La transizione energetica è la più grande sfida che l’umanità abbia mai affrontato
“Un percorso per costruire un settore energetico globale con emissioni nette zero al 2050 esiste, ma richiede una trasformazione senza precedenti del modo in cui l'energia viene prodotta, trasportata e utilizzata”.
L’Agenzia internazionale per l'energia (Iea) ha recentemente pubblicato il rapporto “ Net zero by 2050: a roadmap for the global energy sector”, che ha generato un forte dibattito nella discussione energetica globale. Secondo questo documento, infatti, gli impegni assunti fino a oggi, anche se pienamente raggiunti, sarebbero ben al di sotto di quanto necessario per portare le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) a zero entro il 2050, togliendo al mondo la possibilità di limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5 °C.
Il rapporto è il primo studio completo mai realizzato sui passi per arrivare a un sistema energetico a emissioni nette zero entro il 2050, definendo un percorso economico produttivo, energeticamente pulito, dinamico, resiliente, dominato dalle energie rinnovabili (anziché dai combustibili fossili) e che si ponga come obiettivo l’accesso universale all’energia. Allo stesso tempo, però, il documento esamina anche le numerose incertezze che questa rivoluzione incontra: a questo proposito, come ricorda Donato Speroni, referente del Segretariato ASviS nel Gruppo di lavoro sui Goal 7 e 13, in una puntata di Alta Sostenibilità dedicata al rapporto Iea: “L’Economist di questa settimana ha pubblicato una copertina dal titolo ‘incasinati’ in riferimento alla decarbonizzazione. Secondo la rivista la rivoluzione verde rischia di fermarsi a causa di colli di bottiglia sostanzialmente insuperabili. Il primo riguarda la scarsità dei materiali necessari per costruire i pannelli fotovoltaici e le auto elettriche, i cui prezzi sono aumentati del 139% nel corso degli ultimi dodici mesi; il secondo è dato dalla mancanza di visione che sembra essere confermata anche dagli esiti dell’ultimo G7”. Tra le altre incertezze: il ruolo della bioenergia, la cattura del carbonio, i cambiamenti nei comportamenti collettivi e individuali.
Per queste ragioni la transizione energetica e l’obiettivo emissioni nette zero al 2050, secondo Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Iea, costituiscono forse “la più grande sfida che l'umanità abbia mai affrontato”. Questo percorso deve necessariamente portare verso “un’impennata storica negli investimenti in energia pulita, creando milioni di nuovi posti di lavoro e aumentando la crescita economica globale”.
Ma come si arriva, nel concreto, a questi obiettivi?
La roadmap dell’Iea stabilisce più di 400 traguardi per guidare il viaggio globale verso le emissioni nette zero. Questi includono, tra le misure più stringenti:
- Cessare gli investimenti in progetti di estrazione di combustibili fossili;
- Cessare ogni ulteriore investimento in nuove centrali a carbone;
- Entro il 2035, arrestare la vendita di autovetture a combustione interna;
- Entro il 2040, permettere al settore elettrico di raggiungere emissioni pari a zero.
Per provare a realizzarli nel medio-lungo periodo, il rapporto richiede sforzi titanici nel breve periodo, che partano anzitutto da un massiccio investimento e diffusione di tutte le tecnologie energetiche pulite ed efficienti disponibili, combinato con una grande spinta globale per accelerare l'innovazione. Il percorso prevede un apporto aggiuntivo annuale di impianti fotovoltaici pari a 630 gigawatt (Gw) entro il 2030, mentre per l’eolico le cifre richieste si aggirano intorno ai 390 Gw in più all’anno. Per capirci, questo computo energetico equivarrebbe a quattro volte il livello record di produzione raggiunto nel 2020 (per l’energia fotovoltaica, nello specifico, vorrebbe dire installare quasi ogni giorno il corrispettivo energetico del parco solare più grande del mondo). Inoltre, è indispensabile incrementare l’efficienza energetica entro il 2030 (triplicando la media raggiunta negli ultimi due decenni).
