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Rischio elettrico: gruppi elettrogeni e ricarica delle batterie

Rischio elettrico: gruppi elettrogeni e ricarica delle batterie
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio elettrico

03/06/2014

Un vademecum si sofferma sulla prevenzione dei rischi con riferimento alla presenza di gruppi elettrogeni nei cantieri edili e alla ricarica delle batterie per autotrazione. Separazione elettrica, tipologie dei caricabatterie e esigenze di ventilazione.

Como, 3 Giu – PuntoSicuro ha mostrato che nei cantieri edili non sono inusuali gli  infortuni lavorativi correlati alla presenza di gruppi elettrogeni, insiemi costituiti da un motore accoppiato ad un generatore elettrico con la funzione di produrre energia e alimentare una rete.
E che più generalmente negli ambienti di lavoro, ad esempio nelle attività di movimentazione delle merci tramite carrelli elevatori, possono essere presenti rischi di esplosione nei locali di ricarica batterie.
 
Per affrontare la prevenzione questi ambienti e con queste attrezzature lavorative il  Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell’ Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Como ha pubblicato qualche anno fa alcuni utili vademecum.

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Se il vademecum del 2010 si soffermava sulla distanza dalle linee elettriche e sui quadri elettrici, il “Vademecum 2011”, a cura del Gruppo di miglioramento prevenzione rischio elettrico, si sofferma in particolare su tre temi:
- gruppi elettrogeni nei cantieri edili;
- locali ad uso medico (impianti elettrici nei locali ad uso medico: indicazioni per garantire la sicurezza dell’incolumità fisica dei pazienti e del personale medico e sanitario);
- zone ricarica batterie per autotrazione.
 
Riguardo ai gruppi elettrogeni nei cantieri edili si indica che “per alimentare piccoli cantieri o in caso d’interventi in zone dove non è disponibile la fornitura elettrica si utilizzano piccoli gruppi elettrogeni (ad esempio interventi stradali)”. E capita “sempre più spesso comunque di trovare nei cantieri, gruppi elettrogeni di una certa potenza perché la fornitura da parte del distributore non è disponibile in tempi brevi”.
 
In particolare quando si tratta d’impianti in cantieri di medie dimensioni “in genere si collegano le masse e il neutro all’impianto di terra del cantiere, realizzando così un sistema TN” (sistema terra-neutro). Tuttavia è necessario proteggere i circuiti “contro i contatti indiretti da interruttori differenziali perché la corrente massima che può erogare il gruppo elettrogeno, anche in caso di corto circuito non supera di tre volte il valore nominale e ciò rende difficoltoso utilizzare interruttori magnetotermici. In questo caso quindi la sicurezza non dipende più dalla sola resistenza di terra ma dal coordinamento con la protezione differenziale”.
 
Il vademecum ricorda poi che per “impianti poco estesi alimentati in servizio permanete da un gruppo elettrogeno, si può utilizzare come protezione contro i contatti indiretti il sistema per separazione elettrica”.
La separazione elettrica è infatti una “misura di protezione contro i contatti indiretti mediante isolamento principale dei circuiti separati da altri circuiti e da terra”. Deve essere “limitata all’alimentazione di un singolo apparecchio utilizzatore alimentato da una sorgente non messa a terra e avente separazione semplice. Il circuito separato deve essere alimentato mediante una sorgente con almeno separazione semplice, e la tensione del circuito separato non deve superare 500 V. Le parti attive del circuito separato non devono essere collegate né ad alcun punto di altri circuiti, né a terra né a un conduttore di protezione. Per assicurare la separazione elettrica, le disposizioni devono essere tali da ottenere isolamento principale tra i circuiti. I cavi flessibili devono essere ispezionabili in tutte le parti del loro percorso in cui possano essere danneggiati meccanicamente. Le masse del circuito separato non devono essere connesse intenzionalmente né a un conduttore di protezione, né a una massa di altri circuiti, né a masse estranee. L’apparecchio deve essere collegato equipotenzialmente alla carcassa del gruppo”.
 
Riguardo ai gruppi elettrogeni il vademecum, che vi invitiamo a leggere integralmente, si sofferma anche sulla protezione mediante separazione elettrica per l’alimentazione di più di un apparecchio utilizzatore.
 
Veniamo dunque a parlare delle zone di ricarica batterie per autotrazione.
 
Infatti il documento dell’Asl di Como segnala che i carrelli elevatori, “strumenti di lavoro ordinario per la movimentazione delle merci”, sono “prevalentemente azionati elettricamente tramite batterie di accumulatori installate a bordo”. E queste batterie, in genere al termine della giornata o della settimana, “devono essere ricaricate per essere pronte all’uso alla ripresa del lavoro”. Ricarica che spesso avviene senza sorveglianza o con sorveglianza generica e non specialistica (“es. durante la notte ed il fine settimana la sicurezza è quindi affidata ai dispositivi automatici di controllo della corrente di carica e di apertura del circuito a fine carica”).
 
