Per la sostenibilità nel non profit serve una visione integrate delle tre dimensioni
In precedenti articoli si è parlato di sostenibilità con riferimento principalmente alle imprese e alla loro idoneità a intraprendere investimenti a carattere sostenibile, nonostante siano per definizione for profit. Ho anche fatto qualche accenno alla convenienza economica della sostenibilità per le istituzioni pubbliche, pur se quest’ultime non abbiano alcun fine di lucro.
Ora, a completamento dell’argomento, può essere utile considerare la situazione del terzo settore che è definito ugualmente non profit, ma, per le esigenze della stessa sostenibilità, non può limitarsi a curare soltanto gli aspetti sociali, disinteressandosi di quelli economici e di quelli ambientali.
Le organizzazioni non profit e le loro principali caratteristiche
Innanzitutto è importante sottolineare che si tratta di un gruppo di aziende molto numeroso e diversificato (circa 363.500 istituzioni, secondo i dati Istat), il quale comprende giuridicamente non soltanto le associazioni e le fondazioni (cioè le persone giuridiche private e quelle non riconosciute, come previste dall’articolo 14 e seguenti del Codice civile), ma anche le società (soprattutto cooperative sociali) che, pur avendo la natura giuridica lucrativa, statutariamente la escludono, proprio per concentrare l’attività sullo scopo sociale. Ovviamente, nel corso degli esercizi possono formarsi degli utili più o meno rilevanti, ma questi non vengono tassativamente utilizzati per remunerare il capitale conferito dai soci, bensì sono accantonati a riserva per far fronte a future evenienze sfavorevoli oppure per sviluppare ulteriormente l’attività.
Indipendentemente da molte organizzazioni che si occupano esclusivamente di fornire servizi ai propri soci, la maggioranza di quelle che svolgono attività esterna ha scopi prioritariamente sociali e quindi persegue direttamente un aspetto essenziale dello sviluppo sostenibile. A questo punto, considerata pure l’assenza di lucro, si potrebbe concludere che si tratta a pieno titolo di aziende sostenibili; ma, in realtà, non sempre è così, in quanto può mancare il requisito del miglioramento ambientale e pure una gestione economica dell’attività. Come è stato più volte sottolineato in altre occasioni, lo sviluppo sostenibile prevede infatti l’integrazione delle tre dimensioni: sociale, ambientale ed economica.
È ben vero che in questi casi lo scopo prevalente o anche esclusivo è quello sociale (tanto è vero che queste aziende vengono pure denominate imprese sociali), ma il meritorio raggiungimento di questo obiettivo non può avvenire a scapito delle altre due dimensioni. Infatti, per i criteri generali della sostenibilità, non si può pensare di fare al meglio l’attività sociale, contribuendo però ad aggravare la crisi climatica, disinteressandosi delle emissioni dannose per la temperatura e per l’inquinamento. Anche se questi effetti solitamente non sono molto rilevanti nel campo della produzione dei servizi, sono sempre necessari edifici e mezzi di trasporto, per lo svolgimento anche di queste attività, che consumano generalmente elevate quantità di combustibili fossili.
Inoltre, non si può pure ritenere di prestare i servizi sociali previsti senza un adeguato controllo economico della gestione, non per accrescere gli utili, ma per abbassare i costi in modo da fornire maggiori e migliori prestazioni con i fondi a disposizione.
Sotto questo aspetto, la gestione dell’azienda non profit è avvantaggiata rispetto a quella dell’impresa, in quanto il capitale sociale non deve essere remunerato con profitti e buona parte del capitale complessivo impiegato proviene da contributi pubblici a fondo perduto e da donazioni private che nemmeno devono essere restituite. D’altronde, anche il fattore lavoro non sempre viene remunerato, in virtù delle numerose esperienze di volontariato. Ovviamente, questi vantaggi portano alla possibilità di offrire un più basso livello dei prezzi dei servizi o addirittura alla loro gratuità, ma con un’accorta gestione economica i risultati potrebbero essere ancora migliori.
In sintesi, una valutazione completa dell’attività non profit deve considerare l’adeguatezza del risultato sociale, compatibilmente con una riduzione almeno modesta delle emissioni di gas serra e con una sia pur minima performance economica interna. In altri termini, nell’ambito della gestione dell’azione sociale prevalente, da massimizzare come ordinariamente si fa, vanno applicati i principi economici di efficienza e di efficacia e parallelamente è indispensabile intraprendere qualche investimento aggiuntivo per un graduale miglioramento ecologico (risparmio energetico ed energie rinnovabili).
