Pillola di sicurezza: R = P X D
Definiti la Probabilità (P) e la gravità del Danno (D), il Rischio (R) può essere calcolato con la formula R = PxD e si può raffigurare in una rappresentazione a matrice:
Probabilità
1) molto improbabile (il danno dipenderebbe da un concatenamento di eventi indipendenti; secondo gli addetti è impossibile il suo verificarsi oppure non è mai accaduto un danno simile)
2) poco probabile (il danno dipenderebbe da condizioni sfavorevoli; eventi accaduti raramente)
3) probabile (il danno dipenderebbe da condizioni non del tutto connesse alla situazione ma possibili; eventi già riscontrati in letteratura)
4) molto probabile (il danno dipenderebbe da condizioni connesse alla situazione; eventi già accaduti).
Danno
1) lieve (disturbi reversibili in pochi giorni, esposizioni croniche con disturbi di rapida risoluzione)
2) di modesta entità (disturbi reversibili in qualche mese, esposizioni croniche con disturbi reversibili)
3) grave (invalidità permanente parziale o irreversibile, esposizioni croniche con effetti di invalidità permanente parziale o irreversibile)
4) molto grave (invalidità totale o mortale, esposizione cronica con effetti mortali o del tutto invalidanti).
Il risultato ottenuto ci permetterà di quantificare quale sia il rischio residuo e valutare le misure di prevenzione e protezione da mettere in atto.
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Rispondi Autore: G.Gallo - likes: 0 | 14/03/2019 (08:18:22) |
Ommiodio... quando ci libereremo di questo PxD? |
Rispondi Autore: Giuliano Palotto - likes: 0 | 14/03/2019 (10:02:05) |
Grazie a Federica GOZZINI per l'articolo e per dare uno spunto di riflessione a quanti leggeranno articolo e commenti. Fare sicurezza in un luogo di lavoro vuol dire darsi numeri e priorità oppure sensibilizzare Datore di Lavoro, Dirigenti, Preposti, Lavoratori, fabbricanti, installatori, manutentori, imprese appaltatrici ex art. 26 e Lavoratori autonomi ex. art. 21 ad avere un obbiettivo comune (tutela della salute in tutte le sue forme "c.d. responsabilità sociale") da attualizzare (PDCA) giornalmente? |
Rispondi Autore: G.Gallo - likes: 0 | 14/03/2019 (10:32:40) |
Mi permetto di aggiungere un contributo che serve per far capire l'inutilità di usare una matrice del rischio. Supponiamo di dover valutare con la matrice il rischio da elettrocuzione di un operatore manutentore elettrico qualificato PES o PAV o se vogliamo pure idoneo ai lavori sotto tensione, secondo la CEI11-27, per svolgere lavori in presenza di rischio elettrico su parti di impianto elettrico. Tale lavoratore, avrà la sua formazione, esperienza, idoneità, procedure di lavoro, DPI dielettrici e non dielettrici in base alle necessità, vigilanza, controllo, supervisione, ecc. La scienza e la tecnica consentono altro? NO. Infatti, esisiste la CEI 11-27 che disciplina le modalità di lavoro in questi casi e rappresenza la REGOLA DELL'ARTE per operare in presenza di rischio elettrico, a partire dalla qualificazione del personale. Ebbene, nonostante questo, se volessimo applicare la matrice in modo pedissequo, otterremmo un rischio di priorità almeno 2, con azioni correttive DA PROGRAMMARE CON URGENZA. Perché? Perché se è vero che posso attribuire una PROBABILITA' pari ad 1 (che è la minima a disposizione dalla griglia) in quanto tutto quello che la norma consente è proprio di ridurre al minimo la manifestazione dell'evento limitando la probabilità di accadimento, tramite procedure, DPI, qualificazione, ecc, non posso comunque esimermi da dare un 4 al DANNO, in quanto tutti sappiamo che una elettrocuzione può tranquillamente ed molto poco amenamente portare alla morte. Sintesi? 1x4 = 4 che porta a misure assolutamente inapplicabili rispetto alla già applicata regola dell'arte, in tale scenario. Ho usato un caso specifico, ma potremmo farne almeno altri 100 per dimostrare la totale inutilità di tale metodologia, che ignora il concetto di rischio "tollerabile" o "accettabile", che sebbene non definito per norma, tiene conto di quei rischi che si modulano con la tecnica solo ai fini della riduzione della probabilità, ma non il danno potenziale, che è la gran parte dei casi di più spessore nella valutazione dei rischi. |
