudinariamente disattesa tale prescrizione, e per di più sotto gli occhi dell'imprenditore 'dalla decisione impugnata, integrata con quella sostanzialmente conforme di primo grado, emerge che Giuseppe Prete, dipendente della impresa gestita da Filippo Bodda e addetto, con funzioni di capo-macchina, a una sega a nastro predisposta per tagliare tronchi, unitamente ad altri operai, che lo coadiuvavano, il giorno 15 maggio 1986, dopo avere rimosso una scaletta posta a protezione del volano inferiore della macchina, si infilò nella fossa, nella quale detto volano era sistemato unitamente a un aspiratore, per rimuovere segatura che aveva intasato il tubo di aspirazione; mentre compiva l'operazione la lama seghettata si ruppe e lo colpì alla mano destra provocando la subamputazione del secondo, terzo e quarto dito (dal che conseguì indebolimento permanente all'organo della prensione); i giudici di entrambi i gradi di merito ritennero responsabile del fatto il datore di lavoro per violazione degli articoli 108 e 48 del D.P.R. n. 547/1955, per avere omesso di far disporre adeguata protezione al volano inferiore della macchina e per avere consentito e comunque tollerato che operazioni di pulizia dell'utensile venissero eseguite con organi rotanti in movimento; il capo di imputazione fa anche richiamo alla violazione del principio generale di cui all'articolo 2087 del codice civile, addebitando all'imprenditore il mancato apprestamento di idonei mezzi di protezione in relazione all'operazione di sgombero del materiale (segatura e pare anche corteccia di tronchi) frequentemente accumulantesi all'imbocco del tubo di convogliamento all'apparato di aspirazione'.
Su tali presupposti, 'che l'operaio abbia volontariamente eseguito l'operazione di pulizia è pacifico, ma non è questo il punto che interessa la causa; il datore di lavoro aveva l'obbligo di apprestare i presidi antinfortunistici, sia in relazione alle specifiche disposizioni di legge (articolo 4, D.P.R. n. 547/1955 citato, in relazione all'articolo 108 stesso decreto), sia con riferimento alla norma di chiusura di cui all'articolo 2087 del codice civile, contestato in rubrica, la cui operativa valenza non risulta mai posta in forse'. E qui, aggiunge la motivazione, viene alla luce la responsabilità del datore di lavoro: 'l'operaio, addetto alla macchina, eseguiva giornalmente quella operazione (che altri aveva ritenuto rischiosa) e il datore di lavoro di ciò era consapevole e questo tollerava (seppure non si vuole dar credito all'infortunato che sostiene essergli stato ordinato): qui si annida la responsabilità penale e civile del Bodda; ogni altra considerazione, su questo punto, sfugge al rilevante; è appena il caso di evidenziatore che l'operazione eclettica, in contrasto con quella dei giudici del merito, tentata dal ricorrente con il prospettare diversa scelta e valutazione del materiale probatorio, rimane priva di effetti perché improponibile in questa sede di legittimità'. concludendo, 'la circostanza, infine, che fosse esposto un cartello portante il divieto di effettuare operazioni di ingrassaggio e manutenzione a macchina in movimento, si risolve nel semplice rilievo della formale quanto mistificatoria osservanza della legge; quel che conta è che quotidianamente l'operazione di sgombero dell'imboccatura della tubazione di aspirazione dei residuati della segatura dei tronchi veniva effettuata a macchina in movimento e il datore di lavoro, sempre presente nell'opificio, nulla aveva da replicare' [Corte di Cassazione Penale, 13 marzo 1992 n. 2665].