Come rilevato per le imprese e per la Pubblica amministrazione, anche per le organizzazioni in esame una tale strategia di sviluppo porta a qualche contenuta riduzione dei risultati a breve, per il costo iniziale dell’investimento ambientale e della riorganizzazione interna, ma certamente ciò produrrà migliori risultati nel medio – lungo termine, quando si saranno manifestati tutti gli impatti positivi per l’azienda e la collettività. Infatti, con l’azione sostenibile si prevedono nel futuro ritorni maggiori in termini di risparmio di costi e/o di crescita di ricavi, nonché di relazioni sociali e di miglioramenti ambientali.
La valutazione d’impatto della strategia sostenibile
Naturalmente occorre valutare a preventivo (e poi a consuntivo) la validità della strategia complessiva programmata, che certamente si presenta ampia e complessa anche per le organizzazioni non profit, che sono per lo più di modeste dimensioni. Ma ora alcune direttive comunitarie e soprattutto il Regolamento delegato Ue 2023/2772 della Commissione (in data 31 luglio 2023 e pubblicato il 22 dicembre 2023) hanno fissato chiaramente i principi di rendicontazione di sostenibilità. Anche se la loro applicazione sarà difficile perché riservata alle grandi aziende, vi è la possibilità di semplificare molti procedimenti per le unità di minori dimensioni e già si stanno perfezionando modelli ridotti per le aziende non tenute agli obblighi comunitari.
È però il caso di sottolineare che dette norme sono focalizzate sulla veridicità delle informazioni e delle misurazioni, non sul giudizio di merito conseguente se la situazione rappresentata dalle cifre sia soddisfacente o meno dal punto di vista dello sviluppo sostenibile. Per quest’ultimo passaggio serve una valutazione d’impatto per tutto il periodo della strategia e dei suoi conseguenti effetti, mettendo a confronto i costi (per lo più iniziali degli investimenti necessari) con i benefici (presenti e futuri, anche a protratta scadenza) derivanti dalle azioni programmate. A tale proposito, risultano essenziali:
- l’analisi costi – benefici, per comparare i costi con i benefici monetari (per gli impatti che hanno manifestazioni monetarie o che possono essere stimati monetariamente in maniera attendibile);
- l’analisi costi – efficacia, per comparare i costi con risultati misurabili, ma non monetari;
- l’analisi qualitativa, per comparare i costi con risultati che non si possono quantificare, ma che comunque hanno una rilevanza nel giudizio (ad esempio, il grado di soddisfazione delle categorie coinvolte nella strategia).
Per quanto riguarda la prima analisi, che è sicuramente la più complessa, emergono comunque evidenze informative e di approfondimento maggiormente percepibili e orientabili alla scelta decisiva, in quanto tutti gli effetti sono ricondotti al metro monetario e comparabili tra loro. Pertanto, ove possibile, si presenta come la soluzione prioritaria.
La seconda, sebbene più semplice, perché riferibile a semplici indicatori quantitativi più facilmente determinabili, evidenzia la difficoltà di confrontare dati di grandezze diverse, raramente paragonabili e cumulabili. Risulta comunque molto utile la valutazione del posizionamento degli stessi indicatori in relazione a dei parametri – obiettivo, come è usuale fare proprio nei confronti dei Goal dell’ Agenda 2030 dell’Onu e di altri obiettivi internazionali ed europei, già prefissati.
La terza, infine, non deve essere tralasciata perché sempre completa il giudizio con valutazioni molto importanti che non si prestano ad essere quantificate in maniera univoca.
Il giudizio complessivo sulla validità socio-economica-ambientale della strategia è quindi soggetto a un’integrazione delle tre metodologie.
La valutazione dei benefici delle imprese sociali
A questo punto, è opportuno ancora fornire alcune precisazioni sull’analisi costi – benefici per le organizzazioni non profit che si occupano dello sviluppo sociale, sempre indipendentemente dalla loro natura giuridica.
Innanzi tutto, anche se manca il fine di lucro, i loro risultati economici, lungo tutto il periodo degli investimenti strategici sostenibili, potranno essere per lo più negativi o molto bassi all’inizio e successivamente crescenti fino a conseguire un discreto equilibrio, ma, dopo un certo tempo (quando gli impatti positivi si cumuleranno), si otterrà un soddisfacente incremento degli utili (ovviamente non distribuibili), che permetterà uno sviluppo anche significativo dell’attività aziendale, nonché del benessere per tutta la comunità esterna (la quale, a sua volta, creerà le condizioni per ulteriori effetti positivi all’interno dell’organizzazione).
I benefici, come accennato, potranno essere monetari ed effettivi (se i servizi forniti sono a pagamento) e quindi dar luogo a ricavi ed a utili (al netto dei costi). Ma molti altri servizi vengono erogati solitamente a prezzi più bassi od addirittura gratuitamente (in virtù di altre entrate o di lavori di volontariato). In questi casi, allora, bisogna valorizzare il beneficio facendo riferimento ai prezzi di mercato di servizi equivalenti (si tratta spesso di prezzi applicati da imprese for profit che producono per il mercato servizi simili, oppure, ancora meglio, di “prezzi – ombra” stimati sulla base dell’utilità futura del servizio stesso per il beneficiario).
