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Valutazione del rischio: il Documento di Protezione Contro le Esplosioni

Valutazione del rischio: il Documento di Protezione Contro le Esplosioni
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Valutazione del rischio incendio

04/06/2015

L’obbligo del Datore di Lavoro di redigere e mantenere aggiornato il DPCE - Documento sulla Protezione Contro le Esplosioni per valutare e gestire il rischio di esplosione ed adottate adeguate misure di sicurezza.

 
 
 
Pubblichiamo un estratto della relazione “La gestione del rischio di esplosione sulle attrezzature a pressione: il Documento di Protezione Contro le Esplosioni” presentata in occasione della VI edizione Safapche espone i criteri adottati per l’individuazione del rischio di esplosione, la valutazione dell’efficacia delle possibili sorgenti di innesco previste dalla normativa EN-1127-1.
 


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La gestione del rischio di esplosione sulle attrezzature a pressione: il Documento di Protezione Contro le Esplosioni
A cura di G. Chiofalo, F. D’Antonio, A. Scaglione
 
Tra le novità introdotte del DL 81/08 (Testo Unico sulla sicurezza), vi è l’obbligo del Datore di Lavoro di redigere e mantenere aggiornato il Documento sulla Protezione Contro le Esplosioni, in cui si esplicita che sono stati individuati e valutati i rischi di esplosione ed adottate adeguate misure per la corretta gestione di tali rischi entro limiti accettabili. Nella presente memoria, la Raffineria di Milazzo espone la propria esperienza e le metodologie adottate nella gestione del rischio di esplosione associato agli impianti di processo, in particolare per quanto riguarda le attrezzature a pressione, così come è stato sviluppato nei Documenti sulla Protezione Contro le Esplosioni delle varie unità produttive dello stabilimento. Vengono quindi esposti i criteri adottati per l’individuazione del rischio di esplosione, la valutazione dell’efficacia delle possibili sorgenti di innesco previste dalla normativa EN-1127-1. Particolare spazio della memoria viene dedicata alle misure intraprese per la gestione delle sorgenti di innesco da superficie calda, individuate per attrezzature a pressione con temperature di esercizio superiori alla temperatura di accensione delle sostanze esplosive relative alla classificazione dell’area di installazione delle apparecchiature.
[…]
 
2. Il Documento sulla Protezione Contro le Esplosioni (DPCE)
Inizialmente indicato nella Direttiva Europea 1999/92/CE, recepita nel nostro paese con Decreto Legislativo 12 giugno 2003, n. 233, questo concetto di valutazione del rischio di esplosione, intesa come obbligo del datore di lavoro, è stata inserita nel DL 81/08 (Testo Unico sulla sicurezza), in particolare al TITOLO XI: PROTEZIONE DA ATMOSFERE ESPLOSIVE, CAPO II, art. 294, in cui sui recita:
“1. Nell'assolvere gli obblighi stabiliti dall'articolo 290 il datore di lavoro provvede a elaborare e a tenere aggiornato un documento, denominato: «Documento sulla Protezione Contro le Esplosioni».”
In particolare in questo documento deve essere precisato che:
- i rischi di esplosione sono stati individuati e valutati, che verranno prese le misure necessarie per ottemperare a quanto richiesto dal TU,
- quali sono i luoghi che sono stati classificati a rischio di esplosione,
- quali sono i luoghi in cui si applicano le prescrizioni minime di cui all’allegato L del TU,
- che i luoghi e le attrezzature di lavoro, compresi i dispositivi di allarme, sono concepiti, impiegati e mantenuti in efficienza tenendo nel debito conto la sicurezza.
L’analisi del rischio d’esplosione comprende i seguenti elementi:
a) individuazione delle sostanze infiammabili presenti e delle loro caratteristiche di esplosività;
b) determinazione della probabilità che si formi un’atmosfera esplosiva pericolosa;
c) determinazione della presenza e della probabilità di sorgenti d’accensione efficaci;
d) determinazione dei possibili effetti di un’esplosione;
e) stima e valutazione del rischio.
Se il rischio non è accettabile, occorre individuare delle misure di eliminazione o minimizzazione del rischio.
Le attività relative ai punti a) e b) vengono svolte durante la fase di classificazione delle aree. Nel DPCE vengono più specificatamente sviluppati i punti successivi, e vengono inoltre stabilite eventuali misure necessarie alla riduzione o mitigazione del rischio determinato.
 
