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"Io scelgo la sicurezza", n. 1/2014
È stato pubblicato un nuovo numero della newsletter "Io scelgo la sicurezza", bollettino della regione Piemonte dedicato alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il Focus di questo numero, disponibile online nel sito della regione Piemonte è dedicato alle procedure standardizzate, a seguire i criteri di qualificazione professionale dei formatori, l’aggiornamento professionale dei Medici Competenti e SpresalWeb.
Valutazione dei rischi, procedure standardizzate e rischio basso
di G. Porcellana e M. Montrano (ASL TO3)
Più volte ci siamo interrogati se il D.lgs. 81/08, interessato a pochi anni dalla sua nascita ormai da numerosi interventi di modifica, sia in linea con il principio generale della certezza del diritto che dovrebbe essere riferimento principale di ogni atto legislativo.
Nell’enciclopedia Treccani, accessibile a chiunque, ci viene spiegato che la “certezza del diritto” è il “principio in base al quale ogni persona deve essere posta in condizione di valutare e prevedere, in base alle norme generali dell’ordinamento, le conseguenze giuridiche della propria condotta, e che costituisce un valore al quale lo Stato deve necessariamente tendere per garantire la libertà dell’individuo e l’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Nell’applicazione, la certezza interferisce quindi con la positivizzazione del diritto, con l’alternativa tra rigidità e flessibilità delle norme, con l’interpretazione e in particolare con l’interpretazione evolutiva, con il sistema delle fonti e la tecnica della redazione degli atti normativi, con la retroattività della legge, con il divieto di discriminazione, con la effettività delle norme, anche in caso di violazioni, con i tempi della giustizia”. Molto spesso le norme italiche enunciano il principio di diritto nel loro primo comma, mentre dal secondo comma in poi derogano al primo.
In questo gioco i commi accompagnati dagli avverbi numerali bis, ter, quater, ecc. sono normalmente quelli più apprezzati. E’ una abitudine, anzi una tradizione, come lo sono gli accordi e i regolamenti che si aspettano per anni e che quando finalmente vengono pubblicati risultano, molto spesso, incoerenti con la legge che li ha previsti. Infine non mancano atti derivanti dalla prassi amministrativa, tra i quali spiccano, le famose “circolari esplicative” e, nell’ultimo periodo, le risposte della Commissione per gli Interpelli.
Anche una materia articolata come la normativa sulla sicurezza e la salute dei lavoratori ed in particolare il suo principale, e più complesso, obbligo: la valutazione dei rischi non fa eccezione.
L’obbligo di valutazione di tutti i rischi contenuto nel Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, che discende dal principio enunciato dalla Direttiva 89/391/CE e che rappresenta la prima e più portante misura di prevenzione, impone al datore di lavoro ed ai suoi collaboratori (RSPP e medico competente) un compito molto impegnativo. Sia in termini di ricerca e di analisi delle situazioni, anche potenziali, di pericolo, sia in termini di studio e adozione di misure di prevenzione e protezione idonee ad eliminare o quantomeno a ridurre il rischio.
Tutto si può dire della valutazione dei rischi, ma non che si tratti di un adempimento formale o burocratico. Si tratta invece di una attività a forte valenza prevenzionistica, che accompagnata da una organizzazione del lavoro coerente con essa e da una adeguata ed efficace attività di informazione, formazione ed addestramento porta alla riduzione di infortuni e di malattie professionali. Per mantenere questo sistema virtuoso servono risorse: umane ed economiche che pur trovando ritorni sia a livello aziendale sia a livello sociale (1) richiedono un investimento.
L’attività di vigilanza dimostra che non tutti vogliono/possono fare questo investimento sino in fondo, e non sono pochi quelli che vorrebbero abbassare l’asticella. Nessuno dirà mai che si possono abbassare le tutele, ma un “addolcimento” degli obblighi sarebbe sicuramente salutato con favore dalla maggioranza dei soggetti obbligati. Per anni abbiamo consentito l’autocertificazione della valutazione dei rischi alle imprese sino a dieci addetti e non è un mistero che dietro a questo paravento in tanti hanno completamente o parzialmente eluso i propri obblighi di valutazione dei rischi.
Dopo anni se ne accorta anche l’Unione Europea e obtorto collo la norma sull’autocertificazione, dopo le immancabili proroghe, è stata abrogata. Al suo posto sono arrivate le procedure standardizzate, che però non sono state accolte con troppo entusiasmo ed anzi nella maggioranza dei casi sono state accantonate per lasciare spazio alla valutazione del rischio ed al relativo DVR “tradizionale” .
