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Dequalificazione professionale e risarcimenti
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Con la Sentenza 10157 del 26 maggio 2004, la Corte di Cassazione ha accolto in parte il ricorso del dipendente di una società che, trasferito e demansionato, aveva ottenuto dal Tribunale il riconoscimento dell’illegittimità di questi atti, ma si era visto negare dal Pretore e, in seguito, dal Tribunale di Milano il risarcimento del “danno da dequalificazione professionale”.
La Cassazione ha indicato che "spetta certamente al M., in relazione all'accertato demansionamento professionale, il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.”
La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso in ordine al mancato apprezzamento da parte del Tribunale del danno da dequalificazione professionale.
“Come si è già rilevato in precedenza – si legge nella sentenza - tale danno attiene, alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto dall'art. 2 della Costituzione, avente ad oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica spettategli per legge o per contratto, con la conseguenza che i provvedimenti del datore di lavoro che illegittimamente ledono tale diritto vengono immancabilmente a ledere l'immagine professionale,la dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, sia in tema di autostima e di eterostima nell'ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, sia in termini di perdita di chances per futuri lavori di pari livello.
Orbene, secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità, non può che essere effettuata dal giudice che alla stregua di un parametro equitativo, essendo difficilmente utilizzabili parametri economici o reddituali (Cass. N. 8827 del 2003).”
Il Tribunale di Milano non si era attenuto a tali principi, avendo negato il ricorso al criterio equitativo e preteso dal danneggiato la prova specifica della diminuzione patrimoniale sofferta.
La sentenza è consultabile in Banca Dati.
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Con la Sentenza 10157 del 26 maggio 2004, la Corte di Cassazione ha accolto in parte il ricorso del dipendente di una società che, trasferito e demansionato, aveva ottenuto dal Tribunale il riconoscimento dell’illegittimità di questi atti, ma si era visto negare dal Pretore e, in seguito, dal Tribunale di Milano il risarcimento del “danno da dequalificazione professionale”.
La Cassazione ha indicato che "spetta certamente al M., in relazione all'accertato demansionamento professionale, il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.”
La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso in ordine al mancato apprezzamento da parte del Tribunale del danno da dequalificazione professionale.
“Come si è già rilevato in precedenza – si legge nella sentenza - tale danno attiene, alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto dall'art. 2 della Costituzione, avente ad oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica spettategli per legge o per contratto, con la conseguenza che i provvedimenti del datore di lavoro che illegittimamente ledono tale diritto vengono immancabilmente a ledere l'immagine professionale,la dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, sia in tema di autostima e di eterostima nell'ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, sia in termini di perdita di chances per futuri lavori di pari livello.
Orbene, secondo la richiamata giurisprudenza di questa Corte, la valutazione di siffatto pregiudizio, per sua natura privo delle caratteristiche della patrimonialità, non può che essere effettuata dal giudice che alla stregua di un parametro equitativo, essendo difficilmente utilizzabili parametri economici o reddituali (Cass. N. 8827 del 2003).”
Il Tribunale di Milano non si era attenuto a tali principi, avendo negato il ricorso al criterio equitativo e preteso dal danneggiato la prova specifica della diminuzione patrimoniale sofferta.
La sentenza è consultabile in Banca Dati.
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