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Sul dovere di informazione e vigilanza del datore di lavoro

Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Banche e vigilanza

15/06/2009

La Cassazione: il datore di lavoro ha il dovere, oltre che di formare ed informare i lavoratori sui rischi presenti nella propria azienda, di verificare che le disposizioni da lui impartite siano realmente osservate dagli stessi. A cura di G.Porreca

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Commento a cura di G. Porreca (www.porreca.it).
 
 
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Vengono chiaramente ribaditi in questa sentenza degli obblighi a carico dei datori di lavoro ormai consolidati nelle vigenti normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro e riguardanti in particolare la necessità da parte dei datori di lavoro non solo di formare ed informare i lavoratori ma anche di verificare e controllare che sia le disposizioni di legge che quelle impartite dallo stesso datore di lavoro siano realmente osservate dai lavoratori stessi durante la loro attività lavorativa.
 
Nel caso in esame con una sentenza del giudice monocratico di un Tribunale, poi confermata dalla Corte di Appello, il direttore di uno stabilimento, delegato dal datore di lavoro all'adozione, all’osservanza ed al controllo del rispetto delle norme di sicurezza, veniva dichiarato colpevole del delitto di lesioni personali colpose gravissime in danno di un lavoratore e condannato alla pena ritenuta di giustizia oltre che al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio in favore della parte civile costituita.
 
All’imputato veniva attribuita la colpa generica e specifica in ragione del mancato rispetto, in particolare, dell’art. 35 comma 2 del D. Lgs. n. 626/1994 per aver provocato ad un dipendente della società, addetto al funzionamento di una cesoia, un infortunio a seguito del quale lo stesso riportava l'amputazione del piede destro e della gamba fino al terzo medio, per il sopraggiungere di necrosi cutanea, nonché una ferita da scoppio alla mano sinistra. L’infortunio era accaduto in quanto il lavoratore, addetto al controllo della macchina, dopo aver scavalcata una ringhiera alta circa un metro che si estendeva lungo il perimetro della macchina, era salito su di una pedana disposta su dei rulli di avvolgimento di una lamiera per controllare che tutto procedesse regolarmente e, sportosi però in avanti aveva perso l’equilibrio e, per evitare di cadere, aveva finito con l'appoggiarsi su di una lamiera in movimento venendo trascinato verso dei rulli che gli schiacciavano il piede destro e la mano sinistra.
 
Il giudice di primo grado aveva rinvenuto dei profili di colpa a carico dell'imputato anzitutto per aver omesso di istruire adeguatamente il lavoratore circa le proprie mansioni e le modalità d'uso della macchina al cui funzionamento era addetto nonché di informarlo sui rischi connessi all'uso della stessa. L'obbligo della formazione del lavoratore era stato, peraltro, ritenuto ancor più doveroso nel caso particolare poiché l’infortunato era un giovane inesperto, assunto da soli tre mesi con contratto di formazione lavoro, e che aveva finito con l'apprendere "sul campo" la natura delle proprie mansioni, sulla base delle indicazioni dei colleghi anziani. Ulteriore profilo di colpa era stato rinvenuto nell'avere l'imputato tollerato una prassi consolidata che prevedeva l'accesso alla linea di produzione superando le protezioni e con la macchina in movimento.
 
Il giudice, pertanto sulla base degli elementi probatori acquisiti, costituiti in buona parte dalle testimonianze dei colleghi di lavoro della vittima, aveva ritenuto che l'infortunio fosse stato causato dalla negligenza dell'imputato e dalla violazione, da parte sua, degli obblighi che gravavano su di lui in ragione del ruolo ricoperto all'interno dello stabilimento ed in particolare della violazione del dovere di formazione e di informazione del lavoratore, nonché del dovere di vigilanza, non essendo emerso che egli si fosse attivato per assicurarsi che le disposizioni impartite fossero realmente osservate, in tal guisa avendo consentito l'instaurarsi di una prassi lavorativa ad alto rischio.
 
