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Oltre lo stress da tecnologia e modernità: Eu-Tecno e Smart Working

Oltre lo stress da tecnologia e modernità: Eu-Tecno e Smart Working

Autore: Andrea Cirincione

Categoria: Rischio psicosociale e stress

20/04/2017

Le conseguenze dell’innovazione tecnologica, il disadattamento evolutivo e le caratteristiche dello smart working. L’approccio Eu-Tecno e i 4 pilastri relativi a responsabilità, gestione, organizzazione ed ergonomia. A cura di Andrea Cirincione.

Oltre lo stress da tecnologia e modernità: Eu-Tecno e Smart Working

Le conseguenze dell’innovazione tecnologica, il disadattamento evolutivo e le caratteristiche dello smart working. L’approccio Eu-Tecno e i 4 pilastri relativi a responsabilità, gestione, organizzazione ed ergonomia. A cura di Andrea Cirincione.

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Pubblichiamo un contributo di Andrea Cirincione, psicologo del lavoro, per affrontare e andare “oltre” lo stress da tecnologia e modernità, con riferimento anche al tema dello smart working e all’organizzazione da parte dell'Associazione AiFOS di recenti corsi e convegni sul tema.

 

L’innovazione tecnologica ci accompagna dalla notte dei tempi, solo con un passo sempre più spedito. E come sempre la soluzione di vecchi problemi ha determinato grande progresso ma anche nuovi problemi. Basti pensare alle nevrosi da lavoro prodotte dalla velocità e dallo stress. La modernità ha certamente migliorato la salute fisica (l’età media aumenta) ma non si può dire che abbia migliorato la salute mentale. I rischi psicosociali sono dilaganti, specie in contesti nei quali il lavoro viene smaterializzato, riducendo i rischi fisici tipici del lavoro industriale e manuale. L’uomo contemporaneo è alla ricerca di un riequilibrio, dettato da una sorta di disadattamento evolutivo che è il frutto di un corredo genetico che, per quanto flessibile, sembra soffrire di meccanismi sviluppati per altri ritmi. È un fiorire di riscoperta della natura, della meditazione, del tempo come risorsa perduta.

 

Come formatori e consulenti della salute e sicurezza sul lavoro siamo chiamati a riflettere sugli effetti delle innovazioni, senza nessun pregiudizio a favore o contro. Siamo consapevoli di dover massimizzare i benefici del cambiamento e ridurne gli “effetti collaterali”.

Già da qualche decennio si parla di “tecnostress”, qualificando così le implicazioni “al negativo” del progresso. In effetti, si studiano gli effetti dell’uso di strumenti tecnologici, e qualcuno suona il campanello d’allarme. Quando Johannes Gutenmberg inventò la stampa in senso moderno arrivò a pubblicare la prima edizione della Bibbia (erano gli anni attorno al 1450). Immaginiamo cosa potesse essere il lavoro dei monaci copisti, una fatica che “annebbia la vista, incurva la schiena, schiaccia le costole ed indolenzisce il corpo”, come scrisse un amanuense nel colophon del suo libro. Queste parole oggi fanno pensare a quale responsabilità gravasse su questi monaci per garantire la trasmissione della conoscenza, a quale metodo di gestione del lavoro fosse insegnato, a quale modello di organizzazione abbiano usato per predisporre lo “scriptorium” dell’abbazia, e quale ergonomia guidasse la concezione della postazione lavorativa. Sappiamo che lo sciptorium era l’unica stanza sempre riscaldata e col massimo delle risorse di luce possibili (finestre e candele), perché le dita fossero calde e gli occhi non si rovinassero. L’avvento della stampa rese obsoleto tutto questo, e il libro stampato ebbe una diffusione inarrestabile.

 

Oggi conosciamo le rivoluzioni in atto: l’inchiostro elettronico si è affiancato a quello tradizionale. Il luogo di lavoro è esteso ben oltre la classica postazione. La transizione rientra, anche nel giuslavorismo, sotto il termine di smart working: “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” (Jobs Act).

Dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano riferiti al 2016 parlano di 250.000 lavoratori “smart”, numero in crescita nelle grandi imprese e stabile nelle PMI. Si può dire che in questo momento circa il 7% dei lavoratori italiani è flessibile nel luogo, nell’orario e negli strumenti di lavoro. La collaborazione tra lavoratori è sempre più social grazie a internet. Le attuali evidenze rilevano un buon feedback di tutto questo, ma di certo non è tutto oro quel che luccica.

 

Guardando al livello di concentrazione e performance, al confine tra vita personale e lavorativa, alla sensazione illusoria che un software risolva tutto, alla stessa interazione tra uomo e tecnologia, i dati tendono a delineare quel contesto di “società dello stress” che è sotto gli occhi di tutti: tempi stretti, programmazione sofferente, conflitti interni ed esterni, competitività, redditività. L’epoca del tecnocentrismo ben delineata da Mc Luhan tra il 1960 e il 1980 si è affacciata con molte delle caratteristiche da lui immaginate.

 

Col nome di Approccio Eu-Tecno vogliamo circoscrivere un ambito di studio e formazione che proponga l’accostamento alla tecnologia nella sua migliore versione, quella che massimizza i benefici e minimizza i rischi. Siamo pertanto nel pieno rispetto di quanto previsto dal D.Lgs. 81/08, dalle certificazioni di qualità, norme ISO e quant’altro giri attorno al mondo produttivo. Compresi i benefici richiesti dalle logiche del mercato.

 

Non deve stupire vedere aziende che portano avanti politiche di diversity management, valorizzando le differenze, la genitorialità e in generale il Benessere Organizzativo. A questo proposito è interessante il cosiddetto paradosso della felicità di Easterlin (1974, Richard Easterlin, secondo il quale l’aumento di reddito fa crescere la soddisfazione solamente fino a un certo punto: poi la sensazione gratificante ristagna anzi decresce secondo una curva “a U rovesciata”. Al netto dei gravi problemi che abbiamo a livello nazionale e internazionale, molti osservatori affermano che sotto molti punti di vista viviamo un’epoca positiva (rispetto al passato) in tema di qualità della vita. Viviamo però un’insoddisfazione sostanziale, che in parte potrebbe dipendere da come affrontiamo, o per dirla col lessico dello stress “fronteggiamo”, le odierne difficoltà.

 

La proposta di AiFOS è nel solco della propria tradizione formativa e consulenziale, quindi vuole fare l’occhiolino al futuro ma guardando bene a quanto di buono c’è nella storia e nella cultura che sono patrimonio collettivo. Qualsiasi attività deve essere valutata per i rischi che comporta in termini di sicurezza, salute e organizzazione. Le attività dello stakeholder di sicurezza vanno pertanto improntate su 4 pilastri:

- la responsabilità: un concetto tecnico, giuridico e umanistico;

- la gestione: l’attività che prevede l’inquadramento progettuale del lavoro umano, in qualsiasi sua forma;

- l’organizzazione: la scienza che integra il contratto tra struttura sociale, persone, scopi e tecnologia in un dato ambiente;

- l’ergonomia: la scienza che mette insieme ingegneria, medicina e psicologia.

 

Abbiamo forte e chiaro il concetto che anche la valutazione dei rischi, da smart working e da uso delle tecnologie, prevede una “debita diligentia” che non esitiamo a definire due diligence rispetto a un DVR che tenga conto delle nuove forme di lavoro e degli strumenti innovativi utilizzati.

 

Anche perché, ne siamo certi, altre rivoluzioni ci attendono senza che passino intere generazioni.

 

 

Andrea Cirincione

Psicologo del Lavoro



Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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