Nello stesso senso, premesso che 'in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, l'eventuale responsabilità del costruttore o venditore dei macchinari privi dei requisiti di sicurezza ex art. 7 del D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, non esclude quella di chi, a norma del precedente art. 4, è tenuto a verificare, prima dell'impiego, che essi siano rispondenti alla normativa antinfortunistica e non costituiscano fonte di pericolo per coloro che vi vengano a contatto', la Cassazione ha rilevato che correttamente il Tribunale, nella sentenza di secondo grado, 'confermò integralmente la decisione di primo grado, ritenendo irrilevante l'allegata circostanza che la macchina fosse stata venduta alla società già sprovvista dei prescritti dispositivi di sicurezza e osservando che il comportamento imprudente del lavoratore infortunato, a conoscenza del divieto, segnalato con appositi cartelli, di eseguire operazioni di pulizia con la macchina in funzione, non costituiva fatto eccezionale ed imprevedibile idoneo ad interrompere il nesso causale con l'irregolarità della macchina stessa risalente alla condotta omissiva dei due imputati [Corte di Cassazione Penale, 27 settembre 1986 n° 10047, v. anche Cassazione penale, sez. IV, 2 dicembre 1980, in Giur. agr. 1983, 187 (s.m.).].
Obbligo di esporre cartelli per la pulizia delle macchine
Anche nella giurisprudenza di merito meno recente troviamo la stessa identica impostazione: premesso che 'il fatto che il datore di lavoro abbia applicato un apprendista ad un tornio in batteria, con compiti specifici di un operaio qualificato e senza affidarlo ad operaio più esperto perchè lo seguisse costantemente, è di per sè sufficiente ad integrare gli elementi del reato di lesioni colpose', va ribadito che 'il datore di lavoro è altresì responsabile per aver omesso di esporre i cartelli che vietano di compiere operazioni di pulizia su organi delle macchine in movimento e per non aver vigilato sulla osservanza di tale divieto. Il rilievo che si costruiscano e si pongano in commercio macchine con barra priva di carter di protezione non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, cui incombe l'obbligo di garantire la sicurezza del lavoro ai propri dipendenti, ex art. 2087 c.c.' [Pretura Rho 8 ottobre 1977].
Dunque la mera presenza di cartelli ammonitori non esonera il datore di lavoro e i suoi preposti dall'obbligo generale di sicurezza e di vigilanza e dagli obblighi particolari di impedire tutte le manovre rischiose messe in atto dai lavoratori: 'va rilevato in linea generale che la disciplina normativa antinfortunistica non delimita in modo assoluto e tassativo gli obblighi e la responsabilità del datore di lavoro: la determinazione di tali obblighi va effettuata in concreto, anche alla stregua delle ordinarie norme di prudenza, diligenza e perizia, dirette ad assicurare la sicurezza dei lavoratori. Ciò importa che il datore di lavoro e i suoi preposti sono tenuti ad osservare e a far osservare sia le norme specifiche emanate per la prevenzione degli incidenti, sia quelle generiche, dettate appunto dalla comune prudenza; e sono altresì obbligati a impedire atti e manovre rischiose poste in essere dal dipendente nello svolgimento del suo lavoro; in difetto di ciò, il comportamento colposo di quest'ultimo non esclude la rilevanza causale della loro condotta omissiva qualora la violazione dell'obbligo di proteggere l'incolumità dei singoli lavoratori mediante il controllo dell'osservanza da parte di costoro delle norme di sicurezza e dell'uso dei mezzi di protezione messi a loro disposizione, abbia consentito o comunque reso possibile il verificarsi dell'evento, senza che possa attribuirsi rilievo all'esistenza di richiami alle disposizioni di sicurezza contenuti in cartelli apposti nel luogo di lavoro' [Corte di Cassazione Civile, Sez Lav., 6 settembre 1991 n.].
Nello stesso senso: 'il Tribunale (come il Pretore) ha accertato che nell'opificio era invalsa la prassi, tollerata da chi aveva il dovere di impedirla, in barba ai cartelli appesi alle pareti e alle istruzioni stampate sul libretto, di sostituire la cinghia di trasmissione della taglierina con la puleggia in movimento; questo perché, così procedendo, l'operazione risultava più facile e veloce, evitandosi di smontare alcune parti della macchina; la prova della consapevolezza da parte degli imputati della prassi in questione fu tratta dalla circostanza, per quanto riguarda il capoturno Lancione, che costui fu presente a operazioni così eseguite, mentre per il Raho, direttore di produzione, in via deduttiva si argomentò che non poteva non esserne a conoscenza, trattandosi, non di un singolo episodio, ma di una prassi'. 'In tema di prevenzione infortuni, il datore di lavoro, così come il dirigente, deve controllare acché il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli. Ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa sul posto di lavoro si instauri, con il consenso del preposto, una prassi "contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, il datore di lavoro o il dirigente, ove infortunio si verifichi, non può utilmente scagionarsi assumendo di non essere stato a conoscenza della illegittima prassi, tale ignoranza costituendolo, di per sé, in colpa per denunciare l'inosservanza al dovere di vigilare sul comportamento del preposto, da lui delegato a far rispettare le norme antinfortunistiche' [Corte di Cassazione Penale, 18 dicembre 1989 n° 17491].
