Salute e logistica: interferenze, orari, flessibilità e precarietà
Urbino, 26 nov – Si è parlato spesso in questi anni di “logistics revolution”, con riferimento al ruolo strategico e fondamentale che le attività logistiche – in un settore continuamente in crescita - svolgono nel governo dei processi di produzione, “al punto da modificare le strategie delle imprese e i sistemi di governance politica ed economica”.
Tuttavia se la crescita del settore logistico “ha un grande impatto sul lavoro, contribuendo sia alla creazione di nuove opportunità di occupazione, sia alla formazione di nuovi profili professionali, a cui si richiedono avanzate competenze informatiche e un know how specifico”, è importante aumentare l’attenzione anche sulle condizioni di lavoro e sui rischi in materia di salute e sicurezza, ricordando che “le difficoltà maggiori derivano dal cumulo delle mansioni, dai ritmi e dagli orari di lavoro” (al di là delle problematiche in alcuni settori specifici, come quelli relativi alla filiera del freddo).
A soffermarsi in questi termini sul settore della logistica e a proporre riflessioni e informazioni sulle carenze e sulle necessità in materia di salute e sicurezza è il saggio “Studio sulle condizioni di lavoro nella logistica: tempo e salute”, pubblicato sul numero 2/2020 del “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista dell'Osservatorio Olympus e pubblicazione semestrale dell' Università degli Studi di Urbino.
Nel contributo - a cura di Andrea Allamprese (professore associato di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia) e Olivia Bonardi (professoressa ordinaria di Diritto del lavoro presso l’Università Statale di Milano) – vengono analizzati diversi aspetti problematici, a partire dalla gestione del tempo e della salute e sicurezza di categorie di lavoratori come gli addetti ai magazzini e i trasportatori.
Dopo aver presentato il saggio e aver accennato all’impatto delle nuove tecnologie, ci soffermiamo oggi sui seguenti argomenti:
- Logistica e sicurezza: gli appalti e i rischi organizzativi
- Logistica e interferenze: le carenze della legislazione
- Logistica e sicurezza: tempi, flessibilità e precarietà
Logistica e sicurezza: gli appalti e i rischi organizzativi
Il contributo ricorda che spesso l’organizzazione dell’attività logistica “si caratterizza per la compresenza di più imprese, di varie dimensioni, sia all’interno degli stessi distretti, poli o strutture logistici, sia lungo la catena del valore (prescindendo quindi dalla collocazione fisica dell’azienda)”.
E chiaramente, in queste situazioni, si pone la questione di “come la contractual integration tra le aziende influisca sulla sicurezza del lavoro e sul benessere dei lavoratori”:
- “la compresenza fisica di diverse imprese nello stesso luogo di lavoro incide sulla sicurezza delle operazioni, creando i tipici rischi di interferenza lavorativa: basti pensare all’interazione fra le attività di carico e scarico dei camion e di trasporto che si realizzano negli spazi adiacenti ai magazzini e nelle aree comuni dei poli logistici;
- l’inserimento delle attività della singola impresa all’interno di un processo di organizzazione logistica più ampio, che si caratterizza per la necessità di spostare fisicamente i beni in un determinato arco temporale anche attraverso l’utilizzo di tecnologie che ne consentono il controllo in tempo reale, pone il problema dell’effettiva possibilità, da parte dell’impresa e dello stesso prestatore di lavoro, di controllare il processo produttivo in modo da renderlo e mantenerlo conforme agli standard di sicurezza”.
Riguardo ai rischi da interferenza lavorativa, l’analisi della giurisprudenza “mostra un panorama ampio e variegato”.
