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Storie di infortunio: un sabato di luglio

Storie di infortunio: un sabato di luglio

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Categoria: Valutazione dei rischi

02/09/2016

La storia di un infortunio avvenuto in un piccolo cantiere per la ristrutturazione di una casa: come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione.

Il Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte ( Dors) raccoglie  storie d'infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL  piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione.

Questa storia, dal titolo “Un sabato di luglio” (a cura di Federico Magrì, Servizio Pre.S.A.L. ASL TO3 – Sede di Pinerolo), presenta un infortunio avvenuto all’interno di un piccolo cantiere per la ristrutturazione di una casa di civile abitazione

 

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Un sabato di luglio

Per me luglio è il mese più bello dell’anno. Le giornate sono lunghe e luminose, l’aria è calda ma asciutta, e poi ci si sente vicini alle ferie.

Quel sabato di luglio me lo ricordo bene, sono certo che non lo dimenticherò mai. Una mia conoscente stava facendo ristrutturare la sua casa nelle campagne del pinerolese, una ex-cascina, su due piani. I lavori erano già abbastanza avanti e si trattava allora di pensare ai pavimenti, quindi mi ha chiesto se ero disponibile a occuparmene. Ho accettato volentieri, anche perché la conoscevo bene, e sapevo che mi avrebbe pagato a tempo e debito, non era di quelli che i soldi te li fanno sospirare.

La signora era già in ritardo con i lavori ed aveva fretta di concluderli, quindi bisognava lavorare anche di sabato. “Non è un problema” le avevo detto, “siamo abituati”, e così il venerdì pomeriggio, finito un altro lavoro, ho portato a casa della signora le attrezzature necessarie (macchina per gli intonaci e compressore).

L’indomani alle 7 ero già lì con il camioncino carico di sabbia e malta, e mentre preparavo tutto il necessario sono arrivati anche Angelo e Luigi, due ragazzi poco più che ventenni che conoscevo fin da quando erano bambini, e che da poco avevano preso la partita IVA.

Collaboravo spesso con loro, eravamo amici, e lavorare insieme era un piacere: vedevo in loro l’entusiasmo che io stesso avevo vent’anni fa, quando avevo iniziato a lavorare per conto mio. Il sapere che non avevo padroni a cui rendere conto e che se più lavoravo più guadagnavo mi esaltava.

Quel mattino dovevamo realizzare il sottofondo per le piastrelle di quella che doveva diventare la cucina-soggiorno, un locale molto ampio, circa 40 metri quadrati. Luigi aveva detto che lui preferiva lavorare all’esterno, ad alimentare la macchina trasportatrice, così io e Angelo ci siamo invece dedicati alla stesa dell’impasto cementizio per realizzare il fondo liscio su cui poi piazzare le piastrelle. La macchina trasportatrice è piuttosto semplice: un serbatoio cilindrico montato orizzontalmente su ruote, dotato superiormente di un oblò per il caricamento, e con un bocchettone per il collegamento al compressore ed un secondo bocchettone per l’uscita dell’impasto. L’utilizzo è altrettanto semplice: attraverso l’oblò superiore si caricano all’interno la sabbia, la malta e l’acqua, che un braccio rotante dotato di palette raschianti provvede a miscelare. Fatto l’impasto, si chiude l’oblò, si apre la valvola dell’aria compressa e quindi si apre la valvola per l’uscita dell’impasto. La pressione dell’aria spinge l’impasto attraverso il bocchettone di uscita e da lì nel tubo di gomma dal quale viene poi distribuito sul pavimento e lisciato a dovere.

 

Quando l’impasto è finito, si chiudono le due valvole, si fa sfogare la pressione e si inizia un nuovo ciclo.

Usavo quella macchina da vari anni, e nel tempo mi ero reso conto che la griglia montata sull’oblò di carico era un fastidio per il lavoro: tendeva a incrostarsi e quindi a intasarsi. Anche all’interno si creavano a volte degli intasamenti, e allora occorreva arrestare la rotazione dei bracci e intervenire manualmente con la cazzuola, ovviamente dopo aver tolto la griglia. Per non perdere tempo, avevo ponticellato il microinterruttore collegato alla griglia: in questo modo era possibile alzare la griglia senza far fermare la rotazione delle palette all’interno della

macchina. Sapevo che vi era un potenziale pericolo nel fare ciò, e quindi avevo raccomandato mille volte ad Angelo e Luigi di fare molta attenzione e di togliere la griglia solo a macchina ferma.

Eravamo una squadra affiatata e quindi il lavoro andò avanti bene: alle 13,30 avevamo ormai finito. I due ragazzi erano contenti, avevano in programma di partire nel pomeriggio per andare al mare con le fidanzate. Beata gioventù!

Io e Angelo eravamo ancora all’interno della cucina per le piccole finiture e per ritirare i vari attrezzi, mentre Luigi, che era all’esterno, si occupava di lavare i tubi di gomma e la macchina trasportatrice. Tolta la griglia di protezione, con un tubo di gomma stava buttando acqua all’interno dell’oblò di carico, mentre le palette all’interno erano in rotazione. Così facendo voleva togliere ogni traccia di malta dall’interno della macchina, in modo da lasciarla pulita e pronta per il prossimo lavoro.

 

E’ bastato un attimo di disattenzione, le palette hanno afferrato l’estremità del tubo di gomma trascinandola all’interno, e con esso la mano destra di Luigi, che una paletta ha amputato all’altezza del polso, cesoiandola contro l’orlo dell’oblò di carico.

Sentendo Luigi urlare siamo usciti di corsa, non sapendo che ci aspettava una scena terribile: lui, in piedi, si stringeva il polso da cui il sangue sprizzava a fiotti. Subito ho fermato la macchina, mi sono tolto la camicia per usarla a tamponare l’emorragia, e poi col telefonino ho chiamato il 118. Sentendo il trambusto è arrivata anche la proprietaria della casa, che è stata più lucida di noi, che a quel punto eravamo completamente confusi: è rientrata in casa e ne è uscita con un sacchetto di plastica e uno di quei panetti di ghiaccio che si usano nei frigoriferi da pic-nic, e mi ha detto di recuperare la mano di Luigi e metterla nel sacchetto con il ghiaccio. Non dimenticherò mai quel momento, quando ho guardato dentro la macchina ed ho visto lì, nell’acqua sporca, la mano di Luigi.

Non avrei mai creduto fosse possibile, ma i chirurghi del CTO hanno fatto miracoli e quella mano l’hanno riattaccata. Certo, Luigi è rimasto invalido, quella mano non fa più quello che faceva prima, ma come dice spesso lui “almeno non è un pezzo di plastica, è roba mia!”. Certo a me rimane sulla coscienza il peso del rimorso: se non avessi ponticellato quel microinterruttore Luigi avrebbe infilato il tubo dell’acqua attraverso la griglia e tutto questo non sarebbe successo.

 

Scarica la versione integrale della storia (Formato pdf, 738 kB)





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