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PratiCARE la sicurezza

PratiCARE la sicurezza
Renata Borgato

Autore: Renata Borgato

Categoria: Informazione, formazione, addestramento

09/07/2019

Come utilizzare il teatro d’impresa nella formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’importanza di caricare emotivamente le informazioni e l’esperienza di “PratiCARE la sicurezza”. A cura di Renata Borgato e Federico Ricci.

PratiCARE la sicurezza

Come utilizzare il teatro d’impresa nella formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’importanza di caricare emotivamente le informazioni e l’esperienza di “PratiCARE la sicurezza”. A cura di Renata Borgato e Federico Ricci.

 

L’uso del teatro d’impresa[1] nella formazione in materia di sicurezza ha ormai una lunga storia [2] e ha dimostrato la sua efficacia. L’impatto di una rappresentazione è infatti molto più forte di quello di una lezione, ha molta più possibilità di fare presa. In primo luogo perché la rappresentazione teatrale si avvale di una leva preziosa perché le persone si interessino a qualcosa: dà un contesto ai concetti che si vogliono veicolare e risulta di conseguenza coinvolgente sul piano estetico, su quello della pregnanza emotiva e su quello dell'incisività.

Inoltre rende facile individuare nella rappresentazione di un evento qualcosa che già si conosce e quindi trovare un terreno cui “agganciare” le nuove informazioni per collocarle stabilmente nella memoria.

 

«La memoria non è costituita da un singolo schedario d’archivio, ma è qualcosa di più simile al velcro. Se osservate due lati di un pezzetto di velcro, vedrete che uno di essi è ricoperto di migliaia di minuscoli ganci mentre l’altro è ricoperto di migliaia di minuscoli anelli. Quando premete l’una sull’altra le due superfici facendole aderire, un grandissimo numero di ganci si agganciano agli anelli…il cervello ospita un numero di anelli davvero sbalorditivo. Quanti più ganci possiede un’idea, tanto meglio rimarrà impressa nella memoria [3]»

 

A questo si aggiunge il fatto che il teatro permette di caricare emotivamente le informazioni.

Da un lato perché crea piccoli corti circuiti cognitivi dati dalla creazione di uno scenario e dalla sua improvvisa rottura, dall'altro per la possibilità di utilizzare strumenti e registri più ampi di quelli concessi in una formazione tradizionale.

 

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Oltre a favorire il ricordo, l’emozione fa sì che le persone partecipino attivamente all’idea che si vuole trasmettere. Per questo le enunciazioni e le statistiche, pur pertinenti, hanno poca presa. Le persone sono programmate per reagire le une alle altre, non nei confronti di entità astratte. Il teatro mette in scena situazioni, persone con una storia ed un contesto e per questo risulta facile immedesimarsi e com-prendere. Quando si assiste a uno spettacolo non si è di fronte a un problema astratto e nemmeno ad una massa indifferenziata con cui è difficile identificarsi, ma a un personaggio, a “quello specifico” lavoratore con quello specifico problema e quindi l’empatia è favorita.

 

Non è difficile accettare che sono le esperienze, unite alla possibilità di comprenderle, che ci fanno cambiare ed in definitiva crescere.

Assistere a una rappresentazione amplia le esperienze, aiuta a immagazzinare nella propria mente un catalogo di situazioni critiche più variegato e più completo: non solo si sperimentano le criticità, ma si possono scoprire modalità di risoluzione attraverso lo stimolo a scegliere modelli adeguati.

 

Un ultimo aspetto che vale la pena di prendere in considerazione è il fatto che il teatro permette di aggirare le difese che potrebbero essere suscitate da un intervento tradizionale, come quando qualcuno sale in cattedra per dirti che quello che stai facendo da anni è sbagliato.

La difesa può innescarsi in modi diversi tra cui possiamo citare: la squalifica del relatore (chi sei tu per dirmi queste cose, che cosa sai tu del mio lavoro), la negazione del rischio (non è vero, stai dicendo cose sbagliate), la reattività (adesso ti faccio vedere che stai dicendo delle cose non vere), il fatalismo (a me non capiterà, tanto se deve capitare capita), la razionalizzazione basata su presupposti parziali (nella nostra azienda non ci sono mai stati incidenti gravi).

A questo si aggiunge che alcuni interventi sono lenti, noiosi, ripetitivi, banali al limite dell'offensivo e tutto questo attiva quella che in fondo è la modalità di difesa primaria: semplicemente non ti ascolto.

 

Il teatro costituisce un ambito diverso, protetto, ludico, ironico ed autoironico. È il territorio nel quale si possono dire le cose che in altri ambiti sono proibite. Non mi sento in condizione di difendermi quando qualcosa mi viene detto in ambito teatrale.

Accetto che i miei comportamenti vengano stigmatizzati ed eventualmente ridicolizzati.

Nello stesso tempo sono portato ad ascoltare perché vengo preso dalla narrazione, perché mi sto sorprendendo, perché viene stimolata la mia curiosità. Nessuno mi sta dicendo che ho sbagliato finora, però rivedo dei comportamenti e degli atteggiamenti e finisco per rifletterci sopra.

 

Con questo non stiamo dicendo che il teatro sia la soluzione ottimale a tutte le situazioni in cui si intende introdurre la cultura della sicurezza ma che si tratta di uno strumento estremamente flessibile che può affiancare e rinforzare sia percorsi formativi tradizionali che campagne di sensibilizzazione.