In particolare i giudici hanno dovuto “risolvere non poche questioni, in buona parte riconducibili:
- all’assenza di coordinamento delle operazioni, soprattutto a fronte della mancata indicazione delle operazioni di carico e scarico nel DVR;
- alla mancata adozione di misure volte ad evitare che i lavoratori a piedi si trovino nelle zone di attività di mezzi semoventi;
- alla presenza di insidie nella pavimentazione dei piazzali dove si svolgono l’attività di carico e scarico delle merci;
- all’uso improprio dei macchinari o ai comportamenti imprudenti, ancorché assolutamente prevedibili, dei lavoratori”.
Segnaliamo che per ogni questione il saggio riporta vari esempi di Sentenze.
Logistica e interferenze: le carenze della legislazione
Si ricorda che, riguardo a queste problematiche, “la legislazione mostra tutti i suoi limiti”. Infatti “il processo di erosione degli obblighi di sicurezza da rispettare in caso di appalto originariamente previsti dall’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008 – iniziato con il d.lgs. n. 106/2009, e proseguito con i successivi provvedimenti di semplificazione – ha inciso profondamente sul sistema della logistica escludendo l’obbligo di valutazione dei rischi da interferenza sia nei casi in cui il committente non abbia la disponibilità giuridica dei luoghi di lavoro, sia per le attività di mera consegna”.
E per quanto riguarda specificamente il settore logistico, “nell’ampiamente criticata circolare del Ministero del lavoro 11 luglio 2012, n. 17, le norme in materia di responsabilità solidale del committente sono state ritenute non applicabili ai contratti di trasporto, subvezione” (quando il vettore affida ad altri subvettori l’esecuzione dei trasporti), spedizione, “a meno che il trasportatore non compia anche attività aggiuntive, sostanzialmente di magazzinaggio. È utile sottolineare che tra le attività aggiuntive, che consentirebbero di considerare il contratto di trasporto soggetto alla disciplina degli appalti, non rientrano quelle di custodia e carico e scarico merci, che sono esattamente quelle che presentano i maggiori profili di rischio”.
E “non ha avuto miglior sorte il tentativo, sempre alla luce delle indicazioni dell’art. 26 del d.lgs. n. 81/2008, di migliorare le condizioni di lavoro mediante la realizzazione di sistemi di qualificazione delle imprese, tentativo rimasto sostanzialmente al palo”.
Il contributo si sofferma poi ampiamente sugli sforzi fatti in tal senso con l’esperienza della Road Alliance per il settore dell’autotrasporto e con l’introduzione (3 dicembre 2017) nel Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) Logistica, Trasporti merci, Spedizioni di disposizioni in materia di qualificazione delle imprese e appalti.
Logistica e sicurezza: tempi, flessibilità e precarietà
Gli autori ricordano che alcuni elementi tipici dell’attività logistica, “segnata da picchi di lavoro giornalieri, settimanali e stagionali – che determinano un’altissima esigenza di flessibilità, sia interna, in termini di orari di lavoro e di adattamento del lavoratore allo svolgimento di mansioni diverse (vedi in particolare il caso degli autisti), sia esterna, in termini di necessità di incrementi temporali del numero dei lavoratori presenti in azienda”, rappresentano una riprova della “connessione esistente tra tutela della salute e sicurezza sul lavoro e tempo di lavoro”.
In particolare “le problematiche che insistono prevalentemente sulla salute sono quelle connesse all’orario di lavoro, caratterizzato da poca prevedibilità e da turni di lavoro estremamente lunghi”.
Il saggio si sofferma sui dettagli, in materia di orari e flessibità richiesta, del Ccnl Logistica, Trasporti merci 3 dicembre 2017 (con un “significativo aumento della flessibilità oraria, tramite il passaggio all’orario multiperiodale, con una durata del lavoro di 39 ore settimanali da calcolarsi come media su un periodo di quattro mesi e con l’allargamento dei margini di discrezionalità del datore di lavoro nella determinazione della collocazione temporale della prestazione”), delle previsioni contenute nell’accordo di adesione al Ccnl sottoscritto il 30 maggio 2019 da Agci Servizi, Confcooperative lavoro e servizi, Legacoop produzione e servizi e di altri Ccnl più flessibili, ad esempio, il Ccnl Multiservizi siglato il 23 maggio 2019 da Conflavoro Pmi e Fesica-Confsal, Confsal-Fisals.
