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Le sfide che ci attendono per la tutela della salute globale del lavoratore

Le sfide che ci attendono per la tutela della salute globale del lavoratore
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Sorveglianza sanitaria, malattie professionali

28/01/2019

Le malattie professionali sono molto cambiate nel corso degli anni: un intervento si sofferma sulle sfide per il mondo del lavoro nel XXI secolo. I rischi professionali e extraprofessionali, le strategie di prevenzione e la promozione della salute.

Le sfide che ci attendono per la tutela della salute globale del lavoratore

Le malattie professionali sono molto cambiate nel corso degli anni: un intervento si sofferma sulle sfide per il mondo del lavoro nel XXI secolo. I rischi professionali e extraprofessionali, le strategie di prevenzione e la promozione della salute.

 

Milano, 28 Gen – Si stima che nel mondo il 63% dei 57 milioni di decessi che si sono verificati nel 2008 sono stati “causati da malattie non trasmissibili, a partire dalle malattie cardiovascolari (48% delle malattie non trasmissibili), i tumori (21%), le patologie respiratorie croniche (12%) e il diabete (3,5%)”. In particolare in Europa “l’86% delle morti sono determinate da patologie croniche - malattie cardiovascolari e respiratorie, tumori, diabete - che hanno in comune quattro principali fattori di rischio: fumo, abuso di alcol, cattiva alimentazione e inattività fisica”. In Italia questo gruppo di malattie è “responsabile del 75% delle morti e sempre del 75% di condizioni di grave disabilità”.

 

A ricordare, partendo anche da questi dati, che la maggior parte delle malattie sono oggi di tipo cronico non trasmissibile e che il mondo del lavoro “contribuisce significativamente al loro carico complessivo nella società”, è un intervento ad un incontro organizzato dal Coordinamento tecnico interregionale salute e sicurezza sul lavoro dal titolo “In-ter-vi-stà-ti In-ter-vì-sta-ti”. L’incontro, che si è tenuto a Milano il 20 novembre 2018, era aperto a tutti gli operatori dei Servizi Prevenzione Sicurezza Ambienti Lavoro delle ASL delle Regioni d’Italia e aveva l’obiettivo di raccogliere e condividere proposte di intervento a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

 

Un intervento, in particolare, ha affrontato il tema delle malattie professionali e ha offerto utili indicazioni sulle sfide che attendono i servizi sanitari e i medici competenti.



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La commistione tra rischi professionali ed extraprofessionali

Nell’intervento “Malattie professionali: indagare per prevenire o monitorare per conoscere?”, a cura di Mara Bernardini e Paolo Galli (Regione Emilia-Romagna) e Barbara Alessandrini (Regione Friuli Venezia Giulia), si ricorda che il quadro epidemiologico delle malattie professionali “è molto cambiato nel corso degli anni: le tecnopatie tradizionali hanno progressivamente lasciato spazio alle patologie lavoro-correlate, nelle quali concausalità e sinergia delle esposizioni, comorbidità, disabilità ed ipersuscettibilità rendono quasi artificiosa una gestione separata dei fattori di rischio professionali e di quelli legati agli stili di vita”.

 

Riprendiamo dalle slide dell’intervento una tabella relativa alle malattie professionali denunciate (nel documento è presente anche la tabella delle malattie riconosciute):

 

 

I relatori sottolineano che i rischi professionali ed extraprofessionali “spesso non sono indipendenti e si possono sommare o moltiplicare tra loro”. Ad esempio:  

  • “il fumo di tabacco
    • contiene tossici presenti anche in ambito lavorativo (IPA, benzene)
    • può agire sinergicamente con agenti cancerogeni di uso professionale, ad es. l'asbesto
  • l'alcol potenzia l'effetto tossico di alcune sostanze con cui il lavoratore può entrare in contatto sul luogo di lavoro, ad es. solventi, pesticidi, metalli”. 

 

Inoltre i lavoratori a più alto rischio professionale (per es. i lavoratori edili e gli autotrasportatori) “spesso sono anche quelli che presentano le abitudini di vita meno salutari I disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico (ampiamente diffusi nella popolazione e tra i lavoratori) sono dovuti non solo a posture scorrette, movimentazione carichi e movimenti ripetitivi nell’ambiente di lavoro, ma anche alle altrettanto diffuse abitudini di vita sedentarie, che relegano l’esercizio corporeo a poche azioni ormai pressoché residuali nella quotidianità”.

 

Le strategie dei servizi pubblici di prevenzione

L’intervento segnala che l’approccio tradizionale dei servizi di prevenzione al problema delle patologie da lavoro “ha fornito e fornisce tuttora un contributo determinante nella riduzione dell’esposizione ai fattori di rischio professionali”. Esiste “ancora una quota considerevole di sommerso, ma ciò non vale per tutte le patologie professionali”.

Tuttavia la progressiva “trasformazione della malattia professionale in patologia lavoro-correlata rende l’approccio preventivo tradizionale insufficiente al raggiungimento di obiettivi di salute”. 

 

E “un moderno approccio alla prevenzione delle patologie lavoro-correlate non può prescindere da una gestione integrata dei fattori di rischio professionali e dei fattori di rischio” per le malattie di tipo cronico non trasmissibile (MCNT) legate a scorretti stili di vita.  

Bisogna dunque passare “dalla prevenzione delle malattie alla promozione della salute per favorire comportamenti adeguati per tutti gli aspetti, sia lavorativi sia collegati agli stili di vita”, con riferimento anche alla Total Worker Health per una gestione integrata del controllo dei fattori di rischio. 

Serve, dunque, un cambio di paradigma: dal lavoratore (con focus sul solo rischio professionale) alla persona (con focus sulla persona e sulla gestione del problema di salute nel contesto di vita e di lavoro).

