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La centralità del benessere lavorativo, le due dimensioni e il lavoro agile

Urbino, 27 Giu – Partendo da quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità la salute deve essere intesa come uno ‘stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità’. E portando questa visione “unitaria bio-psico-sociale della salute” all’interno del d.lgs. n. 81/2008 si “evoca necessariamente lo specifico contesto entro il quale gli elementi che la compongono (fisico, mentale e sociale) per un verso rischiano di essere messi a repentaglio e per altro verso richiedono di essere tutelati: tale contesto è appunto l’organizzazione nel cui ambito il lavoratore opera”.
Lo racconta il Prof. Paolo Pascucci (“Il rilievo giuridico del benessere organizzativo nei contesti lavorativi” in “Prisma Economia Società Lavoro”) e riprende questo concetto un breve saggio pubblicato sul numero 2/2024 di “Diritto della sicurezza sul lavoro”, rivista online dell'Osservatorio Olympus dell' Università degli Studi di Urbino.
In “Il benessere lavorativo per la attraction e la retention delle risorse umane”, a cura di Massimiliano De Falco (Assegnista di Ricerca in Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Udine), si indica che al di là della prescrizioni tecniche, “tutt’oggi prevalentemente plasmate sulla tangibilità del rischio materiale, si deve, dunque, sottolineare” come la prospettiva organizzativa costituisca ormai un cruciale ambito di investigazione laddove si voglia affrontare la dimensione psicofisica, psicosociale e sociale del pericolo”.
Ricordiamo che il saggio nasce dalla rielaborazione di una relazione (Meno smart più Resignation: il lavoro agile per il contrasto alla “Grande Dimissione”) discussa nell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo il 19 gennaio 2024 nell’ambito del Seminario «Lavoro agile. Obblighi di prevenzione, organizzazione del lavoro e prospettive di welfare».
Per presentare brevemente il saggio ci soffermiamo sui seguenti punti:
- Il benessere lavorativo e il lavoro agile come cartina di tornasole
- Il benessere lavorativo: dimensione individuale e organizzativa
- La centralità del benessere, il lavoro agile e il circolo virtuoso
Il benessere lavorativo e il lavoro agile come cartina di tornasole
Come indicato nell’abstract del saggio, l’autore si muove dalla disamina delle transizioni occupazionali avvenute nel contesto della cd. “Grande Dimissione”, una sorta di momento che è sembrato diventare “emblema della fine della affezione dei lavoratori verso il posto fisso e del passaggio dalla stabilità dell’impiego alla flessibilità nell’impiego” (con riferimento, in particolare, al biennio 2021-2022, in cui il mercato del lavoro “è stato scosso da una inattesa esplosione del numero di dimissioni, che ne ha innescato un profondo ‘rimescolamento’”).
Il saggio intende proporre, come abbiamo visto in premessa, “uno studio su una specifica declinazione della salute lavorativa divenuta ormai cruciale nelle odierne relazioni di impiego, quale è quella del benessere, individuale e organizzativo”. E l’obiettivo è quello di “comprendere l’attitudine dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro, da un lato, a migliorare la qualità delle condizioni occupazionali dei propri destinatari e, dall’altro, a generare benessere diffuso, anche per chi non possa fruirne direttamente”.
Sempre l’abstract indica che la verifica dell’ipotesi di ricerca è “affidata a un’analisi giuridica e di relazioni industriali del lavoro agile, nella convinzione che esso possa fungere da cartina di tornasole per un più ampio ripensamento del rapporto fra organizzazione e salute lavorativa”. Mentre sul piano metodologico, “all’approfondimento della normativa e della dottrina si affianca un esame dei testi contrattual-collettivi di riferimento e di alcune indagini empiriche a supporto del ragionamento”.
Il benessere lavorativo: dimensione individuale e organizzativa
Nella prima parte del saggio ci si sofferma sul concetto del "benessere della persona che lavora", inteso come "stare bene nell’impiego". E se alla realizzazione di questo benessere concorrono “i fattori di contesto e di contenuto del lavoro”, “a questi si aggiunge una variabile emotiva, dipendente dal senso di appagamento e soddisfazione che la persona trae dall’impiego”.
Per promuovere questo "benestare" è necessario uno "sforzo “proattivo e capacitante” per riconfigurare l'ambiente di lavoro” come spazio per la ‘fioritura’ dei suoi membri.
