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Storie di infortunio: lavorare sul tetto senza opere provvisionali

Storie di infortunio: lavorare sul tetto senza opere provvisionali
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio cadute e lavori in quota

04/02/2014

Un lavoratore è caduto dal tetto durante i lavori di copertura di un edificio destinato a diventare un salone polivalente: come è avvenuto l’incidente, le cause, i risultati delle inchieste e le indicazioni per la prevenzione.

 
Grugliasco (TO), 4 Feb – Il Centro regionale di Documentazione per la Promozione della Salute della Regione Piemonte ( Dors) raccoglie  storie d'infortunio rielaborate dagli operatori dei Servizi PreSAL delle ASL piemontesi a partire dalle inchieste di infortunio, con la convinzione che conoscere come e perché è accaduto sia una condizione indispensabile per proporre soluzioni efficaci per la prevenzione. In questa storia, dal titolo “Una vita (non) appesa a un filo” (a cura di Giovanni Polliotti, Giorgio Ruffinatto, SPreSAL della ASL TO3), un lavoratore è caduto dal tetto durante i lavori di copertura di un edificio destinato a diventare un salone polivalente.

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Che cosa è successo
Un lavoratore è caduto dal tetto procurandosi fratture multiple durante i lavori di copertura di un edificio destinato a diventare un salone polivalente.
 
Chi è stato coinvolto
Abdel, un operaio trentenne di origine marocchina che vive in Italia da più di vent’anni insieme alla sua famiglia. Abdel aveva sempre lavorato in aziende metalmeccaniche ma da un mese aveva cambiato ditta, ora lavorava per una piccola azienda specializzata nella realizzazione e montaggio di strutture metalliche.
 
Dove e quando
L’infortunio è avvenuto in provincia di Torino nell’aprile 2008 in un cantiere edile per la costruzione di un edificio che doveva essere adibito a salone polivalente. La ditta operava in subappalto per il montaggio della copertura all’edificio. 
 
 
Come
Al momento dell’infortunio il tetto era già coperto per poco più di metà. La copertura era realizzata con pannelli prefabbricati coibentati (due lastre grecate con interposto uno strato di lana di vetro pressata) lunghi sei metri, larghi un metro e spessi dieci centimetri. 
Per svolgere i lavori di muratura e copertura era stato montato un ponteggio lungo il perimetro dell’edificio. Nel cantiere erano presenti una piattaforma autosollevante (un mezzo sollevatore a pantografo) e una gru automontante fissa dotata di forche che serviva, tra l’altro, per trasferire i pannelli sul tetto.
La mattina dell’infortunio, Abdel e il suo capo cantiere Daniel avevano posato un pannello sulla capriata in posizione arretrata di un metro rispetto al colmo in modo da lasciare un’apertura per la futura posa di un condotto di evacuazione dei fumi. Avevano quindi proseguito la copertura dell’edificio con la posa di altri pannelli.
Poco dopo le 10, Daniel era sul ponteggio da dove con un radiocomando manovrava la gru per trasportare i pannelli sul tetto. Abdel in piedi sul tetto accompagnava il carico sospeso e lo trasferiva dalle forche della gru alla copertura, depositandolo su blocchetti di polistirolo per evitare di danneggiare la parte di tetto già realizzata.
In una delle due falde del tetto, due pannelli sovrapposti erano già stati appoggiati sull’ultimo pannello fissato. Abdel si era trasferito sull’altra falda dove, a circa tre metri dall’ultimo pannello posato, vi era l’apertura di un metro di lato. Stava accompagnando i pannelli che oscillavano e ruotavano su se stessi quando, arretrando di qualche passo, è caduto nell’apertura alle sue spalle e, precipitando al suolo da un’altezza di circa sette metri, è rimasto gravemente ferito riportando politraumi ossei.
 