Autore: Fausto Del Pin | 14/03/2022 (17:51:37) |
Buon giorno. Questa situazione si sblocca quando c'è un innovazione. In questo contesto particolare non ci sono scappatoie perché si tratta di vita umana e la Corte di Cassazione (sent. n. 3616 del 27/1/ 2016) ha confermato l’obbligo di innovazione sulla sicurezza in caso di nuova tecnologia che miri alla salvaguardia della vita umana. Le faccio un esempio recente di salto tecnologico sulla componente fulmini e ripercussioni sugli operatori. In questo caso specifico per la componente meteo vige l'art 96 del Dlgs 81.08 che nello specifico cita: 1. I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti: d) curano la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute; Si deve fare attenzione che l'articolo di legge tratta tutti gli ambienti anche in piena campagna con zappa in mano in totale assenza di impianti che fanno capo al CEI o alle norme EN5/6. qui ci troviamo di fronte ad una legge nazionale e la soluzione a questo è la norma CEI EN 62793, che indirizza verso tecnologie come gli Thunderstorm Warning System. Nelle prime due righe del sommario nella norma si evince che lo scopo è quello di realizzare misure preventive contro il pericolo dei fulmini e questo a 360° e diventa l'unica soluzione in aree non autoprotette (lavori sugli esterni) dove gli estremi dettati dal art 84. del dlgs 81.08 limitano il tutto a strutture, attrezzature, impianti ed edifici. Qui si deve fare molta attenzione dato che leggi e norme hanno campi d'azione differenti, le prime dettano i principi di messa in sicurezza della vita umana e danno delega alle norme tecniche nel solo art 84 alla messa in sicurezza dai fulmini in un ambito molto limitato. Alla CEI EN 62793 va aggiunta la norma CEI EN 50849 (CEI 79-102) che completano il quadro dal punto di vista degli allarmi. In Italia esiste il Defendit che è la versione avanzata di queste tecnologie è raggruppa sia la parte di rilievo che la parte di avviso agli operatori. L’art 15 del Dlgs 81.08 chiarisce che: c) l'eliminazione dei rischi e, ove ciò non sia possibile, la loro riduzione al minimo in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico; e) la riduzione dei rischi alla fonte; g) la limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio; i) la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale; n) l'informazione e formazione adeguate per i lavoratori; o) l'informazione e formazione adeguate per dirigenti e i preposti; p) l'informazione e formazione adeguate per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; q) le istruzioni adeguate ai lavoratori; t) la programmazione delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, anche attraverso l'adozione di codici di condotta e di buone prassi; v) l'uso di segnali di avvertimento e di sicurezza. Come vede qui una soluzione c'è e si deve fare attenzione a non cercare sistemi funzionanti via web che non danno garanzia di stabilità del segnale proprio a causa dei fulmini. La legge ci dice in modo chiaro che si arriva fin dove la tecnica lo permette. Altro fatto è una sovratensione di linea, li servono gli spd e la cosa ha già una sua nicchia normativa. Lo schema del post di base diventa limitato proprio dall'evoluzione della tecnica. Tutto rimane immobile fino a innovazione di merito. Si deve fare attenzione che l'innovazione non è vincolata dalla tecnica riportata dalla normativa. Ogni innovazione tecnologica arriva prima e poi viene normata. Io personalmente allegherei una relazione sullo stato della tecnica da riverificare periodicamente per passare da status di stby allo stato successivo. Di fatto un adeguamento lo si fa a