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Artigiani e valutazione dello stress lavoro-correlato

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Valutazione del rischio incendio

06/03/2012

Alcune esperienze concrete di valutazione del rischio da stress lavoro correlato nelle piccole aziende. A cura di Andrea Cirincione e Manuela Rossini.

 
Brescia, 6 Mar - Mentre molti si affannano ad interpretare le virgole normative, a dettare linee-guida, a discutere su “chi” e “come” debba effettuare le valutazioni, c'è chi si mette al fianco delle imprese. Lo si fa con il semplice - ma fondamentale - obiettivo di metterle non solo “a norma” ma di fornire un valore aggiunto in termini di salute e sicurezza sul lavoro, ed offrendo loro un’occasione per “ripensare” l’azienda. Detto così sembra ovvio e scontato, ma non lo è.
 
Negli ultimi anni abbiamo raccolto molte esperienze concrete di valutazione del rischio da stress lavoro correlato. Un settore particolarmente discusso è quello delle piccole aziende, tipicamente descritto dal concetto di “artigiani”. La nostra opinione professionale è che, diversamente da quanto indicato da molti, la valutazionesoggettiva sia estremamente utile anche nell'azienda piccola e con pochi dipendenti. Merita attenzione anche la scelta degli strumenti da adottare per il processo di valutazione. Gli strumenti standard, utilizzati in aziende di medie o grandi dimensioni, sono stati creati secondo un approccio classicamente generalista e “neopositivista” dominante in letteratura. Pertanto l'approccio scientifico e statistico alle problematiche umane in azienda ha ricondotto i temi e i problemi della vita organizzativa a meccanismi di tipo generale. La conseguente tendenza a marginalizzare o ignorare i problemi specifici diventa un limite per la particolarità che assume il lavoro in piccolo gruppo della micro o piccola dell’impresa. Realtà organizzative dimensionate fino a dieci dipendenti si connotano inevitabilmente per caratteristiche del tutto proprie, che sono destinate a restare in una pericolosa zona d’ombra, a causa di una diagnosi dei rischi psicosociali effettuata con strumenti valutativi semplicementeinidonei (Nardella et al, 2011) [1].
 


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Con l’obiettivo di rendere più pertinente e concreta l’esperienza della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato nelle PMI [2] artigiane, abbiamo raccolto alcune opinioni emerse durante la formazione effettuata a monte e/o a valle del processo valutativo. Ne esce uno spaccato estremamente interessante sull'utilità di un percorso svolto sia per l'obbligo derivante dall'art. 28 del D.Lgs. 81/08, sia per trasmettere una cultura del benessere organizzativo.
 
Partiamo dalle principali aspettative degli imprenditori artigiani quando coinvolti nel tema dello stress aziendale. Faremo ampio uso del virgolettato, per riferire parole testuali che abbiamo raccolto da parte delle persone coinvolte. Le considerazioni sono volutamente riferite in sequenza quasi-casuale, per dare al lettore uno spaccato - il più possibile - realistico.
 