Quando il mio capo cantiere ha abbassato il carico, questo oscillava in quanto sospeso. Io le dovevo tenere ferme (le lastre) e le accompagnavo fino a che queste non erano appoggiate sulla copertura... Al momento dell’infortunio accompagnavo le lastre in arrivo le quali dondolavano abbastanza. Nel guardare le lastre alle quali appoggiavo le mani e facendo attenzione al ciglio della copertura posto davanti a me, sono arretrato cadendo nel foro.”
 
Abdel è stato trasportato con l’elisoccorso all’ospedale dove ha subito un intervento; secondo i medici che lo hanno curato, il ragazzo avrà per tutta la vita problemi nel camminare causati dalle lesioni subite.
 
Perché
Sul tetto dell’edificio in costruzione erano in corso lavori in assenza di adeguate opere provvisionali. Non ve ne erano né a protezione dell’apertura di un metro di lato lasciata per la futura posa dell’evacuatore di fumo, né sul bordo della copertura prospiciente il vuoto (verso la porzione di copertura ancora da realizzare).
Il ponteggio perimetrale all’edificio non proteggeva il lato di avanzamento dei lavori di copertura. Sui due lati più lunghi del ponteggio erano state montate delle strutture a tubi e giunti (tubi utilizzati per il montaggio dei ponteggi) per ancorare un cavo in acciaio del diametro di dieci millimetri al quale i lavoratori si sarebbero potuti vincolare per operare in sicurezza sul tetto. Il cavo in acciaio (linea vita) non era però fissato alla struttura ma semplicemente appoggiato sulla copertura e non poteva essere usato dai lavoratori.
 
Perimetralmente all’edificio c’era un ponteggio, dal quale lavorava il mio capo cantiere, mentre io operavo sulla copertura senza protezioni. C’era una tesata ma era troppo arretrata e quindi non potevo legarmi. Specifico che i giorni prima dell’infortunio mi ero legato alla tesata, ma il giorno dell’infortunio i lavori erano avanzati e non potevo legarmi.”
 
Abdel indossava un’imbracatura a fascia (cintura di posizionamento), non idonea come Dispositivo di Protezione Individuale (DPI) anticaduta ed era comunque inutile poiché non era fissata a un ancoraggio sicuro.
 
 
Cosa si è appreso dall’inchiesta
Il lavoratore ha riferito che era il primo cantiere nel quale doveva lavorare in quota e che nessuno l’aveva formato o addestrato sull’uso delle linee vita e delle imbracature di sicurezza.
 
Specifico che questo è stato il mio primo cantiere in altezza. Nessuno mi ha indicato dove e come ancorarmi, né in azienda né sul cantiere. Il giorno prima dell’infortunio il mio capo mi ha detto di legarmi alla tesata. L’errore è stato quello di non spostare la tesata.”
 
La documentazione di cantiere (piano di sicurezza e coordinamento, piano operativo di sicurezza) non affrontava i rischi di caduta dall’alto se non in modo molto generico. In sede progettuale si era valutata la possibilità di predisporre un intero tavolato sotto alla copertura, ma non era poi stato realizzato probabilmente per problemi di costi e tempi, optando per la linea vita.
L’utilizzo di adeguate opere provvisionali contro il rischio di caduta dall’alto avrebbe evitato l’infortunio: oltre al ponteggio perimetrale, sarebbe stato necessario affrontare adeguatamente il rischio di caduta all’interno dell’edificio in costruzione. Infatti, era stata allestita una linea vita che si è rivelata di fatto inutilizzabile poiché in parte non ancorata.
Sarebbe inoltre stato opportuno organizzare il lavoro in modo da realizzare l’apertura per l’evacuatore di fumo solo al termine dei lavori di copertura, in modo da limitare numerose situazioni di rischio.
La presenza in cantiere di una persona di comprovata esperienza (Daniel, il capo cantiere) non ha evitato l’infortunio probabilmente perché si è dedicato più a organizzare il lavoro piuttosto che a gestire la sicurezza. Daniel era socio della ditta esecutrice e, poiché il lavoro era in subappalto, aveva probabilmente l’esigenza di terminare il lavoro in tempi rapidi, tagliando anche sui costi legati alla sicurezza. A riprova si rileva che la linea vita non era ancorata e l’infortunato non era formato sulla necessità di lavorare sempre in condizioni di sicurezza.
 