In particolare nelle zone di carica “esistono pericoli di esplosione derivanti dall’emissione di idrogeno e ossigeno dagli accumulatori. L’idrogeno è un gas infiammabile, l’ossigeno è un comburente che va ad arricchire la quantità di ossigeno dell’aria, possono pertanto formarsi atmosfere esplosive. Nei luoghi di carica non confinati il danno conseguente ad una eventuale esplosione può essere elevato, sia per la violenza dell’esplosione, sia per la possibilità di incendio di eventuali materiali combustibili presenti nelle zone circostanti (zone di carica). Occorre pertanto prendere adeguati provvedimenti per ridurre a valori trascurabili la probabilità di formazione di atmosfere esplosive”.
 
Si indica inoltre che gli accumulatori sono generalmente al piombo e di tipo “aperto”, cioè “con coperchio che permette il libero sfogo dei gas prodotti”. Il contenitore che racchiude gli elettrolita è “quasi ermetico essendo provvisto di una o più valvole di sfiato. Infatti un involucro del tutto sigillato sarebbe pericoloso a causa della sovrappressione che si verrebbe a creare nel dispositivo durante la carica o peggio in caso di sovraccarica”.
Si ha sviluppo di idrogeno e ossigeno “durante la carica e anche, in misura minore, durante la scarica, particolarmente quando gli accumulatori sono soggetti a movimenti e scuotimenti come nel caso di installazione su carrelli. Lo sviluppo maggiore si ha durante la fase finale della carica a fondo ed in quella di proseguimento della carica oltre la fase di sovraccarica”.
 
Si ricorda inoltre che i caricabatterie si distinguono generalmente in due tipologie:
- caricabatterie non regolato: “è un dispositivo che fornisce una semplice carica con tensione e corrente costante”;
- caricabatterie autoregolato: “è un caricatore che controllo lo stato di carica della batteria e sospende la ricarica quando è stato fornito il quantitativo corretto di energia elettrica provvedendo ad una minima sovraccarica”.
Pertanto “il modo di ricarica della batteria è determinante ai fini di definire l’emissione di gas”.
 
Il vademecum non solo fa riferimento alle norme CEI che raccomandano “che la zona destinata alla carica si ben ventilata, così da mantenere la concentrazione di idrogeno nell’atmosfera al di sotto del limite inferiore di esplodibilità”, ma riporta indicazioni relative alla ventilazione.
 
Ad esempio nei luoghi al chiuso “la ventilazione della zona durante la carica degli accumulatori può essere:
- naturale senza accorgimenti particolare: “in genere, nei luoghi al chiuso la ventilazione naturale senza accorgimenti particolari per facilitare il ricambio di aria non è sufficiente a garantire costantemente i ricambi di aria necessari, vi è quindi il pericolo che si accumuli idrogeno nelle eventuali sacche e sottotetti dell’edificio”;
- naturale assistita da un sistema di estrazione artificiale dell’aria: “consente di prevedere con sufficiente precisione sia la quantità, sia la disponibilità di aria necessaria e di predisporre gli apprestamenti di difesa necessari contro le esplosioni”.
Vengono riportate indicazioni sul calcolo della portata d'aria di ventilazione.
 
Per concludere questa breve presentazione dei rischi nella ricarica delle batterie, si può fare riferimento anche a un ulteriore documento, aggiornato in questo caso al 2013, e curato dall’azienda Palazzoli.
 
In “Zone di ricarica Batterie (muletti, batterie stazionarie, ecc.)” si fa riferimento alle:
- batterie di trazione: “luoghi nei quali si effettua la ricarica di batterie al piombo o al nichel cadmio installate a bordo di muletti, di carrelli elevatori o di altri veicoli a trazione elettrica autonoma. Tali luoghi possono essere esterni, in genere sotto tettoie, o interni, in genere in una parte di capannone;
- batterie stazionarie: luoghi nei quali sono alloggiati gli elementi dei pacchi batterie in carica in tampone (o anche rapida) per la fornitura di energia ai circuiti alimentati da UPS o stazioni di energia. Tali luoghi sono in genere locali interni appositamente dedicati”.
 
È riportata inoltre la normativa tecnica relativa ai due luoghi – con riferimento a CEI EN 50272-2 e EN50272-3 – e si ricorda che “sia Batterie di trazione che Batterie stazionarie possono essere valutate eseguendo la classificazione con la Norma CEI EN 60079-10 (CEI 31-30), applicata secondo la nuova guida CEI 31-35 che fornisce le formule per il calcolo della distanza pericolosa dz utilizzando coefficienti per l’emissione di idrogeno in ambienti chiusi”.
 
 
 
Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Como, “ Vademecum 2011”, documento del 2011 a cura del Gruppo di miglioramento prevenzione rischio elettrico (formato PDF, 464 kB).
 
Zone di ricarica Batterie (muletti, batterie stazionarie, ecc.)”, documento a cura dell’azienda Palazzoli, aggiornamento al 2013 (formato PDF, 310 kB).
 
 
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