In pratica molti valutatori si sono accorti che con le procedure standardizzate venivano portati in evidenza molti più rischi di quelli normalmente considerati nelle valutazioni “tradizionali”. C’è persino il rischio sismico! La commissione per gli interpelli ebbe quindi a rassicurare (risposta 7/2012), ancor prima della loro pubblicazione, che le procedure standardizzate non erano, e non sono, vincolanti. Più recentemente la stessa Commissione per gli interpelli (risposta 14/2013) ha fornito una propria lettura della portata della lettera b) dell’articolo 29, comma 7 del D.lgs. 81/ 08 che stabilisce un limite all’utilizzo delle procedure standardizzate definito dal precedente comma 6 (imprese sino a 50 lavoratori).
In particolare il D.lgs. 81/08 afferma che, nei casi previsti dall’art. 29, comma 6, le procedure standardizzate non possono essere comunque utilizzate nelle aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto.
Sul punto la Commissione conclude affermando che: L’art. 224, comma 2, del D.lgs. 81/08 e successive modifiche e integrazioni prevede che «se i risultati della valutazione dei rischi dimostrano che. in relazione al tipo e alle quantità di un agente chimico pericoloso e alle modalità e frequenza di esposizione a tale agente presente sul luogo di lavoro. vi è solo un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori e che le misure di cui al comma 1 sono sufficienti a ridurre il rischio. non si applicano le disposizioni degli articoli 225. 226. 229. 230».
Quando a seguito della valutazione appena riportata risulta che in azienda non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico (vedi art. 29, comma 7, letto b) D.lgs. 81/08), il datore di lavoro di un’impresa che occupa fino a 50 lavoratori può adottare le procedure standardizzate di cui all’art. 6, comma 8, lett. f), del D.lgs. 81/08. Vista l’analogia delle disposizioni di riferimento (vedi art. 271, comma 4, D.lgs. 81/08), le considerazioni su esposte valgono anche per il rischio biologico. Si tratta di un esercizio ardito poiché senza affermarlo la Commissione lascia intendere che nel caso di una valutazione del rischio chimico che concluda per un rischio basso per la sicurezza e irrilevante per la salute dei lavoratori … si possano utilizzare le procedure standardizzate in quanto non si svolgono attività che espongono i lavoratori al rischio chimico (vedi art. 29, comma 7, letto b) D. lgs. 81/08). Il termine “in quanto” lo abbiamo scritto noi mentre la Commissione non lo scrive, ma lo lascia intendere. E’ evidente che affermare che in una attività esiste un rischio basso che può essere governato da delle misure, sia pure generali, di prevenzione non equivale ad affermare che in quell’attività non esiste esposizione al rischio, ma chiunque abbia letto la risposta all’ interpello è arrivato alla conclusione opposta.
Per il rilancio dell’economia e la semplificazione amministrativa nel prossimo futuro ci attende il Decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare, sulla base delle indicazioni della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel quale saranno individuati, sulla base di criteri e parametri oggettivi, desunti dagli indici infortunistici dell’INAIL e relativi alle malattie professionali di settore e specifiche della singola azienda, i settori di attività a basso rischio di infortuni e malattie professionali. Il suddetto decreto conterrà in allegato il modello con il quale, fermi restando i relativi obblighi, i datori di lavoro delle aziende che operano nei settori di attività a basso rischio infortunistico possono dimostrare di aver effettuato la valutazione dei rischi.
Non ci resta che aspettare per vedere chi sarà beneficiato e chi sarà escluso e cosa conterrà questo modello per scoprire se si avvicinerà nuovamente ad una autocertificazione (come molti sperano) oppure no.
Nel frattempo occorre tenere conto del fatto che il succitato Decreto avrà effetti anche sulla sicurezza dei lavori in appalto (articolo 26, comma 3 del D.lgs. 81/08) essendo previsto che, in caso di lavori a basso rischio, con riferimento sia all’attività del datore di lavoro committente sia alle attività dell’impresa appaltatrice e dei lavoratori autonomi, potrebbe essere incaricato un sovrintendente in alternativa alla redazione del DUVRI. Proprio a questo riguardo è notizia di questi giorni che la Commissione Europea interessata dalla segnalazione fatta da Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di Firenze ha deciso di approfondire l’argomento per stabilire se si configuri una violazione della direttiva 89/391/CEE e contatterà le autorità italiane per ottenere informazioni dettagliate sull’attuazione di queste disposizioni dopo l’entrata in vigore delle modifiche legislative in questione. Qui habet aures audiendi, audiat
(1) Per un approfondimento: Relazione sull’impatto economico della sicurezza e della salute sul lavoro negli Stati membri dell’Unione europea https://osha.europa.eu/it/publications/reports/302
" Io scelgo la sicurezza", n. 1/2014 (formato PDF, 719 kB).
RFG
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Rispondi Autore: laura bacci - likes: 0 | 25/03/2014 (09:29:17) |
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