 

Si indica poi che parlare di salute oggi “significa considerare uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità – definizione art. 2, co. 1, lett. o) del D.Lgs. 81/08”.

E se parlare oggi di salute nei luoghi di lavoro “non può prescindere dal dare per accertata l’applicazione delle norme di sicurezza dettate dalla normativa comunitaria”, bisogna “non considerare solo la prevenzione di malattie professionali e infortuni ma la salute globale del lavoratore che passa attraverso anche la prevenzione delle MCNT”.

 

In questo senso il concetto di promozione della salute nei luoghi di lavoro (PSL) “presuppone che un’azienda non solo attui tutte le misure per prevenire infortuni e malattie professionali, ma si impegni anche ad offrire ai propri lavoratori opportunità per migliorare la propria salute, riducendo i fattori di rischio generali e in particolare quelli maggiormente implicati nella genesi delle malattie croniche”. E dunque la PSL è “lo sforzo congiunto dei datori di lavoro, lavoratori stessi e istituzioni/organizzazioni per migliorare la salute e il benessere dei lavoratori. E' un processo che non ha quasi mai un risultato immediato, ma che quando è efficace rafforza l’abilità e le capacità degli individui di adottare comportamenti salutari e la capacità di gruppi o comunità di agire collettivamente per esercitare un controllo sui determinanti della salute”.

 

Sfide per il mondo del lavoro nel XXI secolo

L’intervento sottolinea che il mondo del lavoro sta attraversando “cambiamenti considerevoli”, con un “processo ancora in cammino”.

Questi alcuni dei punti chiave da prendere in considerazione:

  • “la globalizzazione;
  • la disoccupazione;
  • il crescente uso delle tecnologie;
  • i mutamenti delle modalità di impiego (lavoro a termine, telelavoro, part-time);
  • l’invecchiamento;
  • la crescita dell’importanza dei servizi;
  • il sotto-dimensionamento;
  • l’aumento del numero dei lavoratori nelle piccole e medie imprese;
  • l’orientamento verso l’utenza e un management di qualità”.

E se il successo futuro delle organizzazioni “dipenderà dalla presenza di lavoratori ben qualificati, motivati e sani”, la promozione della salute nei luoghi di lavoro ha “un ruolo significativo nel preparare e organizzare gli individui e le organizzazioni ad affrontare queste sfide senza abbandonare la tutela della salute”.

 

L’intervento ricorda poi, con riferimento a varie fonti presentate nell’intervento, che (EU-OSHA) nel corso dei prossimi decenni “l’Unione europea registrerà un aumento della percentuale di lavoratori anziani (nell’UE-27 la fascia d’età compresa tra 55 e 64 anni aumenterà di circa il 16,2 % (9,9 milioni) tra il 2010 e il 2030, mentre tutte le altre fasce d’età diminuiranno dal 5,4 % (40-54 anni) al 14,9 % (25-39 anni). La conseguenza è un invecchiamento della forza lavoro europea (in molti paesi i lavoratori anziani costituiscono il 30 % o più della popolazione attiva)” (Fonte EU-OSHA). Un fenomeno che interessa in modo particolare l’Italia.

 

Infatti “l’indice di vecchiaia (il rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione in età 0-14 anni) nel decennio 2004-2013 è passato dal 135,7% al 151,4%, valori che pongono l’Italia, insieme alla Germania, ai vertici della graduatoria europea. Le previsioni demografiche segnalano che nel 2029 tale indice supererà il 200%, ovvero nella popolazione italiana saranno presenti due individui over 64 anni a fronte di un individuo fino a 14 anni” (Osservatorio Isfol n. 1-2/2014).

 

In queste condizioni “l’ invecchiamento della popolazione generale e della popolazione lavorativa, uniti al cambiamento delle abitudini alimentari e alla sedentarietà, il consumo eccessivo di alcol, il fumo di tabacco, fattori di rischio per le patologie croniche degenerative, determinano un aumento delle inidoneità al lavoro per cause non direttamente dipendenti dal contesto lavorativo”.

E proprio la promozione della salute nel contesto lavorativo “costruisce competenze individuali. Ad esempio gli interventi aziendali a favore dell’alimentazione equilibrata, dell’attività fisica costante, del consumo consapevole di alcol e gli interventi di contrasto al fumo ottengono una serie di risultati come il miglioramento della ‘salute percepita’, la diminuzione dell’assenza da lavoro per malattia, l’aumento della produttività sul lavoro”. 

 

In conclusione, la sfida futura degli operatori pubblici della SSLL è “intervenire sulla prevenzione delle malattie croniche in genere e non più solo nell’ambito della prevenzione delle malattie professionali tradizionalmente intese”.

È necessario “riorientare i Servizi pubblici di SSLL delle Aziende Sanitarie affinché si impegnino a costruire azioni che favoriscano la diffusione della promozione della salute nei luoghi di lavoro in un’ottica di un approccio integrato con le funzioni più tradizionali dettate dalla normativa di settore”.

 

Rimandiamo, infine, alla lettura integrale dell’intervento che si sofferma su vari altri aspetti a partire nuovo ruolo del medico competente e dall’importanza della informazione e formazione del lavoratore.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica i documenti da cui è tratto l'articolo:

“ Malattie professionali: indagare per prevenire o monitorare per conoscere?”, a cura di Mara Bernardini e Paolo Galli (Regione Emilia-Romagna) e Barbara Alessandrini (Regione Friuli Venezia Giulia), intervento all’incontro “In-ter-vi-stà-ti In-ter-vì-sta-ti” (formato PDF, 542 kB).


Creative Commons License Questo articolo è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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