cosa nota non al nulla. Il tutto va fatto consapevoli che non bastano due righe, ma serve un analisi per non incorrere nel verdetto del giudice che dice: "lei ha dato un opinione approssimativa ed è reo di non aver fatto una ricerca creando un incidente che poteva essere evitato. Il CTU ha rilevato che si poteva avvertire con anticipo l'infortunato o deceduto". Va da se che certi lavori rimarranno in un limbo difficilmente scardinabile. Se vogliamo vedere dal punto di vista commerciale questa cosa crea fidelizzazione e continuità lavorativa. Il che ha il suo lato positivo. Cogliere l'attimo non è mai sbagliato se veniamo proprio instradati dalle leggi a farlo. |
Rispondi Autore: renato d'avenia - likes: 0 | 14/03/2019 (12:11:01) |
Definizione da d.lgs 81/2008:«rischio»: probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alle loro combinazioni. Mi scusi ma dire che l'approccio matriciale sia inutile mi sembra poco costruttivo e non fa scopa con quanto ormai universalmente riconosciuto dalla comunità scientifica. La Norma italiana parla ovunque di riduzione del rischio alla fonte, ovvero ci chiede di definire criteri di accettabilità. Poi, il nostro paese si presta a fare certe discussione in tribunale. In quel luogo si parla di prove, buone prassi e quant'altro. Può non piacere ma, a esempio la norma UNI che parla dell'approccio matriciale, come tutte quelle ISO sul risk management riconducono a ciò che lei ritiene inutile. La legge italiana ci chiede di inserire nei criteri della matrice la norma CEI a cui lei fa riferimento. Di questo si tratta. Poi possono non piacere i criteri della matrice presentata, ma questo è un'altro discorso mi scusi. |
Rispondi Autore: G.Gallo - likes: 0 | 14/03/2019 (13:25:16) |
"ormai universalmente riconosciuto dalla comunità scientifica" ma da chi? Premesso che ognuno usa il criterio che crede, io ho espresso un parere sostenuto da un esempio plateale (ma potrei farne altri 1000) che dimostra che il metodo matriciale non solo può condurre a risultati controversi, ma è proprio concettualmente pericoloso da usare. E la legge italiana non chiede di inserire la CEI 11-27 in alcuna matrice, ma magari Lei è più aggiornato di me e mi potrà indicare l'articolo che invece sostiene tale assurdo. Detto questo, il mio invito era proprio riflettere su tale tema e proporre ANCHE altre metodologie non necessariamente numeriche (per i rischi che ovviamente non sono valutabili da norme tecniche specifiche), atteso che il D.Lgs.81/08 DA NESSUNA PARTE obbliga ad usare il PxD e quello che Lei sostiene come "universalmente riconosciuto" è un retaggio vecchio come il cucco che parte dagli anni 90. Concludo dicendo che la definizione di rischio da D.Lgs.81/08 non ci sta dicendo per niente che il rischio è un "numero", ma un concetto che esprime la possibilità che un danno possa avvenire in determinate circostanze ed in presenza di un pericolo oggettivo, che dipende da tante variabili al contorno che ne determinano una lecita incertezza (condizioni di impiego, esposizione e varie combinazioni) che proprio per questo non è declarabile con una moltiplicazione. Poi l'esigenza di "standardizzare" piace tanto a numerologi, ma la matematica non dovrebbe essere una opinione, come invece finisce di diventare applicando ognuno come vuole la scelta dei parametri da inserire, con lo stesso peso su più eventi e circostanze. |
Rispondi Autore: renato d'avenia - likes: 0 | 14/03/2019 (14:21:41) |