C'è voglia di conoscere i disposti normativi rispetto ai rischi, per il semplice motivo di “capirci di più”, insomma per avere informazioni. La sete di conoscenza è superiore a quel che sembra. Alcuni vogliono andare oltre l'obbligo di legge e “fare le cose per bene”; la formazione è l'occasione in cui parliamo di relazioni e persone, perché sono loro che “fanno la differenza”. L'artigiano lamenta spesso uno stress relazionale da passaggio generazionale, da rapporti tra fratelli o cugini, e vuole delle dritte sulla gestione del personale.
Le realtà piccole spesso sono frutto di iniziative individuali, quindi è difficile spersonalizzare i rapporti o delegarli ad altri. “Faccio l'imprenditore o il capo operaio?” è la domanda retorica che qualcuno fa. Qualcun altro vuole capire come portare il tema dentro l'azienda, cioè come comportarsi. La sana abitudine alla concretezza chiede “come trasformare in operatività” questa occasione. Taluni lamentano questa semplice domanda: “chi tiene sotto controllo il mio stress ?”.
Non posso dimenticare la riflessione di chi dice: “devo essere al pari di un'azienda di 100 persone, quindi voglio arricchire la mia cultura”. Bellissimo, con buona pace di chi pensa che i piccoli imprenditori non abbiano a cuore la propria formazione! Qualcuno “confessa” di essere mosso dalla semplice curiosità, qualcun altro vorrebbe “chiarire un po' di cose sul fatidico stress”.
Indimenticabile colui che rivela: “mi hanno obbligato a venire, poi spero di imparare qualcosa ma glielo dirò a fine serata”. Viva la sincerità e la franchezza, anche perché a fine intervento ci ha ringraziato. Molto pratico un termoidraulico che dichiara: “vorrei imparare a non essere stressato io per non creare stress ai miei dipendenti”. Non manca colui che denuncia come la legge sia pensata per aziende grandi, e che si parli sempre della tutela dell'operaio e non dell'imprenditore.
Taluni identificano nella burocrazia la principale fonte di stress. Altri segnalano quanto sia difficile far capire ai dipendenti quello che devono fare. Mi piace ricordare un  imprenditore - con dipendenti tutte donne - che suggerisce il “buon esempio” come modello di rapporti positivi tra le persone, ed asserisce che “molti artigiani considerano il dipendente come un servo”. Forse un po' eccessivo, ma prendiamone nota. Attribuisco ad un carrozziere una delle riflessioni più semplici ed efficaci: “sono qui per ascoltare e sentire le realtà altrui”.
Non manca chi associa lo stress al “lavoro schizofrenico in termini di carico di lavoro”, a causa dei “committenti, che pretendono l'impossibile”. Altri si chiedono se c'è differenza tra pubblici e privati. Dichiara un partecipante: “Vediamo cosa succede, è la prima volta che incontriamo due psicologi, speriamo di aprirci la mente...”.
 
Qualche riflessione.
Il lettore può benissimo farsi una propria opinione sull'atteggiamento prevalente che emerge; il punto di vista di noi professionisti e formatori è che non abbiamo mai avuto la sensazione di svolgere un intervento fuori luogo, e che le persone - seppur scettiche talvolta - hanno voluto interpretare quest'obbligo in senso costruttivo. Siamo certi che molti si dimostrino contrari per definizione, e sono coloro che esprimono una posizione per partito-preso. Una seria ed attenta riflessione sui temi della qualità del vissuto in azienda “si-può-fare”. Va detto che l'obiettivo è perseguibile solo a patto di riuscire a coinvolgere gli imprenditori. È solo a valle di un buon lavoro che la persona sensata comprende la qualità di quanto hai svolto. E' invece - ahimè - difficile avere a che fare con le chiusure a-priori, insomma col pregiudizio.
 
Vediamo adesso quali sono le principali percezioni degli imprenditori artigiani quando viene chiesto loro di descrivere cosa provoca stress lavoro-correlato. Non è un vero e proprio inventario, quindi non ha pretese di completezza, ma trova la sua legittimazione nella raccolta dei contenuti dalle reali parole dette dai corsisti.
 
Le scadenze, le tempistiche, una vita troppo di corsa, il traffico, il clima (meteo), la gestione del cliente, le aspettative del futuro (per i giovani), il menefreghismo dei dipendenti, la gestione della burocrazia, il telefono, le normative, la fatica, i soldi e la quadratura dei conti.
Lo scontro generazionale, le troppe responsabilità, le banche e le finanziarie, gli insoluti, la mancanza di lavoro alternata al troppo lavoro, il reperimento di personale adeguato, i controlli, la formazione, le tasse, l'organizzazione dell'azienda. Il sentirsi inadeguato in una situazione, l'incapacità per mancanza di mezzi, la mancanza di voglia di far qualsiasi cosa, il sovraccarico, l'irritabilità, lo stato d'animo, la tensione, il poco senso di responsabilità, la stupidità, il clima organizzativo.
I cambiamenti, il rapporto con le persone, i figli (e parenti vari), i fornitori, l'ambiente esterno. Le “rotture di balle”, la mente occupata, l'ansia, la stanchezza, la depressione, i diversi lavori da portare avanti contemporaneamente.
 
Qualche notazione a margine.
Si configurano alcune aree di stress che spiccano:
Ø  Il TEMPO e la sua gestione;
Ø  I SOLDI ed il loro reperimento;
Ø  Le PERSONE, con le differenze di età, di competenze, di motivazione, di formazione;
Ø  Lo STATO D'ANIMO e l'approccio psicologico ai problemi.
 