Si ricorda poi che il tema della definizione dell’orario di lavoro è “strettamente connesso alla diffusione in tutto il settore – ed a livello globale – del fenomeno del benching”, cioè alla prassi di “lasciare i lavoratori diverse ore in attesa di essere chiamati per il lavoro, senza alcuna indennità o garanzia di convocazione” (anche in questo caso il saggio compara le previsioni dei vari Ccnl).
Si indica poi che per quanto riguarda la flessibilità esterna, “da tempo gli studi che si sono occupati del settore della logistica hanno posto in luce la diffusione di varie forme di lavoro precario”.
La principale “è, in tutto il mondo, la somministrazione di lavoro, anche se alla tendenza generale al ricorso alla somministrazione (a termine ed a tempo indeterminato) si affiancano prassi nazionali diversificate, sia in funzione della regolamentazione giuridica della fornitura di lavoro e della sussistenza o meno di altre opportunità e forme di lavoro, sia in ragione di fattori specifici, quali le caratteristiche della particolare filiera produttiva di volta in volta presa in considerazione o la dimensione e la struttura delle imprese”. E si assiste, così, “anche alla diffusione di forme di lavoro a chiamata o a termine”.
In particolare quella che è stata definita la “via italiana alla logistica” si è “caratterizzata per il massiccio impiego delle cooperative di produzione e lavoro con fenomeni di auto sfruttamento e con la diffusione di cooperative ‘spurie’ che hanno operato prevalentemente in violazione delle norme legali”.
Si segnala che se il ricorso alla cooperazione “non risulta di per sé particolarmente problematico dal punto di vista della tutela della salute e sicurezza sul lavoro, in quanto i soci di cooperativa sono soggetti alle stesse tutele previste per la generalità dei lavoratori subordinati dal d.lgs. n. 81/2008, sul piano sostanziale emergono diversi ordini di problemi: il frequente cambio di appalti si è rivelato essere un elemento di precarietà del lavoro anche quando i soci sono assunti sulla base di contratti a tempo indeterminato (e rispetto a tale fenomeno è stata sottolineata la ricattabilità, soprattutto dei lavoratori stranieri, impiegati massicciamente in questo settore, dovuta – come già ricordato – al rischio di perdere con il lavoro anche il permesso di soggiorno); quando, poi, le cooperative operino oltre i limiti della legalità, è facile intuire che alla sistematica violazione dei diritti in materia retributiva e contributiva si possa accompagnare l’omissione delle misure di sicurezza e di protezione della salute, secondo prassi da tempo conosciute”.
In definitiva e sul piano generale, conclude il saggio in materia di flessibilità e precarietà, “anche a prescindere dal tipo contrattuale, la precarietà del lavoro porta con sé una serie di rischi, già molto bene evidenziati dalla letteratura scientifica, connessi alla mancata formazione, all’inadeguata conoscenza dell’ambiente di lavoro, all’insufficiente fornitura dei d.p.i. e alla mancanza di controllo sanitario”.
Senza dimenticare “lo stress generato dall’ansia circa l’incertezza del futuro, che aggrava quello insito nell’attività lavorativa; il fenomeno del presenzialismo connesso, in questo settore, a quello del benching e il probabile uso di sostanze stimolanti (prevalentemente amfetamine) per poter sostenere i lunghi turni di lavoro”.
Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del saggio che riporta ulteriori dettagli, indicazioni sulle fonti utilizzate per la stesura del documento e interessanti approfondimenti in materia di:
- salute e sicurezza del lavoro sui camion
- salute e sicurezza del lavoro sul furgone
- salute e sicurezza del lavoro su due ruote.
Tiziano Menduto
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