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Il controllo medico dei lavoratori a rischio di tumori professionali

La Regione Toscana ha pubblicato l’aggiornamento delle “ Linee guida di prevenzione oncologica. Cancerogeni occupazionali: prevenzione ed emersione dei tumori professionali”, un’edizione che offre un contributo più ampio al tema della prevenzione e all'emersione dei  tumori professionali e che è stato elaborato da un gruppo di lavoro coordinato da Lucia Miligi (SS di Epidemiologia ambientale e occupazionale, Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica, Firenze).
Ne riportiamo un brano che affronta il tema della  sorveglianza sanitaria degli  esposti a cancerogeni e il ruolo dei medici competenti.

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Il controllo medico dei lavoratori a rischio di tumori professionali; rapporto con i medici competenti
 
La sorveglianza sanitaria degli esposti a cancerogeni è obbligatoria ai sensi del D.Lgs. 81/08 e il medico competente è chiamato a confrontarsi con le note difficoltà legate alla latenza, alla molteplicità delle esposizioni e degli organi bersaglio, all’abituale mancanza di test di screening validati, soprattutto in assenza di condizioni di rischio elevato e di esami idonei a evidenziare condizioni precoci di danno o lesioni precancerose.
L’art. 225 inserisce la sorveglianza sanitaria fra le misure specifiche di protezione dagli agenti chimici da adottarsi affinché il rischio sia ridotto, sottolineando che il significato della sorveglianza sanitaria deve andare ben oltre la sola espressione del giudizio d’idoneità individuale. L’art. 237 chiede al medico competente di indicare al datore di lavoro le misure protettive particolari da disporre per quelle categorie di lavoratori per i quali l’esposizione a particolari cancerogeni o mutageni presenta rischi particolarmente elevati.
Il compito del medico competente non può limitarsi all’allontanamento dei lavoratori a rischio, ma deve essere quello di fornire indicazioni per ridurre l’esposizione specifica. L’art. 242 richiama i principi da applicare per la protezione dei lavoratori tramite la sorveglianza sanitaria:
- collegamento fra risultati sanitari e azione preventiva: adozione di esami clinici e biologici le cui risultanze possano indicare per i singoli lavoratori la necessità di adottare misure preventive e protettive;
-  utilizzo di dati collettivi: attenzione ad anomalie imputabili a esposizione di più lavoratori a uno stesso agente che indichino al datore di lavoro l’aggiornamento nella valutazione e gestione del rischio;
- coinvolgimento della medicina di base: indirizzo verso l’esecuzione di sorveglianza sanitaria anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa;
- approccio epidemiologico: l’invio a INAIL di dati d’esposizione a fini epidemiologici a ogni cessazione.
 
Il valore degli enunciati sopra richiamati è elevato, ma si scontra con obiettive difficoltà, tra cui la mancanza d’indicatori clinici e biologici soddisfacenti, la complessità del sistema informativo nazionale, la disomogeneità qualitativa nella valutazione delle esposizioni, pensata più per le grandi aziende che le piccole imprese, caratterizzate dalla precarietà del lavoro e delle esposizioni.
A questo si aggiunga la difficoltà di reperire risorse da dedicare alla sorveglianza degli ex esposti. Il principale strumento di registrazione dei dati sanitari e di esposizione è la cartella sanitaria e di rischio che, adeguatamente compilata e, al momento della cessazione del lavoro, consegnata al lavoratore, costituisce il documento attestante le esposizioni a livello individuale effettive o potenziali, storiche e attuali. In linea generale, lo strumento maggiormente efficace nella sorveglianza sanitaria per il controllo del rischio degli esposti o potenzialmente esposti a cancerogeni è l’anamnesi lavorativa, soprattutto se corredata dalla conoscenza e dalla registrazione dei livelli di esposizione caratterizzati anche solo in modo semi quantitativo. Solo l’anamnesi può rendere conto di esposizioni che il D.Lgs. 81/08 definisce “anomale”, termine che comprende non solo le “esposizioni non prevedibili” (art. 240), ma anche quelle legate a interventi non continuativi, tipici, per esempio, delle manutenzioni ordinarie o straordinarie, durante le quali è possibile o addirittura prevedibile il realizzarsi di condizioni d’esposizione aggiuntiva, anche lavorando su cicli chiusi.
 
Gli obiettivi della raccolta anamnestica sono:
- ottenere dati utili a orientare il datore di lavoro nella riduzione del rischio;
- informare il lavoratore sul suo specifico rischio e formarlo sulle azioni per governarlo;
- orientare l’uso dei DPI in funzione dei compiti da svolgere e delle esigenze di ergonomicità;
- gestire le problematiche dell’idoneità con cognizione di causa, consapevoli anche dei rischi legati all’espressione di limitazioni o di inidoneità;
- raccogliere le informazioni necessarie a definire il possibile nesso di causa con eventuali patologie, a fini previdenziali, medico legali e scientifici.
 
