Le diverse soluzioni per decarbonizzare il settore marittimo e quello aereo
A livello globale i trasporti pesano per il 64% del consumo di petrolio e per il 27% del consumo totale di energia. Numeri che impattano drammaticamente sulle nostre vite in termini di inquinamento atmosferico e di gas climalteranti; ricordiamo infatti che solo in Italia ogni anno lo smog costa la vita a circa 60 mila persone mentre, nel mondo, il settore è responsabile del 16% delle emissioni di CO2. Due validi motivi per accelerare quel processo di decarbonizzazione che deve consentire all’umanità di vivere in armonia con il pianeta e di essere “carbon neutral” entro il 2050.
Se da una parte appaiono chiari i cambiamenti che stanno investendo il comparto dell’automobile – in via di elettrificazione -, dall’altra emergono maggiori dubbi quando si tratta di trasporti pesanti, soprattutto quelli via mare e via cielo. Quale futuro li attende e come decarbonizzare mezzi di trasporto così avidi di combustibili fossili come navi e aerei?
Elettrificazione: c’è anche via mare
Nel mondo ogni giorno più di 82 mila navi mercantili traportano 13 milioni di container per un totale di 260 milioni di tonnellate di merci, la stessa quantità movimentata in tutto il 1950. Una crescita esponenziale strettamente connessa alla trazione dei motori endotermici che ha rivoluzionato il settore nei primi anni del ‘900, facendo così aumentare capacità di carico e velocità degli spostamenti.
Nel 2019, secondo l’ Italian greenhouse gas inventory 1990-2019 dell’Ispra, solo il traffico navale nel nostro Paese ha emesso circa 4,5 Megatonnellate (Mt, dove “Mega” sta per “milioni”) di CO2, un dato pari all’1,1% delle emissioni nazionali, a cui vanno aggiunto le 4 Mt del trasporto italiano su tratta internazionale.
Sono diverse le possibilità che ci consentono di pensare a un trasporto navale meno impattante, tra cui la riduzione dell’attrito in acqua delle navi durante la fase di progettazione, l’aumento dell’efficienza di motori ed eliche, e l’integrazione di energie rinnovabili capaci di abbattere i consumi.
Come nel comparto automobilistico, anche in quello marittimo il processo di elettrificazione riveste una certa importanza per abbattere le emissioni di CO2 e degli inquinanti atmosferici (NOx, SOx, Pm10, Pm2.5, ecc…). Tra le priorità troviamo infatti lo sviluppo di tecnologie in grado di far aumentare l’efficienza energetica, la costruzione di infrastrutture di accesso all’elettricità per le navi ferme nei porti e le piccole navi, i classici traghetti, che devono passare a una propulsione totalmente elettrica.
Per esempio, nel momento in cui le navi si trovano ferme nel porto, soprattutto quelle da crociera, necessitano di un certa quantità di energia per far funzionare tutte le attività di bordo. Un consumo non banale, dato che a livello globale si stima che circa l’11% delle emissioni gas serra marittime provengano da navi ferme. Per intervenire sul problema, l’idea è quella di ridurre l’uso dei motori delle navi in porto attraverso un processo chiamato “cold ironing”: sistema digitalizzato con cui la nave ormeggiata riceve energia da una “banchina elettrificata”. Si tratta di una soluzione conosciuta e utilizzata da tempo nei Paesi nordici, ancora una volta all’avanguardia su questi temi (il porto di Stoccolma offre questa possibilità già dagli anni ’80), e che sta pian piano trovando spazio anche in Italia, come dimostra l’accordo firmato da Fincantieri e Enel X e come evidenziato dal bilancio di sostenibilità di Costa Crociere, azienda che possiede quattro navi da crociera (31% della flotta) già pronte a sfruttare tale possibilità e cinque navi in via di predisposizione. C’è però da dire che questo processo di elettrificazione resta delicato, è difficile da gestire, dato che bisogna far arrivare una enorme quantità di energia elettrica sulla banchina visti i consumi delle navi. Come invece ricorda Msc crociere nel suo rapporto di sostenibilità una importanza rilevante per abbattere le emissioni delle navi da carico sarà affidata alla continua ricerca di soluzioni legate all’efficientamento energetico e l’ottimizzazione dei carichi.
Se parliamo di piccole tratte (generalmente quelle di 50 chilometri), come quelle effettuate dai traghetti, in molte potrebbero essere coperte utilizzando una propulsione ibrida o totalmente elettrica. Su questo, l’esempio proviene sempre dai Paesi del Nord e in particolare dalla Norvegia che, nel 2020, possedeva il 40% delle navi elettriche o ibride al mondo. Una scelta anche economicamente conveniente, come evidenziato nel volume “Tecnologie e infrastrutture per una mobilità sostenibile”, edito da Il Mulino e che vede tra gli autori Nicola Armaroli e Carlo Carraro: “nel 2019 è stata giudicata in Norvegia redditizia la sostituzione di 127 dei 180 traghetti a gasolio con navi a batteria. Il 70% delle rotte dei traghetti in Danimarca è stata stimata più redditizia con l’utilizzo di navi elettriche”.