Se le organizzazioni stanno cominciando a prendere sempre più coscienza del nesso diretto tra il benessere dei dipendenti e obiettivi di efficienza e produttività, l’autore distingue anche tra il benessere della persona che lavora (dimensione individuale) e il benessere organizzativo (dimensione collettiva). E se quest'ultimo sconta la mancanza di una “chiara ed inequivocabile definizione legislativa”, viene comunque associato allo «stato di salute di un’organizzazione in riferimento alla qualità del sistema di relazioni ed al grado di benessere fisico, psicologico e sociale della comunità lavorativa».
La centralità del benessere, il lavoro agile e il circolo virtuoso
Rimandando alla lettura integrale e alle varie riflessioni dell’autore – specialmente per quanto riguarda il lavoro agile - veniamo direttamente alle sue considerazioni finali.
Le riflessioni presenti nel saggio, come indicato all’inizio, sono state ispirate dal “recente e inedito dinamismo del mercato del lavoro” e dopo avere esaminato le “transizioni occupazionali intervenute nel contesto della cd. ‘Grande Dimissione’, si sono fermate davanti all’approccio “strettamente quantitativo sui flussi dei dati ministeriali”.
Tuttavia, attraverso la letteratura sociologica è stato possibile “afferrare le ragioni sottostanti al fenomeno, confermando la centralità del benessere fra le aspettative riposte dai prestatori nelle attuali relazioni di impiego”. E per verificare la capacità dei nuovi modelli di organizzazione del lavoro di incidere sul soddisfacimento di queste istanze, l’autore ha preso a riferimento la “modalità agile, nella salda idea che essa ben possa riassumere gli elementi con cui tale benessere può essere generato, per i destinatari della misura, e diffuso, nell’intera comunità aziendale”.
E al netto di alcune ambiguità – “riscontrate, in particolare, con riguardo alla condizione delle lavoratrici” – la disamina della disciplina legale e della regolamentazione contrattual-collettiva dell’istituto ne ha mostrato la attitudine a indurre il tanto agognato miglioramento delle condizioni di impiego”.
Il saggio ha poi portato il focus anche dal piano individuale verso quello organizzativo, cercando di comprendere “se la modalità agile possa influenzare anche il benessere della comunità lavorativa”. E la questione potrebbe essere risolta sostenendo che “i contesti in cui si diffonde l’agilità accolgono persone più soddisfatte, con un miglioramento complessivo dell’ambiente e delle relazioni di lavoro”.
Non sfugge, però, la dimensione elitaria secondo la “regola dei terzi” (come indicata da M. Brollo in “La polifunzionalità del lavoro agile”) secondo cui “può accedervi solo un terzo dei prestatori (perlopiù nel segmento impiegatizio), in un terzo delle organizzazioni (propense all’innovazione, per struttura o per attività esercitata) e per un terzo delle giornate di impiego settimanali (al massimo)”. Inoltre c’è il divario, di cui tener conto, “fra le persone dotate delle competenze necessarie per lavorare in modo smart e quelle che, in quanto prive di un’adeguata alfabetizzazione digitale, non possono fruire della misura”.
Tuttavia si evidenzia come “la pretesa all’agilità di pochi abbia innescato un circolo virtuoso per molti – ossia anche per chi non se ne sia potuto direttamente avvalere – in virtù della attitudine dell’istituto a trasformare tutta la organizzazione (e le relazioni sindacali) in cui esso viene adottato”.
Insomma, tornando alle considerazioni finali, “apprezzabilmente, lo strumento si è rivelato carburante per il motore del cambiamento organizzativo, spingendo gli attori delle relazioni industriali verso l’introduzione di innovative tecniche di tutela, valide per rispondere alle esigenze di tutti”.
In definitiva “in quanto idoneo, ove opportunamente strutturato, a incidere sul benessere dei singoli e a stimolare quello organizzativo, lo ‘ smart working’” – conclude l’autore – “potrebbe, finalmente, avverarsi, contribuendo alla produttività (e all’efficienza), in termini di attraction e retention delle risorse umane, oggi non solo preziose, ma indispensabili”.
E, in questo senso, le considerazioni esposte nel saggio sull’agilità consentono, “di guardare in filigrana, e con una luce parzialmente nuova, i modelli con cui il lavoro è organizzato, alla ricerca della – plurimamente declamata, ma, purtroppo, ancora poco praticata – valorizzazione delle multiformi dimensioni della salute lavorativa, che convengono a tutti e di cui tutti devono poter godere”.
RTM
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