Certo capisco. le indico, non suggerisco per carità, un articolo relativamente recente che rende un po' l'idea e relativa bibliografia. Tipo 10 secondi su google. Buon lavoro Comparison of Different Methods to Design Risk Matrices from The Perspective of Applicability lo trova su www.sciencedirect.com [1] Bao, C., Li, J., Wu, D., 2016. A fuzzy mapping framework for risk aggregation based on risk matrices. Journal of Risk Research, Online, DOI: 10.1080/13669877.2016.1223161. [2] Cox, L.A., 2008. What's wrong with risk matrices? Risk Analysis 28, 497-512. [3] Holt, J., Leach, A.W., Schrader, G., Petter, F., MacLeod, A., van der Gaag, D.J., Baker, R.H.A., Mumford, J.D., 2014. Eliciting and Combining Decision Criteria Using a Limited Palette of Utility Functions and Uncertainty Distributions: Illustrated by Application to Pest Risk Analysis. Risk Analysis 34, 4-16. [4] IEC, I., 2009. ISO 31010: 2009-11. Risk management–Risk assessment techniques. [5] Li, J., Bao, C., Wu, D., 2017. How to Design Rating Schemes of Risk Matrices: A Sequential Updating Approach. Risk Analysis. Online, DOI: 10.1111/risa.12810. [6] Payne, S.L.B., 2014. The Art of Asking Questions: Studies in Public Opinion, 3. Princeton University Press. [7] Pritchard, D., York, P.L., Beattie, S., Hannegan, D., 2010. Drilling hazard management: The value of risk assessment. World oil 231, 43-52. [8] Ruan, X., Yin, Z.Y., Frangopol, D.M., 2015. Risk Matrix Integrating Risk Attitudes Based on Utility Theory. Risk Analysis 35, 1437- 1447. [9] Smith, E.D., Siefert, W.T., Drain, D., 2009. Risk matrix input data biases. Systems Engineering 12, 344-360. [10] Mil-Std-882d, Standard practice for system safety, Department of Defense, Washington, DC, 2000. [11] Thomas, P., Bratvold, R.B., Bickel, J.E., 2014. The Risk of Using Risk Matrices. SPE Economics & Management 6, 56-66. |
Rispondi Autore: G.Gallo - likes: 0 | 14/03/2019 (15:01:43) |
La ringrazio per l'esercizio di stile. Intanto non mi ha spiegato con quella matrice come avrebbe risolto il problema del 4 e della priorità 2 degli interventi su un rischio gestibile esclusivamente dalla metodica tecnica normata, ovvero cosa avrebbe risposto all'esigenza della matrice di azionare interventi da programmare con la massima urgenza. E questi riferimenti non spiegano con quale criterio oggettivo un qualsiasi professionista possa scegliere di mettere 2 alla probabilità di cadere da un sedile per videoterminalista perchè ha le rotelle con 3 raggi e non 5, rispetto alla medesima probabilità 2 - quindi con lo stesso peso - inserito magari per un rischio scivolamento in produzione per presenza di pavimenti bagnati. Ma immagino che qualora un giudice dovesse chiederle di indicare con quale criterio si son scelti i numerelli da mettere a P e D per giungere a quelle conclusioni sulle priorità, nel caso in cui si verifichi un infortunio mortale su un rischio valutato con priorità 3 o 2 o 1, lei potrà abilmente fare lo stesso copiaincolla. Perché le assicuro che è capitato e nessuno sapeva dare risposta di perché si siano scelti proprio quei numerelli da cui si è deciso di intraprendere una determinata priorità che comunque ha portato all'incidente. |
Rispondi Autore: dott. Carlo PAMATO - likes: 0 | 14/03/2019 (15:30:36) |
sono invece d'accordo con G.Gallo le dimensioni del DANNO ( quanto mai aleatorie e non standardizzabili ( malgrado indicazioni di grado variabili da scuola a scuola e specialità ) e le Probalità ( ancor di più variabili ) non possono definire il rischio in modo del tutto grossolano |
Rispondi Autore: Cristian Capuani - likes: 0 | 14/03/2019 (16:59:38) |
Caro Giorgio, so che me ne pentirò, perché tu mi conosci e sai che quello che sto per dire lo dico con spirito provocatorio, altri mi prenderanno per matto... Per me l'approccio matriciale funziona sul pericolo grezzo, anzi lo dico all'inglese che fa più figo: Il PXD funziona sul raw hazard! Prendendo il tuo esempio il PXD, o magari l'appena migliore PXD^2 andrebbe applicato al generico pericolo di elettrocuzione dell'elettricista (ad esempio) poi con la applicazione delle misure di prevenzione e protezione, tra le quali tutte quelle da te citate ottengo un rischio residuo che definisco accettabile e mi fornisce non più la scala delle priorità, ma un più generico indici di attenzione che va oltre il piano di miglioramento. |
Rispondi Autore: raffaele scalese - likes: 0 | 16/03/2019 (07:40:39) |