2.1 Definizione e stima del rischio di esplosione
In accordo alla definizione ingegneristica rischio (probabilità per conseguenza), anche il rischio d’esplosione deriva dalla combinazione della probabilità che si verifichi un danno o una lesione ai lavoratori esposti a un’esplosione (che si può verificare solo per concomitante presenza di atmosfera esplosiva e di sorgente di accensione efficace, ma anche prescinde dalla presenza dei lavoratori in tale luogo) e dalla gravità di tale danno. Sono disponibili in letteratura numerosi metodi per l’analisi sistematica di questi elementi. In pochi casi tali elementi possono essere determinati con esattezza, perlopiù possono essere solo stimati. Dopo l’individuazione dei rischi, occorre che questi vengano quantificati, e se è quindi necessaria una loro riduzione, o se si è di fronte ad una situazione sicura. Se è necessaria la riduzione dei rischi, si devono scegliere ed applicare appropriate misure di sicurezza, e si deve ripetere l’analisi per assicurarsi che gli obiettivi di riduzione del rischio siano raggiungibili con l’implementazione di tali provvedimenti. È importante che si verifichi anche se nell’applicazione delle suddette misure di sicurezza si ad essi associati. Gli obiettivi di riduzione del rischio si possono considerare raggiunti nel caso in cui si può ragionevolmente escludere il verificarsi di un’esplosione che arrechi un qualunque danno o lesione ai lavoratori interessati. Nello specifico, durante l’elaborazione del DPCE negli impianti di processo della Raffineria di Milazzo, gli elementi del rischio d’esplosione sono stati stimati semi-quantitativamente, in accordo a quanto indicato dalla norma CEI-31-35. Di seguito viene illustrato il metodo adottato. Partendo dalla classificazione delle aree, si può associare un probabilità di formazione di atmosfera esplosiva:
 
 
 
Tabella 2: probabilità di formazione atmosfera esplosiva
 
Quindi si valuta la presenza di eventuali sorgenti di innesco, in accordo alla norma UNI EN 1127-1. Tale norma prevede che vengano valutate le seguenti origini di sorgenti di innesco, per ciascuna delle quali se ne dovrà stabilire oltre che la sussistenza, anche l’efficacia:
-      superfici calde;
-      fiamme e gas caldi (incluse le particelle calde);
-      scintille di origine meccanica;
-      materiale elettrico;
-      correnti elettriche vaganti, protezione contro la connessione catodica;
-      elettricità statica (scintille, scariche a fiocco, scariche propagantesi a fiocco, scariche
-      a cono, ecc.);
-      fulmini;
-      onde elettromagnetiche a radiofrequenza (RF) da 104 Hz a 3x1012 Hz;
-      onde elettromagnetiche da 3x1011 Hz a 3x1015 Hz;
-      radiazioni ionizzanti;
-      ultrasuoni;
-      compressione adiabatica e onde d’urto;
-      reazioni esotermiche, inclusa l’autoaccensione delle polveri.
Una volta che viene individuata la presenza o meno di potenziali sorgenti di innesco, va valutato l’efficacia o meno delle stesse. Per ciascuna sorgente di innesco considerata efficace, si determina la probabilità di innesco, in base al seguente schema:
 
 
Tabella 3: definizione probabilità di innesco di una sorgente efficace
 
Quindi si può calcolare l’indice E di esplosione, dalla combinazione della frequenza di  esplosione (quindi dal tipo di ZONA) e dalla probabilità di innesco, in base alla seguente tabella, in cui,  come si può vedere, tale indice viene calcolato diversamente nel caso la fonte di innesco provenga da un’apparecchiatura NON certificata Atex o certificata Atex.
 
Tabella 4: apparecchiature NON certificate Atex. Definizione indice di esplosione (0-1-2-3)
 
 
Tabella 5: apparecchiature certificate Atex. Definizione indice di esplosione (0-1-2-3)
 
L’indice di esplosione determinato, viene così classificato:
E=3 ALTO
E=2 MEDIO
E=1 BASSO
E=0 TRASCURABILE
Inoltre, la simultanea presenza di più sorgenti di innesco derivanti da fonti distinte, dovrà essere opportunamente valutata, eventualmente assegnando una probabilità di innesco continua. Per quanto riguarda le conseguenze prodotte da una possibile esplosione, non si considerano tento gli effetti derivanti da questo evento, in quanto sempre catastrofici, bensì si pone più attenzione all’esposizione dei lavoratori, ed alla presenza di misure di allertamento tali da fare allontanare i lavoratori prima del verificarsi dell’esplosione. In funzione dell’organizzazione del personale di reparto, si definiscono due livelli di esposizione, in base a quanto riportato in tabella 6, ovvero CONTINUA e OCCASIONALE:
 