Indicazioni per la prevenzione
È importante che le misure per garantire la sicurezza dei lavoratori siano organizzate fin dalle fasi progettuali. Un’adeguata valutazione dei rischi, specifica per il cantiere dove è accaduto questo infortunio avrebbe individuato il sistema anticaduta più opportuno, da scegliersi preferibilmente fra i sistemi di protezione collettiva.
La normativa vigente (Decreto Legislativo 81 del 2008) prevede infatti che sia data priorità alla scelta di sistemi di protezione collettiva (es. ponteggi, reti anticaduta), rispetto ai dispositivi di protezione individuale (es. linee vita).
In questo cantiere, un tavolato di sicurezza oppure l’installazione di reti anticaduta al di sotto di tutta la superficie della copertura da realizzarsi, avrebbero certamente evitato l’infortunio.
Quando invece, per tipologia di opera, è necessario ricorrere a misure di protezione individuale, esse devono essere progettate in modo scrupoloso. Le linee vita, ad esempio devono avere caratteristiche indicate da norme tecniche specifiche (UNI EN 795: 2012).
Esse prevedono, tra l’altro, la marcatura di ogni singolo elemento costituente la linea vita: ogni componente smontabile di un sistema deve essere marcato in modo chiaro, indelebile e permanente. La marcatura deve contenere: anno di costruzione, nome o marchio del costruttore, numero di lotto/serie del componente. Infatti, il fabbricante deve effettuare sui singoli elementi delle prove di tenuta statiche e dinamiche. In ogni caso la formazione e l’addestramento all’uso dei sistemi di protezione sia collettivi sia individuali (es. linee vita, imbracature di sicurezza) sono fondamentali, specialmente per i neoassunti.
Le attività di formazione e addestramento hanno infatti due obiettivi: il primo è quello di far sì che il lavoratore usi in modo corretto i sistemi di protezione, il secondo è quello di sensibilizzarlo sull’importanza del loro utilizzo, correggendo anche eventuali abitudini sbagliate.
L’incapacità di realizzare una linea vita conforme alla normativa o di non saperla utilizzare correttamente, espone il lavoratore (e talvolta anche i propri colleghi) al rischio di infortunio, ad esempio a causa del cedimento della linea vita. Ma è altrettanto grave che in alcune situazioni, nonostante la sicurezza sia progettata correttamente (es. linee vita o ancoraggi adeguati), i lavoratori non ne facciano uso perché preferiscono operare privi di vincoli, a volte per incapacità, ma altre volte anche per abitudine o comodità.
Per Abdel, questo era il primo cantiere in cui operava in quota: oltre a non avere le conoscenze tecniche sull’utilizzo corretto della linea vita, aveva una percezione del pericolo distorta a causa dell’inesperienza. Un corso di formazione e un addestramento specifici sui sistemi anticaduta gli sarebbero stati certamente utili a conoscere tutti gli aspetti di sicurezza ma anche a sensibilizzarlo sull’importanza di utilizzo di tali sistemi. In altre parole: se utilizzi correttamente i sistemi anticaduta, forse un giorno ti saranno utili a salvarti la vita.
Ultimo, ma non in ordine di importanza, è l’obbligo, previsto in capo al datore di lavoro e al dirigente della ditta dal Decreto Legislativo 81/08, di vigilanza in merito all’idoneità delle opere provvisionali e al loro corretto utilizzo da parte dei lavoratori. In questo cantiere era presente una figura dirigenziale dell’azienda (Daniel era socio della ditta) che lavorava a stretto contatto con Abdel e quindi era pienamente cosciente della mancanza della linea vita e delle carenze formative del suo sottoposto.
 
 
 
Giovanni Polliotti, Giorgio Ruffinato
SPreSAL della ASL TO3 
 
 
Fonte: Dors.
 
 
 

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