Arrivo buon ultimo ma non sono riuscito a NON dire la mia. Mi riferiscro a tutti i Colleghi critici rispetto alla matrice proposta nell'articolo. A in ogni caso mi appare un utilissimo strumjentoper avere una immediata visione delle varie priorità. B E qui il ragionamento è un poco più impegnativo. E' pur vero che meno di uno come probabilità non si può mettere.....ma è proprio questa la filosofia della sicurezza. La certezza assoluta NON è ipotizzabile. Per quanrto riguarda il rischio elettrico a 4 condivido ed utilizzo il parametro in quanto ove dovesse verificarsi l'accadimento sicuramente il danno potrebbe arrivare a 4 anche se è un PAV, un PES o addirittura un PEI. Allora come gestire, oltre a quantoghià fatto ?. A mio aviso con la raccomandazione di continuare nelle formazioni periodiche, continuare nella sorveglianza da parte dei Preposti, alimentare sempre e comunque l'attenzione alla sicurezza ed agli atteggiamenti mentali ecc ecc. Finisco con un altro esempio. Noi tutti prendiamo, magari ogni tanto, un aereo. Pertanto 1 x 4 = 4. Intrinsicamente speriamo sempre che, manutenzione, formazione, addestramento, monitoraggi ecc ecc siano fatti costantemente ed a regola d'arte.!!!! Per favore, non parliamo male delle matrici che ci aiutano anche ad avere un rapporto più semplice con i vari soggetti interessati in quanto di immediata "lettura". buona domenica a tutti |
Rispondi Autore: Luigi Romano - likes: 0 | 16/03/2019 (13:22:37) |
Io la ritengo ancora molto valida, anche per il rischio elettrico citato dal collega Gallo. La probabilità sarà molto alta se il personale non ha competenze. Il danno sarà molto alto se la tensione è maggiore di 50V. Questo lo chiamo rischio naturale. Poi applicando la matrice, posso ridurre al valore 1 la probabilità se ho un PES (idoneo). Posso ridurre al valore 2 il danno, attuando la doppia protezione (obbligatoria) , oppure facendo un lavoro a distanza. Il lavoro fuori tensione diventa obbligatorio se ci sono incertezze sulla sicurezza. La matrice serve, eccome.... (per me, naturalmente). Buon lavoro a tutti. |
Rispondi Autore: Sergio Signori - likes: 0 | 16/03/2019 (15:17:55) |
Ritengo indispensabile focalizzare l’attenzione sul motivo della valutazione dei rischi: “individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione ed elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza”. E’ necessario individuare, e agire, sui rischi più rilevanti per essere più efficaci nelle azioni di miglioramento. Ovviamente devono essere già state applicate tutte le norme cogenti (non ritengo corretto l’esempio del parapetto, nella “pillola”). Non penso che a qualcuno venga in mente di non applicare una norma cogente sulla base della propria valutazione dei rischi! In un’azienda dove sono avvenuti infortuni (o “near miss” registrati) non è poi così difficile calcolare D e P. Non a caso la norma prevede l’obbligo di riesame della valutazione in caso di infortuni significativi. La valutazione di D e P potrà basarsi, specie nelle aziende senza infortuni, anche sui dati delle registrazioni dei comportamenti non corretti e/o sulle segnalazioni di potenziali situazioni di pericolo da parte dei lavoratori oppure considerando i “miglioramenti” adottati da altre aziende dello stesso settore o, più in generale, il “grado di evoluzione della tecnica”. |
Rispondi Autore: Marco Moretto - likes: 0 | 18/03/2019 (08:14:07) |
Per evitare fraintendimenti sul valore del rischio (es: 4 è il prodotto derivante sia da P=4 e D=1 che viceversa) da tempo si è affermata la matrice P x (D^2) per dare maggior peso al danno. |
Rispondi Autore: Nicola Giovanni GRILLO - likes: 0 | 18/03/2019 (13:45:08) |
Premetto che sono d'accordo con il Collega Gallo sulla "non utilità" della "formula" ai fini della quantificazione assoluta del "Rischio". Tuttavia, personalmente la uso nella seguente variante: R = (P x D)/ki, dove ki è un coefficiente che tiene conto della grado di formazione/informazione dei lavoratori, tanto maggiore è il suo valore e tanto minore sarà il rischio conseguente allo svolgimento di una determinata attività. |