Tabella 6: livelli di esposizione del personale
 
Per quanto riguarda i sistemi di allertamento, si fa sostanzialmente riferimento a sistemi di rilevazione di sostanze esplosive (es. Rilevatori di idrocarburi o altre sostanze che posso determinare nubi esplosive: H2S), in grado di informare tempestivamente il personale di impianto dell’insorgenza del pericolo, accompagnate ad opportune procedure di comportamento, da seguire in tali situazioni.
A questo punto si hanno tutti gli elementi a disposizione per stabilire l’accettabilità o meno del rischio, combinando: indice di esplosività E, sistemi di allertamento, esposizione del personale, secondo quanto illustrato nella tabella 7:
 
 
Tabella 7: criteri di accettabilità del rischio
 
in cui si considera il rischio di esplosione corrisponde ad Accettabile quando il rischio per le persone è basso, le misure in essere sono idonee ed occorre solo garantire il mantenimento di questa condizione. Nel caso di rischio Tollerabile, si ha sempre un rischio basso per le persone, ma si richiede l’attuazione di un piano di miglioramento, nel caso in cui il rischio risulti non accettabile, sono necessarie azioni di risanamento urgente. Per piano di miglioramento, si intende l’instaurazione di azioni finalizzate al
perseguimento dei seguenti obbiettivi:
- prevenire la formazione di miscele esplosive,
- evitare l’accensione di atmosfere esplosive,
- attenuare gli effetti di una esplosione.
Evidentemente le misure indirizzate a prevenire la formazione di atmosfere esplosive sono da preferire rispetto alle altre, come anche specificato dall'art. 289 comma 1 e 2 del
D.lgs 81/08).
 
2.2 Valutazione dell’efficacia delle sorgenti di innesco. Le superfici calde
Come specificato nel precedente paragrafo, l’analisi dei rischio di esplosione passa dall’individuazione delle sorgenti di innesco. Un documento che consente di raggiungere la conformità alla direttiva 99/92/CE è la norma armonizzata UNI EN 1127-1, in cui è riportato un elenco di possibili sorgenti di innesco, per ciascuna delle quali va valutata la sussistenza e l’efficacia, ovvero occorre valutare se la sorgente di innesco può attivarsi e con quale probabilità questa evenienza può verificarsi.
Nel caso delle attrezzature a pressione, trattandosi di apparecchiature fisse di processo, non presentando parti in movimento, le uniche sorgenti di innesco ad esse associate sono originate dall’elettricità statica, dai fulmini o da superfici calde. Il primo caso viene scongiurato grazie alla presenza dell’impianto di terra, mantenuto efficiente a cura dell’utilizzatore e soggetto a verifiche periodiche da parte di un ente terzo in accordo al DPR 462/2001. Anche il sistema di protezione contro i fulmini viene mantenuto efficiente e soggetto alle stesse verifiche periodiche del sopra citato DPR.
È inoltre evidente che eventuale strumentazione elettronica, dispositivi elettromeccanici (agitatori, miscelatori etc.) sono essi stessi forniti con opportuni modi di protezione idonei alla zona di utilizzo.
L’unico rischio di innesco che va gestito può essere pertanto connesso alle superfici calde. In linea di principio, si può affermare che la temperatura superficiale di un’apparecchiatura a pressione dipende dal fluido in essa contenuto ed è quindi strettamente correlata al processo nel quale l’attrezzatura si trova a funzionare. Il documento di Protezione Contro le Esplosioni, essendo che consente una valutazione globale del luogo a rischio di esplosione, rappresenta quindi una modalità gestionale particolarmente idonea per questo tipo di valutazione.
Una volta definita la classificazione dell’area, indicata tramite una classe di temperatura, può essere utile considerare nello specifico la sostanza che determina la classificazione dell’aria e quindi la corrispondente la temperatura di accensione. Questa infatti può trovarsi tra due classi di temperatura ed apportare dei vantaggi nella successiva quantificazione del rischio.
Ad esempio, un’area caratterizzata dalla presenza delle seguenti sostanze:
- Idrogeno solforato, IIA, Temp. Accensione = 260°C;
- GPL, IIB, Temp. Acc= 365°C;
- Benzina, IIA. Temp. Acc= >260°C;
darebbe luogo a una classificazione corrispondente a IIBT3. La temperatura T3, corrispondente a 200°C, è determinata dalla presenza dell’Idrogeno solforato, che tra quelli presenti è il fluido a temperatura di accensione inferiore.
Nel caso in cui si va a valutare l’efficacia di una sorgente di innesco da superficie calda dovuta alla presenza di un’apparecchiatura installata in questa area classificata, il limite da considerare non è quindi 200°C, bensì 260°C, ovvero l’effettiva temperatura di accensione della miscela esplosiva. Va inoltre specificato che, a favore della sicurezza, queste temperature sono riferite all’80% del LEL (low explosivity level).
Definita la temperatura di riferimento, occorre valutare presenza ed efficacia di sorgente di innesco da superficie calda. A tale scopo, di grosso aiuto è standar API RP-2216: Ignition Risk of Hydrocarbon Liquids and Vapors by Hot Surfaces in the Open Air (3° edizione – Dicembre 2003), in accorso al quale si può affermare che l’efficacia d'ignizione di idrocarburi gassosi o liquidi da parte di superfici calde situate all’aperto è tale solo se la temperatura della superficie è di alcune centinaia di gradi Fahrenheit superiore a quella di autoaccensione della sostanza coinvolta. Approssimativamente viene indicato lo scarto di 360°F, corrispondenti a 182°C. Ai fini della valutazione della potenzialità dell’innesco da parte di una superficie calda, sempre a favore della sicurezza, si fa riferimento a uno scarto di temperatura inferiore, pari a 105°C, tra l’altro suggerito anche dall’American Institute of Chemical Engineers.
Una superficie calda, situata all’aperto, può essere pertanto considerata coma una sorgente di innesco efficace, qualora, a contatto con una determinata sostanza, si trovi a una temperatura di 105°C superiore alla temperatura di accensione di tale sostanza.
Queste considerazioni tecniche consentono una gestione del rischio su molte apparecchiature con temperature di esercizio superiori alla temperatura di riferimento della classe T3 (200°C), che solitamente caratterizza la classificazione atex in numerosi impianti di una raffineria di petrolio.
 