 

“PratiCARE la sicurezza” è una delle esperienze più strutturate e continuative di uso del teatro dell’oppresso nella formazione alla sicurezza. Nato in via sperimentale con il nome di “LaBoriamo in Sicurezza”, per la prima volta a Modena il 1 aprile 2009, oggi festeggia il suo decennale.

La modalità adottata consente ai partecipanti di imparare realmente, a partire da esperienze quotidiane determinanti per la salute e sicurezza sul lavoro. I lavoratori vengono accompagnati a costruire soluzioni ed apprendimenti, senza che vi siano risposte già definite, ma facilitando l’apprendimento con arte maieutica. In questo modo i lavoratori possono trovare risposte concretamente realizzabili nel proprio contesto lavorativo, attraverso una ricerca attiva e condivisa.

La forma della rappresentazione interattiva permette di giocare seriamente, mettere in gioco in modo utile le proprie esperienze. I lavoratori sono invitati:

  1. Prima ad assistere come spettatori ai casi problematici rappresentati nel role play (infortuni o malattie professionali)
  2. Quindi a partecipare in prima persona al role play offrendosi, in modo facoltativo e volontario, di diventare “spett-attori” sostituendo uno degli interpreti presenti sulla scena

Questa interazione/scambio tra chi è in scena e chi assiste alla scena stessa, è guidata con cura e grande attenzione da chi conduce l’attività. Ciò consente di imparare come risolvere un caso singolo, ma, aspetto ancora più rilevante, conduce alla formazione di stili di vita salutari sul lavoro. I partecipanti quindi imparano come si impara a lavorare in sicurezza per sé stessi e per gli altri.

PratiCARE la sigurezza si propone di agire:

  • Sul livello delle conoscenze teoriche (sapere) che ogni lavoratore possiede in materia di salute e sicurezza sul lavoro (“ho imparato cose nuove”)
  • Sul livello delle esperienze operative (saper fare) messe in pratica da ogni lavoratore nella propria azione quotidiana (“faccio le cose diversamente da prima”)
  • Sul livello dei valori personali (saper essere) che guidano ogni lavoratore nelle proprie scelte di vita (“adesso sono più attento alla salute mia e degli altri”)

Tutto ciò è possibile anche grazie A) alla costruzione, da parte del gruppo dei partecipanti, di soluzioni condivise, sperimentate insieme, concretamente realizzabili (“sono d’accordo/siamo d’accordo che si può fare/può funzionare”); B) al fatto che la stessa metodologia formativa, opposta ad una formazione meramente burocratico/formale (“devi andare al corso perché lo dice la legge, ma sappiamo tutti che è tempo perso rubato al lavoro”), conferisce legittimazione e importanza al miglioramento continuo della percezione del rischio e dei comportamenti sicuri sul lavoro (“mi interessa/ci interessa tutti”).

Sappiamo bene come l’efficacia, in questo caso della formazione, dipenda non solo da cosa facciamo (contenuti, durata), ma anche da come lo facciamo (modalità, volontà reale di cambiamento). Si tratta di una metodologia formativa che non si limita alle parole, più o meno convinte e convincenti, di miglioramento, ma mette in gioco i comportamenti e gli atteggiamenti profondi di ogni singolo lavoratore, all’interno del proprio gruppo di lavoro e della propria organizzazione di appartenenza, fino a conseguire una ristrutturazione reale e condivisa del proprio modo di lavorare in sicurezza.

Non è uno spettacolino costruito e messo in scena da una compagnia amatoriale, ma è frutto di una metodologia formativa seria (non seriosa) nella quale i lavoratori sono tutti protagonisti con la propria esperienza. Un modo per imparare da sé stessi, dai colleghi, sotto la guida non direttiva di esperti, senza forzature e senza tornare sui banchi di scuola, ma dando un senso nuovo e più utile alla propria esperienza. Tutto ciò riduce drasticamente le resistenze al cambiamento e ha ricadute reali sul comportamento lavorativo, ben superiori a quelle di una formazione frontale, di tipo esclusivamente burocratico-normativo e tecnico-specialistico. I lavoratori, il cosiddetto fattore umano, sono coinvolti attivamente, sono parte attiva in questa metodologia formativa, non semplici fruitori passivi di un messaggio calato dall’alto o dall’esterno, spesso percepito come distante dal proprio lavoro reale e perciò inutile, noioso, che si può dimenticare senza problemi. Si tratta di una metodologia formativa efficace per mantenere e sviluppare la cultura della salute e sicurezza sul lavoro.

 

Renata Borgato, Federico Ricci



[1] Il nome “teatro d’impresa” deriva dalla giustapposizione del termine teatro ...  con il termine “impresa” come luogo in cui si incontra una comunità che persegue determinati obiettivi economici e sociali” (definizione di Magli R, 1995 in Borgato R. Vergnani P. (2007), Teatro d’impresa, FrancoAngeli, Milano

[2] Vedere Borgato R., Gamberini S., Vergnani P. (2009), La pasta madre, FrancoAngeli, Milano

[3] Heath C. e Heath D. Idee Forti,, Etas (2007) pag.88




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Rispondi Autore: Ettore Togni immagine like - likes: 0
09/07/2019 (09:23:11)
Ottimo articolo, scritto bene e con spunti veramente interessanti. Renata e Federico, grazie.

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