Questi scenari hanno generato un acceso dibattito sull’effettiva possibilità, o meno, di realizzare i percorsi designati dall’Iea. Sul tema sono intervenuti, sul Foglio, Carlo Stagnaro (direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni) e Chicco Testa (esperto di energia ed ex presidente dell’Enel, intervenuto anche ad Alta Sostenibilità).
Sia Stagnaro che Testa (il primo da sempre sostenitore di politiche liberiste, il secondo promotore dell’energia nucleare e critico dell’“integralismo ecologico”), hanno sottolineato le profonde difficoltà che lo scenario Iea pone per il mondo (e in particolare per i Paesi in via di sviluppo), ponendo alcuni dubbi sulla sua effettiva attuazione. Secondo Stagnaro e Testa, infatti, in un mondo che si appresta a ospitare oltre nove miliardi di persone entro la metà del secolo, il disaccoppiamento tra crescita della popolazione e diminuzione delle emissioni è utopistico.
“Lo scenario prevede che dal 2035 non sia più possibile produrre e vendere auto a combustione. Il che vuol dire che intorno al 2050 non ce ne dovrebbero essere più in circolazione. Questo è possibile, forse, a Milano, Parigi o San Francisco. Ma come avvenga a Mumbai, Nuova Delhi, Nairobi o Lagos, città con decine di milioni di abitanti, con consumi elettrici, quando ci sono, a livelli infimi, con reti elettriche poverissime e instabili, con frequenti blackout e cadute di tensione sfugge a ogni previsione di buonsenso”.
L’articolo contiene inoltre alcune considerazioni sulle possibilità di utilizzo delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, definite da Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed energia Wwf Italia, “false soluzioni”.
“Prendiamo la questione della cattura e dello stoccaggio del carbonio”, ha detto Midulla ad Alta Sostenibilità. “In Italia abbiamo due esempi: un’idea folle era quella di prendere la CO2 dalla centrale di Brindisi e portarla con dei camion in provincia di Piacenza. Al momento nessuno sa che fine ha fatto questa CO2 e che fine hanno fatto i soldi spesi. Cose analoghe potrei dire sul progetto del Sulcis. La cosa evidente è che abbiamo cercato queste ‘semplici’ soluzioni solamente per non uscire dai combustibili fossili. Non è vero poi che le rinnovabili costano tanto, anzi costano sempre di meno, e il prezzo si è ridotto a una velocità esponenziale, ma è chiaro che le rinnovabili sono più diffuse sul territorio, e che questo implica grandi sforzi per la gestione di un’energia prodotta dal basso”.
L’articolo pubblicato sul Foglio sottolinea inoltre che lo scenario prospettato dall’Iea implicherebbe alcuni cambiamenti comportamentali difficili da accettare: “ridurre a 100 km/h il limite di velocità in autostrada, riduzione delle automobili di proprietà, maggiore utilizzo del trasporto collettivo, temperature nelle abitazioni più basse d’inverno e più alte d’estate, taglio drastico dei viaggi aerei”. Questo sforzo, aggiungono Testa e Stagnaro, causerebbe una “compressione immotivata della nostra e altrui libertà” (la stessa “libertà” che ha condotto al collasso del nostro Pianeta). Il nostro sistema di produzione e consumo è stato infatti a lungo inefficiente, e il primo passo per diminuire la CO2 è agire su questi nostri sprechi (le “automobili di proprietà”, ad esempio, sono parzialmente soppiantabili dalla mobilità condivisa). È a questo proposito cruciale considerare l’iperconsumo e iperproduzione come operazioni disfunzionali di uno stile di vita superato (o superabile), slegandole da qualsiasi connessione con l’idea di “libertà”.
Un discorso a parte viene fatto sulla possibilità di cessare gli investimenti in progetti di fornitura di combustibili fossili. Questa azione, secondo Stagnaro e Testa ma anche secondo un articolo di Massimo Nicolazzi pubblicato su Energia, potrebbe portare a un’impennata dei prezzi (diminuendo la produzione ma lasciando variato di poco il consumo), gravando su quei Paesi che sono ancora fortemente dipendenti dalle fonti fossili. L’articolo pubblicato su Energia suggerisce, da questo punto di vista, di “agire sui consumi anziché sulla produzione”, per avere impatti sociali più equi. Questo vorrebbe dire non vietare completamente la produzione di petrolio, ma lasciare che i Paesi sviluppati (e per i quali quindi il passaggio alle rinnovabili è realisticamente più attuabile) aumentino la tassazione sui propri cittadini – diminuendo il consumo di energie fossili – facendo sì che i Paesi in via di sviluppo non si ritrovino in una doppia morsa – da un lato l’innalzamento dei prezzi e dall’altro la scarsità di energie sostitutive.