Detta operazione è assai difficile da compiere, ma necessaria per evidenziare il reale effetto economico dell’azione sociale, in quanto, in assenza di tale valutazione, il beneficio si tramuterebbe in un valore uguale al costo del servizio, mentre sono proprio i vantaggi seguenti alla prestazione che fanno la differenza. Basti pensare, per esempio, al beneficio economico di un intervento di formazione mirata per un giovane disabile che gli permetta di trovare un posto di lavoro dignitoso e di mantenersi per il resto della vita: al costo modesto della formazione iniziale si contrappone un guadagno enorme per l’interessato, dato dal cumulo di tutti i redditi di lavoro e di pensione per 50 o 60 anni. Ovviamente i benefici successivi vanno attualizzati e quelli a lunga scadenza diventano molto inferiori con questa operazione, ma la differenza complessiva con il costo iniziale rimane comunque molto rilevante.
È anche possibile calcolare lo SROI (Social Return On Investment), cioè il rendimento dell’investimento sociale, allo stesso modo con cui si calcola il ROI per gli investimenti di natura esclusivamente economica.
La maggior parte dei benefici sociali, contrariamente a quanto si crede, sono monetizzabili. Per citare soltanto quelli relativi ai primi Obiettivi dell’Agenda 2030, si può notare che:
- Obiettivo 1: l’eliminazione della povertà (da perseguirsi con il lavoro) prevede l’autonomia economica dei soggetti trattati;
- Obiettivo 2: l’annullamento della fame consente agli interessati di lavorare e di guadagnare;
- Obiettivo 3: il miglioramento della salute permette pure di lavorare di più e percepire maggiori redditi e valore aggiunto per la collettività;
- Obiettivo 4: una maggiore istruzione (e formazione) favorisce un lavoro più remunerativo;
- Obiettivo 5: un maggior spazio alle donne presuppone un maggiore e migliore sviluppo anche economico;
- Obiettivo 6: migliori servizi idrici per tutti generano numerosi vantaggi economici;
- Obiettivo 7: l’energia pulita comporta pure benefici economici protratti nel tempo;
- Obiettivo 8: la diffusione del lavoro dignitoso costituisce il fattore essenziale proprio per la crescita economica.
Considerazioni finali
Senza continuare su ulteriori aspetti del tema, si può osservare brevemente che, alla luce delle tendenze in atto verso uno sviluppo sostenibile integrato, non è più possibile separare gli obiettivi sociali da quelli economici e da quelli ambientali e pertanto le diverse organizzazioni, nell’ambito della loro attività e dei propri fini, sono necessariamente portate a diventare completamente sostenibili. Ciò è avvalorato pure dal fatto che almeno le istituzioni europee si vanno rafforzando in questo campo e propongono vincoli sempre più stringenti all’operato delle aziende, ma anche il mercato e i fenomeni naturali in cambiamento stimolano sempre più gli operatori a intraprendere la strada dello sviluppo sostenibile. È un percorso difficile perché dovremo tutti misurarci con le difficoltà della transizione, che ci costerà denaro e fatica, ma, se sapremo superare questa fase, i benefici futuri saranno notevoli e ci compenseranno di tutti gli sforzi compiuti.
Anche nell’universo non profit la situazione è in evoluzione e le organizzazioni sono sempre più coscienti di questi cambiamenti. Per segnalare soltanto un caso emblematico, basta citare le esperienze strategiche e operative di Banca Etica. Pur trattandosi di una banca, e quindi giuridicamente orientata al profitto, ha scelto statutariamente l’assenza del fine di lucro e la destinazione dei propri finanziamenti esclusivamente a investimenti sociali ed ambientali, diventando l’unica banca italiana completamente sostenibile. Inoltre presenta annualmente un bilancio integrato con dati economico – finanziari collegati a numerosi indicatori sociali ed ambientali, che mettono in evidenza l’impatto dell’attività per l’azienda stessa e per la collettività, in anticipo rispetto alle previsioni normative non ancora attuate.
Nonostante il suo impegno nella sostenibilità, la sua situazione economica non è affatto deficitaria, anzi presenta utili in crescita per lo sviluppo ulteriore della società. Proprio il finanziamento di investimenti mirati di natura sociale ed ecologica determina la rilevazione di minori rischi futuri e presenta un grado di deterioramento dei prestiti molto inferiore alla media di tutto il sistema bancario.
Renato Chahinian
Fonte: futuranetwork