La giurisprudenza di merito ha invece ritenuto che 'non può ravvisarsi una colpa specifica a carico del legale rappresentante e del capo reparto della ditta, nel caso in cui siano messi a disposizione dell'operaio gli strumenti idonei ed adeguati per eseguire correttamente l'operazione, quando la stessa venga eseguita in modo improprio da quest'ultimo (Fattispecie in cui un operaio, in presenza di cartelli che indicavano le modalità per l'esecuzione delle operazioni in sicurezza, subiva lo schiacciamento del piede per la caduta di una pompa dallo stesso non correttamente imbracata) [Corte App. Milano – sez. II – ud. 05.06.97– n. 2422 – Pres. Chiarolla – Est. Nunziata].
Vigilanza sui comportamenti ed esposizione di cartelli
Ma se l'effettiva vigilanza è essenziale, pure mai deve essere omessa l'affissione dei cartelli riportanti le norme antinfortunistiche essenziali: 'la mattina del 23 giugno 1983, in Caltagirone l'operaio Bernardini Domenico, dipendente dell'impresa edile di Caterini Pier Luigi, mentre stava pulendo e cospargendo di cera il rullo in movimento di un nastro trasportatore, riportava gravi lesioni personali, giudicate guarite in 197 giorni con l'indebolimento permanente dell'arto superiore destro; per tale fatto il Caterini (cui veniva specificamente addebitato di non aver reso edotto il Bernardini, mediante avvisi chiaramente leggibili, del divieto di pulire, oleare od ingrassare a mano gli organi e gli elementi in moto della macchina, così come previsto dall'art. 4 del D.P.R. n. 547 del 1955) era dichiarato colpevole, in primo ed in secondo grado, del delitto di cui agli artt. 590 comma 3° e 583 comma 1° nn.1 e 2 cod. pen. e condannato alla pena di giustizia: i giudici di merito (le cui motivazioni si integrano a vicenda, essendo stata la sentenza di primo grado confermata in appello) hanno infatti validamente giustificato il loro giudizio sulla responsabilità del Caterini, considerando che questi: a) aveva omesso nella sua qualità di datore di lavoro di rendere edotto il Bernardini dei rischi specifici cui andava incontro nell'espletamento delle operazioni di ingrassaggio e di pulitura dei macchinari (tanto vero che "da sempre" tali operazioni venivano effettuate con gli organi in movimento); b) non si era curato di portare a conoscenza dei lavoratori le norme antinfortunistiche essenziali mediante apposizione di cartelli affissi nell'ambiente di lavoro; c) e non si era neppure curato di vigilare sull'effettiva osservanza delle misure di prevenzione' [Corte di Cassazione Penale, 6 novembre 1990 n. 14428].
Particolarmente diligente deve essere il datore di lavoro nell'apporre la necessaria segnaletica antincendio (cfr. artt. 33-34-35 D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547]: 'nelle aziende in cui esistono pericoli specifici di incendio, questi ultimi ed i divieti di usare l'acqua per lo spegnimento delle fiamme in determinate condizioni, devono essere resi noti al personale mediante appositi cartelli, anche quando per la particolare conformazione interna dei locali dello stabilimento sia facile l'uscita nelle ipotesi di emergenza improvvisa' [Corte di Cassazione Penale - Sez. III, 8 maggio 1990 n° 6641].
A cura di Rolando Dubini, avvocato in Milano
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