Un ruolo importante è inoltre giocato dallo sviluppo di nuovi combustibili “alternativi”, come l’idrogeno verde e i biocombustibili. La soluzione più immediata per diversificare l’utilizzo di carburante convenzionale è però data dal Gas naturale liquefatto (Gnl) che può aiutare a ridurre le emissioni inquinanti che concorrono a creare quello che chiamiamo “smog” (in particolare riduce la presenza di Ossidi di azoto NOx e di Ossidi di zolfo SOx). Si tratta però di una soluzione “ponte” dato che il Gnl resta un combustibile fossile nocivo per l’equilibrio climatico.
Ma una decarbonizzazione credibile del settore potrà avvenire solo se fatta in modo sistemico, e cioè facendo diminuire il traffico di merci via mare sia potenziando la filiera corta su terra, per avvicinare luoghi di produzione e consumo, e sia attraverso una riduzione della domanda globale di combustibili fossili grazie al passaggio a un mondo rinnovabile. Quest’ultimo punto è infatti parecchio rilevante, basti pensare che oggi un terzo del commercio marittimo è impiegato esclusivamente per attività di trasporto di combustibili fossili (con l’uso di navi metaniere e petroliere).
Volare senza fossili
93 mila voli di linea per 4,5 miliardi di passeggeri, ogni anno (ultimo dato pre-pandemia). Dal 17 dicembre 1903, anno del primo volo a opera dei fratelli Wright, il viaggio in aereo è cresciuto in maniera esponenziale con tutta una serie di conseguenze di tipo ambientale (e non solo).
Parliamo infatti della tipologia di spostamento che emette più gas serra: secondo l’Agenzia europea per l’ambiente ogni passeggero emette 285 grammi di CO2 per ogni chilometro.
Se dovessimo continuare lo scenario Bau, quello del Business as usual dove non viene avviata alcun tipo di transizione, si stima che nel 2050 saranno circa 10 miliardi di persone a viaggiare ogni anno nei cieli di tutto il mondo.
In generale, oggi il settore rilascia circa il 3% delle emissioni climalteranti. In Italia, nel 2019, il traffico aereo ha emesso 2,4 Mt di gas serra (pari allo 0,6% delle emissioni nazionali) a cui vanno aggiunte le circa 11,9 Mt di CO2 del trasporto aereo internazionale.
Le soluzioni individuate dal mondo della ricerca, che sono simili a quelle viste in precedenza per il settore marittimo, vanno da nuove tecnologie e motori in grado di aumentare l’efficienza dei velivoli allo sviluppo di nuovi carburanti, fino all’elettrificazione delle operazioni di terra.
Per il processo di decarbonizzazione di questo settore importante sarà la sostituzione del cherosene di origine fossile con un combustibile alternativo che però dovrà avere simili caratteristiche: densità energetica elevata e capacità di restare liquido fino a -47°C (cioè la temperatura dell’atmosfera intorno ai 10 mila metri di quota), in modo da rendere possibili i voli intercontinentali e senza interruzioni.
È in questa prospettiva che si inseriscono i Sustainable aviation fuels (Saf), una miscela di idrocarburi chimicamente simile al cherosene ma che non deriva dai combustibili fossili. Questi idrocarburi sintetici, per esempio, possono essere prodotti dall’idrogeno verde e da altri materiali di scarto come alghe, oli usati, gas industriali, e così via. Il problema è che i Saf hanno costi elevati e necessitano di grosse quantità di materiali “alternativi” per essere prodotti, motivo per cui attualmente meno dell’1% del traffico aereo ne fa utilizzo. Nonostante queste difficoltà, c’è però chi sostiene che i Saf siano in grado di azzerare le emissioni di CO2 prodotte dagli aerei convenzionali. È il caso dello studio pubblicato da Boom supersonic dal titolo “Scaling sustainable aviation fuel production”, che mostra che accelerando sul tema si può arrivare a soddisfare l’intera domanda di combustibile per il trasporto aereo nel periodo 2035-2040, a patto che ci sia piena convergenza politica tra settore pubblico e privato.
Infine, tra le soluzioni, si segnalano anche gli aerei a idrogeno, elemento che possiede una densità energetica maggiore rispetto al cherosene ma che per mantenere lo stato liquido deve essere utilizzato a -252°C preconfigurando diversi problemi di tipo progettuale e in termini di sicurezza, e quelli elettrici. Quest’ultimi, migliorando la capacità di stoccaggio delle batterie, potranno essere utilizzati soprattutto per decarbonizzare (ed elettrificare) piccole rotte aeree, come gli spostamenti all’interno dell’Unione europea.
Ivan Manzo
Fonte: futuranetwork.it
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