Deve essere, inoltre, ben chiaro anche ai lavoratori ciò che la sorveglianza sanitaria non può offrire. Innanzitutto, di fronte a un rischio d’esposizione a cancerogeni, non può essere uno screening se non ne esistono i criteri necessari, che lo configurano, cioè, come un programma di sanità pubblica rivolto a una ben definita popolazione, considerata a particolare rischio per età o per altre caratteristiche, alla quale è attivamente offerto un test di facile esecuzione, innocuo, ripetibile e facilmente accettabile, al fine di cogliere una malattia pre-tumorale o tumorale nelle sue prime fasi di sviluppo, in modo da garantire un tempestivo intervento terapeutico.
Possono, però, essere presi in considerazione, altri strumenti che non hanno le caratteristiche dei programmi di screening, come, per esempio, la visita dermatologica periodica agli esposti alle radiazioni ultraviolette o la somministrazione del questionario sintomatologico agli esposti a polveri di legno e cuoio (utile a selezionare i casi da inviare alla fibroscopia delle fosse nasali posteriori) o, ancora, l’esecuzione e la lettura di indagini radiografiche secondo ILO negli esposti a polveri silicotigene, per la ricerca di segni iniziali di silicosi, che costituisce una condizione di più elevato rischio per il cancro del polmone e può indirizzare verso la selezione di una popolazione a rischio per la quale valutare l’opportunità di screening secondo i protocolli sull’esecuzione della TC a basse dosi in gruppi ad elevato rischio (compatibile con quello di fumatori od ex fumatori di >30 pack/year).
Ottimizzare la sorveglianza sanitaria per i lavoratori a rischio di tumori professionali significa, in buona sostanza, porre il medico competente nelle condizioni di raccogliere tutte le informazioni necessarie a contribuire a migliorare il controllo delle esposizioni. Il medico competente ha anche il compito di esprimere un giudizio d’idoneità.
La latenza delle neoplasie porta ad attribuire i casi insorti oggi a condizioni espositive lontane, spesso non più esistenti o profondamente modificate.
Tuttavia, capita anche di doversi esprimere sull’idoneità al rientro al lavoro in mansioni con esposizione analoga a quella eziologicamente rilevante: è il caso, per esempio, del tumore del naso in un falegname, che, vista la professionalità richiesta da questo mestiere, chiederà di rientrare in ambienti dove, per quanto si possa rispettare gli attuali TLV, difficilmente si potrà garantire l’assenza del rischio. In questo, come in altri casi analoghi, il rientro in lavori con rischio d’esposizione residuo dovrebbe essere sconsigliato in via precauzionale, soprattutto nei soggetti più giovani e con maggior aspettativa di anni di lavoro.  In alcuni casi, gli esiti chirurgici possono di per sé controindicare il rientro, in presenza di rischio residuo. Al contempo, non può essere ignorata la ricaduta di una dichiarazione d’inidoneità a una mansione, che potrebbe espellere dal mondo del lavoro soggetti che, per età e per professionalità, sono difficilmente ricollocabili in altro settore, con un rischio di danni sociali e sanitari da disoccupazione assai più elevati rispetto al rischio di una eventuale recidiva.
Da questo punto di vista, ogni caso ha una sua storia, sia per la particolarità della patologia sia per le differenti condizioni di lavoro e di esposizione e non esiste un criterio di giudizio univoco.
 
Si può, però, indicare una serie di variabili di cui tenere conto e da soppesare, per l’espressione finale del giudizio d’idoneità, tenendo presente che il ruolo del medico competente deve essere, anche in questi casi, orientato più a indirizzare il lavoratore verso la scelta autonoma e consapevole più consona alle sue esigenze che non a imporre, con un rigido giudizio d’idoneità, condizioni che ne sconvolgano l’esistenza stessa:
- condizioni generali del lavoratore: età, attesa di vita, condizioni psicofisiche;
- valutazione del rischio d’esposizione e delle possibilità di contenimento del rischio residuo, compreso l’uso di DPI;
- possibilità di limitazioni nei compiti, cambi mansione o ricollocazione.
 
 
Regione Toscana - Consiglio Sanitario Regionale - Linee guida di prevenzione oncologica. Cancerogeni occupazionali: prevenzione ed emersione dei tumori professionali, edizione 2016 (formato PDF, 416 kB).
  
Appendice A - Elenco degli agenti classificati con sufficienti o limitate prove negli esseri umani per le diverse sedi tumorali, volumi da 1 a 113 (da classificazioni IARC modificata, ultimo accesso 22 agosto 2015). (formato PDF, 54 kB)
 
  
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