2.3 Considerazioni sulla persistenza della sorgente di innesco
Nei principi di definizione del rischio di esplosione, abbiamo visto come la probabilità di innesco incida nel calcolo dell’indice di Esplosione e quindi direttamente sulla quantificazione del rischio di esplosione. Considerazioni di questo tipo sono certamente applicabili anche su attrezzature a pressione, qualora si tenga in debita considerazione la tipologia del processo nel quale sono inserite.
A titolo di esempio, in questa casistica possono rientrare alcuni processi di idrodesolforazione, che sfruttano l’utilizzo di catalizzatori per rimuovere lo zolfo legato alle molecole di idrocarburi. In questo caso le temperature di processo, affinché le reazioni previste avvengano con il rendimento richiesto, richiedono un certo apporto termico, solitamente fornito tramite forni di preriscaldo. Le temperature di esercizio necessarie all’interno dei reattori dipendono pertanto dalla qualità del catalizzatore adoperato e possono variare durante la vita tecnologica dello stesso, nel senso che, quando il catalizzatore sta per divenire esausto, occorre aumentare le temperature di esercizio.
Questa situazioni impongono, in fase di progettazione delle apparecchiature, di prevedere dei parametri di bollo (sia come T massima di progetto che come T di esercizio prevista) superiori a quelle che sono le effettive temperature di esercizio delle apparecchiature, con l’effetto che una semplice valutazione documentale, in fase di stima del rischio, condurrebbe a considerare una persistenza della sorgente di innesco continua e di conseguenza a un livello di rischio che potrebbe anche non essere accettabile. Una considerazione invece più attenta del processo, accompagnata a un monitoraggio delle temperature e ad opportune procedure di gestione, consente una mitigazione e facile gestione del rischio. Per il monitoraggio delle temperature di processo, possono essere facilmente considerati gli strumenti di processo, le cui misure sono solitamente registrate dai sistemi di controllo (DCS). Inoltre, questa metodologia, può essere accompagnata da una preventiva valutazione delle temperature superficiali dell’apparecchiatura in esame, da eseguirsi ad esempio con tecniche termografiche, che consente anche di stabilire un certo scarto superficiale tra la temperatura del fluido di processo (interno all’apparecchio) e la temperatura esterna (di pelle) dell’apparecchiatura, solitamente inferiore rispetto la temperatura del fluido interno. Inoltre in questo modo è possibile circoscrivere il rischio di innesco solo alle porzioni effettivamente calde di superficie dell’apparecchio in esame.
Stabilita quindi la corrisponde tra temperatura esterna ed interna, si possono impostare dei valori di riferimento delle temperature di processo, in corrispondenza delle quali la temperatura superficiale dell’apparecchiatura può determinare una sorgente di innesco efficace. La ripetibilità di tale evento, se comporta nella definizione del rischio una situazione Non Accettabile, o Tollerabile, richiede l’implementazione di azioni per la mitigazione del rischio.
Anche questo tipo di azione, implicando la valutazione globale del processo di un determinato impianto, trova la sua naturale collocazione nel DPCE, redatto dall’utilizzatore (datore di lavoro).
 