Le decisioni del primo giudice sono state successivamente confermate dalla Corte di Appello ed avverso le stesse l’imputato ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza e sostenendo da un lato che la cesoia alla quale era stato addetto il lavoratore infortunato era certamente idonea sotto il profilo della sicurezza, essendo dotata di una recinzione e di accessi muniti di microinterruttori che, all'apertura dei cancelli, determinavano l'automatico blocco dell'impianto e dall’altro che gli interventi sulla macchina era soggetti al rispetto di una specifica procedura. In merito alla carenza di informazione sull'uso della macchina e sui rischi connessi allo svolgimento dell'attività, l’imputato sosteneva che nei pressi della macchina erano stati sistemati apposti cartelli che prevedevano l'espresso divieto di operare su organi in movimento, divieto ben noto ai lavoratori come dagli stessi confermato anche in dibattimento. Il problema, inoltre, della formazione e dell'informazione era, secondo il ricorrente, del tutto estraneo alla dinamica dell'infortunio poiché le procedure previste ed i cartelli segnalatori garantivano la perfetta informazione. Del resto, sosteneva ancora l’imputato nel ricorso, l'infortunio non si è verificato a seguito di un uso improprio della macchina, bensì della violazione di precise norme di sicurezza. In sintesi, deduceva il ricorrente, la sola violazione del dovere di formazione non si poneva in rapporto di causalità con l'evento che era stato determinato, in realtà, da un'imprudenza, individuale o collettiva, incoraggiata forse da una prassi distorta e che si è posto quale causa sopravvenuta escludente il rapporto di causalità rispetto alla condotta del datore di lavoro.
 
Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte che ha ribadito totalmente le osservazioni sull’accaduto già fatte in merito dalla Corte di Appello. Nessun dubbio è stato rilevato sulla colpa addebitata all’imputato rappresentata “dalla violazione dei suoi doveri di vigilanza e di controllo del reale e costante rispetto, da parte dei lavoratori, delle norme di sicurezza, nonché di intervento per impedire il formarsi ed il consolidarsi di sistemi lavorativi che mettevano a repentaglio l'incolumità dei lavoratori. Doveri che derivavano dalle cariche ricoperte nello stabilimento, la cui violazione non potrebbe essere giustificata dalle dimensioni dell'azienda posto che, attraverso una corretta organizzazione ed opportune disposizioni, l'imputato ben avrebbe potuto essere costantemente informato sui temi della sicurezza e del rispetto, da parte degli stessi lavoratori, delle relative norme. Doveri e responsabilità che prescindono dalla circostanza che lo stesso imputato fosse, contrariamente a quanto oggi sostiene, realmente inconsapevole di quella prassi”.
 
Anche con riguardo alla colpa contestata in merito alla violazione dei doveri di informazione e formazione del lavoratore infortunato, la Sezione IV ha condiviso le decisioni della Corte territoriale ponendo in evidenza che sia l’infortunato che i suoi colleghi hanno negato di avere mai partecipato a corsi di formazione specificamente finalizzati al corretto utilizzo della macchina oggetto dell'infortunio, così come hanno negato che fossero mai state impartite precise istruzioni sulle modalità di lavorazione in condizioni di sicurezza. “All'imputato, invero, - prosegue la Corte - si è fatto carico non dell'inadeguatezza della macchina sotto il profilo della sicurezza, né dell'assenza di specifiche prescrizioni circa le modalità di utilizzo della stessa, bensì di non avere vigilato per assicurare il rispetto di quelle prescrizioni, se non di avere quantomeno tollerato una pericolosa prassi aziendale, ed ancora, di non avere adeguatamente curato la formazione professionale del lavoratore infortunato”.
 
Né è possibile dubitare” conclude la Suprema Corte, “che l'infortunio sia stato determinato dalla violazione dei richiamati obblighi, essendo del tutto evidente che proprio il mancato rispetto degli stessi ha determinato l'infortunio. Considerazione che ha legittimamente indotto i giudici del merito ad escludere qualsiasi valenza causale alla condotta del  giovane assunto da poche settimane, privo di specifica esperienza ed immesso nel ciclo lavorativo senza adeguata informazione e formazione professionale, indotto a ripetere operazioni per prassi seguite dai colleghi di lavoro e da essi apprese”.
 
 



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