Rispondi Autore: Alessio Ghiggeri - likes: 0 | 27/03/2021 (15:03:16) |
1. effettuare una valutazione dei rischi dove si arriva a conclusioni di rischio del tipo "accettabile" o "tollerabile" è, in Italia, palesemente errata. Non esiste, o quantomeno non sono a conoscenza, della possibilità di avere una soglia di rischio accettabile, anche perchè si accetterebbe la possibilità di avere infortuni, cosa non prevista dal nostro impianto legislativo. La gerarchia utilizzata all'interno dell'81 rispetto ai rischi è: 1 Eliminazione e se proprio proprio non ce la fai (ma non ho mai visto nessuno riuscire a dimostrarlo, 2 Riduzione (con evidente piano di miglioramento nel tempo al seguito) 2 la valutazione livello rischio attraverso l'applicazione di coefficienti di SOLA riduzione che tengono conto di cose che sono già obbligatorie per legge è, a mio avviso, ancora di più priva di senso: la formazione, i DPI, la sorveglianza sanitaria, ecc.. sono già attività che sono obbligatorie per legge a seguito della valutazione dei rischi e quindi non possono essere utilizzate; il rischio di una attività in quota è ALTO a prescindere: per una attività in quota la formazione è obbligatoria a prescindere (proprio perchè il rischio viene valutato alto) e quindi non può essere presa come coefficiente di riduzione. Questo tipo di approccio (tollerabilità/accettabilità, coefficienti di riduzione, ecc) viene utilizzata in paesi dove è possibile utilizzare il rapporto costi/benefici (ad es chi utilizza le BS OHSAS) che in Italia non è possibile utilizzare in quanto abbiamo una logica di fondo che tutela le persone a prescindere (per fortuna). Nella valutazione del rischio rumore (o degli altri rischi fisici normati), secondo l'approccio rischio accettabile/tollerabile, se a conti fatti ci si trova all'interno della fascia di rischio ALTO (come definita dalle linee guida INAIL), è sufficiente dare un paio di cuffie come si deve per rientrare nel rischio BASSO (cosa che ovviamente non possiamo fare, in Italia). Se non vado errato, infatti, in Italia non è possibile valutare il rischio RESIDUO, cioè quello calcolato a VALLE delle misure prese. Infatti solo all'interno di alcuni rischi normati (ad esempio il rischio CHIMICO) è previsto chiaramente dalla nostra legislazione la possibilità di VALUTARE gli effetti delle misure prese: resta il fatto che nel documento di valutazione dei rischi debba essere riportato il risultato ANTE misure di prevenzione e protezione (rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute e tutti i suoi incroci). Per chi lavora anche all'estero come me ha ben chiara questa problematica: nei paesi dove si utilizza il concetto di tollerabilità/accettabilità del rischio, vengono generalmente effettuate valutazione dei rischi che utilizzano i coefficienti di riduzione (formazione, DPI, sorvelgianza sanitaria, ecc..), hanno documenti dove il risultato della valutazione per tutti i rischi è sempre BASSO e, proprio per questo, hanno un livello di investimenti sulla Sicurezza che è pressochè pari a zero (perchè fare investimenti se il rischio è accettabile?). Vi risparmio il fatto che in caso di infortunio fatale, non accade assolutamente nulla in quanto il rischio era per l'appunto accettabile. Sono a conoscenza che da qualche tempo a questa parte, anche in Italia, ci sono colleghi che sempre più utilizzano questo tipo di formule...speriamo che non accada mai, ma a seguito di un infortunio fatale o grave, vedremo l'eventuale sentenza applicata. Anche io ho provato ad utilizzare questo tipo di approccio ma non sono riuscito a trovare in nessun modo, nè sull'impianto legislativo, nè nella documentazione di organi riconosciuti (ad es. INAIL) la possibilità di applicazione di questo tipo di metodo. |