2.4 Misure per la riduzione del rischio di esplosione: sistemi di allertamento e inertizzazione
Nel caso in cui la persistenza della superficie ad una certa temperatura sia continua e la temperatura superficiale (di pelle) sia tale per cui siamo in presenza di un innesco efficace, per la mitigazione del rischio non si può più agire sulla frequenza della sorgente di innesco, in quanto questa è continua. Occorrono delle misure più strutturate, affinché si eviti la formazione dell’altro elemento che determina l’esplosione, ovvero l’atmosfera esplosiva.
Spesso non è possibile agire sulle sorgenti di emissione, a meno di non intraprendere soluzioni drastiche come l’eliminazione di sorgenti di emissione (ad esempio sostituendo connessioni flangiate con giunti saldati). È possibile però realizzare dei sistemi di monitoraggio, ovvero sistemi di rilevazione gas, in prossimità delle superfici più calde dell’apparecchio, in grado di segnalare tempestivamente la presenza di un’atmosfera esplosiva nelle vicinanze del possibile punto di innesco e consentire l’attivazione di un sistema di inertizzazione, che può avere il duplice effetto sia di diluire la nube di gas (allontanandone la concentrazione dal LEL), sia di raffreddare la superficie calda.
L’attuazione di questo tipo di misure comporta evidentemente l’opportuno aggiornamento delle procedure organizzative e, nel caso siano richieste delle determinate azioni da parte del personale operativo, vanno debitamente integrate nel manuale operativo d’impianto.
 
2.5 Misure attenuare gli effetti di una esplosione
Sebbene questa soluzione possa essere perseguita per attrezzature elettriche (es. tipi di protezione con custodie antideflagranti), certamente non può essere applicata per un’apparecchiatura a pressione, sia per l’elevata energia in gioco, sia per le conseguenze comunque disastrose derivanti dall’esplosione di un’apparecchiatura a pressione, che per definizione immagazzina un’elevata quantità di energia elastica, a maggior ragione se contenente fluidi infiammabili.
 
3. Valutazione del rischio di esplosione in fase di fabbricazione
Fermo restando gli obblighi dell’utilizzatore (o datore di lavoro) di un’apparecchiatura a pressione, nella valutazione del rischio di esplosione, il Fabbricante che deve immettere sul mercato l’apparecchio è tenuto a una valutazione dei rischi in accordo alla direttiva Atex 94/9/CE, valutandone l’applicabilità e fornendo, analogamente a quanto viene svolto nell’ambito della direttiva PED sulle attrezzature a pressione, un manuale d’uso e una valutazione dei rischi Atex. Pertanto, in funzione dell’area in cui è destinata ad essere installata l’apparecchiatura, va valutata la presenza e l’efficacia di sorgenti di innesco, in accordo alla UNI EN 1127-1, riconducibili al funzionamento dell’apparecchio stesso.
Questo tipo di analisi dei rischi, può anche condurre alla conclusione che l’apparecchiatura non presenta sorgenti di innesco proprie e che quindi non rientra nel campo di applicazione della Direttiva Atex. In questo caso vengono fornite, nel manuale d’uso Atex, delle raccomandazioni per un corretto utilizzo (es. mantenimento efficienza impianto di messa a terra, valutazione del rischio di fulmini, etc.). Queste valutazioni vanno incluse nel fascicolo tecnico dell’apparecchiatura e possibilmente richiamate nel DPCE.
 
 



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