Tutto questo, visto nella sua interezza, esprime una complessità di tutto riguardo, e getta a nostro avviso un'ombra sconfortante sulle letture approssimative e semplificative che spesso vengono date della valutazione del rischio da stress lavoro-correlato. Parlando con gli imprenditori la sensazione è che la gestione del fenomeno stress sia, mai come in questo momento di crisi economica e motivazionale, un elemento fondante non solo del vissuto individuale, bensì una componente critica nell'approccio alla soluzione del problemi. Emerge infatti un quadro multidimensionale del fenomeno stress, in cui molti fattori e circostanze aziendali -a volte note e a volte no- concorrono ad attivare il processo che conduce al malessere.
Non si può infatti parlare di un corretto processo valutativo se non si tiene conto del “contesto specifico” aziendale e persino di quello “nazionale” in cui si opera. È per questo motivo che le azioni da intraprendere, al fine di compensare l'azione dei famigerati stressori, comprendono interventi di varia natura: dal coaching individuale alla formazione fino alla revisione dell'organizzazione aziendale. Anche nella PMI!
 
Tralasciamo il lavoro da noi condotto per transitare i partecipanti dalle loro aspettative e percezioni alla ridefinizione tecnica e sensoriale del concetto di stress.
Concludiamo invece con alcune delle deduzioni finali dei nostri artigiani, al termine di un percorso nel quale la valutazione del rischio è stato il corollario tecnico - ed il sano pretesto - per offrire loro un'occasione per pensarsi e confrontarsi, per fare informazione e formazione ai sensi degli artt. 36 e 37 del D.Lgs. 81/08 ma soprattutto ai sensi del buon senso!
“Ho capito l'opportunità che mi offre la normativa sullo stress”; “ho le idee più chiare sul significato delle parole”; “è una fregatura, perché adesso ho capito che mi devo occupare anche di questo”; “l'esperienza degli altri fa sentire meno soli”; “sto riflettendo sull'idea di tempo”; “ora ho maggiori conoscenze e consapevolezze”; “adesso devo riportare nella realtà”; “essere obbligati al confronto ti consente di relazionarti”; “bisogna che tutti condividano gli stessi obiettivi da raggiungere”; “riunirsi ogni tanto serve, anche la riunione periodica può essere un'occasione...”; “... coinvolgimento...”; “cafferino e aperitivo, fetta di salame e ne parliamo”; “servono momenti di socializzazione, dialogo e svago”; “è utile dare gratificazioni, economiche e fiduciarie”; “pensavo di rompermi le scatole invece il tempo è volato... interessante!”; “nella ditta piccola penso di mettere già in pratica, comunque quello che avete detto è vero”; “il chiarimento della parola stress ha cambiato l'idea di quello che potevo pensare, forse è un input a tutti per migliorarsi”; “l'artigiano italiano è individualista, cerchiamo di far rete...”.
 
Speriamo, con questo articolo, di aver dato al lettore un contributo diverso da quelli che solitamente si leggono su questo tema. Ci auguriamo che sia uno spunto affinché l'approccio possa finalmente essere orientato alla sana concretezza di cui c'è un gran bisogno.
 
Dott. Andrea Cirincione
Psicologo Competente esperto di Psicologia della Sicurezza e Salute sul luogo di Lavoro)
 
Dott.ssa Manuela Rossini
Dottore di Ricerca in Psicologia Generale Clinica
 
 
 


[1] Nardella A, Deitinger P, Aiello A. La valutazione dello Stress Lavoro-correlato nelle micro e piccole imprese: uno studio di validazione dello strumento “CSL” (Checklist sullo Stress Lavoro-correlato). Giornale Italiano di Medicina del Lavoro Supplemento B, Psicologia 2011; Vol. 33, N. 3: B69-B77 ISSN 1592-7830
[2] Se focalizziamo l’attenzione sul nostro Paese, emerge il rilevante e ben noto dato che il tessuto produttivo è caratterizzato dalla netta prevalenza di Piccole e Medie Imprese (PMI): circa l’81,3% delle imprese italiane ha meno di 250 dipendenti, contro una media del 66% nell’UE. La dimensione, in termini di addetti, rispetto ad altri Paesi europei, è significativamente inferiore: in media le PMI italiane impiegano 3,9 dipendenti, rispetto ai 6 dei Paesi Membri dell’UE prima dell’estensione a ventisette e, nello specifico, ai 10 dell’Olanda, ai 9 della Danimarca, agli 8 della Svezia e della Germania, ai 7 della Francia, ai 6 della Gran Bretagna e del Belgio ed ai 5 della Spagna.
 



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