AMBIENTE E ORARI DI LAVORO: NUOVE CONDANNE PER L’ITALIA
La Commissione europea ha inviato un parere motivato – l’ultima fase della procedura prima del deferimento formale alla Corte di giustizia – all’Italia per non aver trasmesso le misure nazionali di recepimento in materia di orario di lavoro nel settore dell’autotrasporto. Le norme sull’orario di lavoro riguardano i tempi di guida, il carico e lo scarico, la manutenzione del veicolo e le procedure amministrative. La direttiva 2002/15/CE dell’11 marzo 2002, intende migliorare e armonizzare le condizioni sociali per gli autotrasportatori sul mercato europeo dei trasporti, rafforza le condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori, favorisce pari opportunità di concorrenza e migliora la sicurezza stradale. La direttiva intende inoltre combattere la concorrenza sleale, visto che gli Stati membri potrebbero essere tentati di avvantaggiare la loro flotta nazionale autorizzando un orario di lavoro prolungato.
Gli Stati membri avevano tempo fino al 23 marzo 2005 per recepire la direttiva nella legislazione nazionale e notificare le misure di recepimento nazionali alla Commissione.
La Commissione europea ha anche deciso di procedere contro l'Italia in nove casi di violazione della normativa dell'UE intesa a proteggere le persone e l'ambiente contro i rischi degli effetti nocivi dei rifiuti. In sei casi, l'Italia non si è conformata alle decisioni adottate nei suoi confronti dalla Corte di giustizia europea. Un altro caso contesta la pratica adottata sistematicamente negli ultimi tempi dall’Italia volta a definire i rifiuti in modo più restrittivo rispetto al diritto comunitario, di modo che alcuni tipi di rifiuti, non più considerati tali, non rientrino più nell’ambito di applicazione delle norme europee.
Innanzitutto la Commissione deferisce l'Italia per mancata adozione e notificazione dei piani di gestione dei rifiuti di diverse regioni e province italiani, lo strumento fondamentale per garantire una gestione dei rifiuti sicura e rispettosa dell'ambiente.
Inoltre, secondo la Commissione, negli ultimi anni l'Italia ha introdotto un meccanismo che restringe la definizione dei rifiuti e limita l'applicazione della direttiva quadro. Quattro procedure d'infrazione a tale riguardo sono già in corso. Nel novembre 2004, la Corte di giustizia ha giudicato contraria alla direttiva l’interpretazione data dall'Italia alla definizione dei rifiuti. L'Italia deve ancora adottare misure per conformarsi a questa sentenza.
Una legge adottata nel dicembre 2004 ha per effetto che alcuni tipi di rifiuti non sono più considerati tali in Italia, benché rientrino nella definizione di "rifiuti" ai sensi della direttiva. I rifiuti in questione sono i rottami metallici, altri rifiuti utilizzati nell'industria siderurgica e metallurgica e il combustibile derivato da rifiuti.
Inoltre, la Commissione trasmette all'Italia un ultimo avvertimento scritto concernente la non conformità della legislazione nazionale alla direttiva europea del 1999 sulle discariche, che introduce una serie di norme dettagliate e altre prescrizioni che le discariche devono rispettare.
Tali disposizioni mirano a ridurre al minimo le minacce ecologiche e i problemi causati dalle discariche, quali i cattivi odori, l'inquinamento dell'acqua e del suolo.
Il procedimento di infrazione verte sul fatto che, mentre la direttiva definisce discariche esistenti quelle utilizzate alla data o prima del 16 luglio 2001, la legislazione italiana estende tale limite al 27 marzo 2003. In altri termini, le discariche italiane autorizzate tra il 16 luglio 2001 e il 27 luglio 2003 non sono obbligate a rispettare le norme della direttiva applicabili alle nuove discariche mentre lo sarebbero in base alla direttiva comunitaria. La legislazione italiana prevede, al contrario, un termine fino al luglio 2009 per conformarsi alle disposizioni applicabili alle discariche esistenti.
I rimanenti procedimenti concernono la mancata esecuzione, da parte dell'Italia, delle sentenze pronunciate dalla CGE in azioni avviate precedentemente dalla Commissione.
Nell'ottobre 2004, la CGE ha stabilito che l'Italia aveva violato la direttiva quadro sui rifiuti e la direttiva relativa ai rifiuti pericolosi. Le violazioni riguardavano il fatto che l'Italia utilizzava le disposizioni della direttiva quadro per accordare, a talune condizioni, agli impianti di recupero dei rifiuti, deroghe dalle prescrizioni stabilite dalla direttiva ai fini della concessione dell’autorizzazione. Una delle condizioni è che l’esenzione deve essere applicata ad un quantitativo massimo di rifiuti determinato in termini assoluti. Viceversa, nella legge italiana, questo limite massimo è stabilito in termini relativi rispetto alla capacità propria di trattamento degli impianti.
La Commissione ha deciso di avviare quattro distinti procedimenti di infrazione ai sensi dell'articolo 228 aventi per oggetto discariche illecite. In ciascuno caso, la Corte di giustizia ha ritenuto che l'Italia non si è conformata a due articoli della direttiva quadro sui rifiuti. Il primo articolo prevede che gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente. Gli Stati membri devono inoltre adottare le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti. Il secondo articolo dispone che gli Stati membri provvedano a che i rifiuti siano consegnati ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un'impresa autorizzata.
Le discariche sono quelle di Rodano (MI), Manfredonia (FG), Castelliri (FR) e Campolungo (AP).
Per le statistiche aggiornate sulle infrazioni in generale, si rimanda alla sezione dedicata del sito della Commissione europea.
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