Le critiche maggiori al rapporto Iea non tengono conto delle tecnologie di cui disporremo nel 2050 (difficili da modellizzare, come ogni previsione di evoluzione tecnologica da qui a trent’anni). Come ricorda lo stesso documento, “la maggior parte delle riduzioni globali delle emissioni di CO2 tra oggi e il 2030 provengono da tecnologie già disponibili”. Nel 2050, invece, “quasi la metà delle riduzioni proverrà da tecnologie attualmente in fase di dimostrazione o prototipo”. Per questa ragione l’Agenzia richiede che i governi aumentino rapidamente la spesa per ricerca e sviluppo, ponendole al centro della politica energetica e climatica nazionale. “I progressi nelle aree delle batterie avanzate, degli elettrolizzatori per l'idrogeno e della cattura e stoccaggio possono essere particolarmente importanti”, ricorda l’Iea.
Ciò non toglie che la sfida sia comunque mastodontica, in particolare per quanto riguarda l’accesso all’energia pulita nei Paesi più poveri. Fornire elettricità a circa 785 milioni di persone che non vi hanno accesso e soluzioni di cucina pulita a 2,6 miliardi di persone che ne sono prive richiederà uno sforzo senza precedenti. “Queste azioni costeranno circa 40 miliardi di dollari l'anno, pari a circa l'1% dell'investimento medio annuo del settore energetico”. Queste stesse misure, però, porteranno importanti benefici per la salute attraverso la riduzione dell'inquinamento dell'aria, riducendo il numero di morti premature di 2,5 milioni all'anno.
Gli investimenti energetici saranno dunque epocali: secondo l’Iea, gli investimenti annui totali dovranno salire a cinquemila miliardi di dollari entro il 2030, e comporteranno un aumento dello 0,4% del Pil globale (sulla base di un'analisi congiunta con il Fondo monetario internazionale). “L’incremento della spesa pubblica e privata creerà milioni di posti di lavoro nei settori dell’energia pulita e dell'efficienza energetica, nonché nei settori dell'ingegneria, della produzione e delle costruzioni”, aggiunge l’Iea.
Nello scenario net zero al 2050, inoltre, il mondo dell'energia apparirebbe completamente diverso. La domanda globale sarebbe di circa l'8% inferiore a quella attuale, ma dovrebbe sostenere un’economia in crescita e una popolazione con due miliardi di persone in più. “Quasi il 90% della produzione di elettricità dovrà provenire da fonti rinnovabili, con eolico e fotovoltaico che insieme dovranno rappresentare quasi il 70% del computo energetico totale”, si legge nel rapporto. “Mentre la maggior parte dell’energia restante sarebbe nucleare”.
Sempre secondo le previsioni al 2050, i combustibili fossili scenderebbero dai quasi quattro quinti della fornitura energetica odierna a poco più di un quinto (utilizzati nella produzione in cui il carbonio è essenziale, come la plastica, assistiti da impianti di cattura del carbonio).
“Il percorso tracciato nella nostra tabella di marcia è di portata globale, ma ogni Paese dovrà progettare la propria strategia, tenendo conto delle circostanze specifiche”, ha affermato Birol. “I piani devono riflettere le diverse fasi di sviluppo economico dei Paesi: nel nostro percorso, le economie avanzate raggiungono lo zero netto prima delle economie in via di sviluppo. L'Iea è pronta a sostenere i governi nella preparazione delle proprie tabelle di marcia nazionali e regionali, a fornire guida e assistenza nella loro attuazione e a promuovere la cooperazione internazionale per accelerare la transizione energetica in tutto il mondo”.
Flavio Natale
Fonte: ASVIS
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