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“Karoshi” : morire di troppo lavoro nel moderno Giappone

Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Approfondimento

12/06/2008

L'Organizzazione Internazionale del Lavoro premia il lavoro di una giornalista giapponese che racconta di un giovane che si è tolto la vita in preda a una forte depressione causata dall'eccesso di lavoro.

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Da anni l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) si occupa di promuovere la cultura della prevenzione in materia di sicurezza e salute. Lo fa incoraggiando governi, organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori a elaborare metodi di lavoro e misure di prevenzione per predisporre condizioni di lavoro sicuro e dignitoso. Ad esempio con l’istituzione di una giornata mondiale per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro o con l’organizzazione, attraverso il Centro internazionale di formazione dell'ILO che ha sede a Torino, il primo premio giornalistico "Media for Labour Rights 2008".
 
 
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Il vincitore o, meglio, la vincitrice di questo prestigioso premio è stata Misako Hida, una giornalista freelance giapponese che scrive da New York servizio per le riviste The Economist, Sunday Mainichi, Toyo Business e Newsweek Japan.
 
Il suo servizio, intitolato "The Land of Karoshi" e riportato in un recente articolo di La Repubblica, racconta di un ragazzo di 23 anni che si è tolto la vita in seguito a dei turni di lavoro massacranti e disumani, turni di lavoro che non si sono svolti in una qualche periferia del terzo o quarto mondo, ma nel modernissimo e “civilissimo” Giappone.
 
Ma rileggiamo le parole tratte dal servizio di Misako Hida.
 
"Tutto il tempo che ho passato è stato sprecato". In una giornata di marzo del 1999, ancora prima che i germogli di ciliegio cominciassero a sbocciare, un ragazzo di 23 anni, Yuji Uendan, in preda a una forte depressione causata dall'eccesso di lavoro, si è tolto la vita. È stato trovato nel suo appartamento di Kumagaya, alla periferia di Tokyo, con quelle parole scribacchiate su una lavagnetta bianca che usava per l'elenco degli appuntamenti giornalieri.
 
Uendan aveva lavorato per quasi 16 mesi come ispettore di apparecchiature per la produzione di semiconduttori, in una stanza asettica con una luce soffusa giallastra nella fabbrica della Nikon a Kumagaya, vestito dalla testa ai piedi con una divisa bianca sterile.
Il giovane era stato assunto dall'appaltatrice Nextar (oggi conosciuta come Atest) che lo mandava per incarichi a termine alla Nikon, una delle principali produttrici giapponesi di macchine fotografiche e dispositivi ottici.
 
Uendan faceva turni di giorno e di notte di 11 ore a rotazione, con straordinari e viaggi extra che gli facevano raggiungere le 250 ore al mese.
Nel suo ultimo periodo di lavoro all'interno della fabbrica era arrivato a 15 ore consecutive senza avere un giorno libero. Soffriva di mal di stomaco, insonnia, intorpidimento delle estremità. Il suo peso era sceso di 13 chili.
 
"Aveva la faccia molto tirata" racconta la madre, Noriko Uendan, 59 anni, che ha cominciato a soffrire di angina dalla morte del figlio e ora porta sempre con sé pillole di nitroglicerina. "Mi fa soffrire pensare a quanti giorni è rimasto lì, da solo, prima che lo trovassero".
 
Nel marzo del 2005, il tribunale distrettuale di Tokyo ha dichiarato che sia la Nextar sia la Nikon erano da ritenersi responsabili per la morte di Uendan e ha ordinato a entrambe le aziende il risarcimento dei danni. "È stata una vittoria senza precedenti per i lavoratori temporanei", ha detto l'avvocato di Uendan, Hiroshi Kawahito, che è anche segretario generale del Consiglio di difesa nazionale per le vittime di "Karoshi".
 
“Karoshi” è un'espressione giapponese che sta a significare "morto per eccesso di lavoro" e,  consultando il dizionario Oxford, si scopre che ormai è stata adottata anche dalla lingua inglese. "Si è trattato del primo caso in cui non solo l'azienda che forniva personale temporaneo, ma anche quella che lo riceveva, sono state condannate per negligenza" ha aggiunto Kawahito.
 
Ma la causa non è conclusa. Entrambe le aziende sono ricorse in appello, ma la madre della vittima non intende darsi per vinta. La battaglia legale perciò continua alla corte d'appello di Tokyo, dove alla fine di gennaio si è tenuta la dodicesima udienza.
 
"Negli ultimi anni, sempre più lavoratori temporanei sono stati costretti a lavorare tanto quanto i dipendenti a tempo pieno ed è molto comune che le società appaltatrici forniscano illegalmente ai propri clienti dipendenti di fatto come se fossero interinali o temporanei", dice Koji Morioka, professore di economia e autore di The Age of Overwork. "Visto lo status quo, il caso di Uendan ha un'importanza particolare perché si è trattato in assoluto della prima richiesta di indennizzo per il suicidio di un lavoratore temporaneo a causa di straordinari ed eccesso di lavoro."
 
La questione del "karojisatsu", letteralmente "suicidio dovuto all'eccesso di lavoro" è un problema serio e profondo in Giappone. Il numero di suicidi è aumentato drasticamente, superando i 30 mila casi dal 1998, quando il tasso di disoccupazione raggiunse un record dai tempi del dopoguerra. Secondo gli ultimi dati dell'Organizzazione mondiale della Sanità, il numero di suicidi in Giappone è quasi il doppio di quello negli Stati Uniti.
 
L'ultimo studio dell'agenzia di Polizia nazionale giapponese evidenzia che nel 2006 si sono tolte la vita, in tutto il paese, 32.155 persone. Kawahito stima che più di cinquemila suicidi ogni anno sono il risultato della depressione causata da eccesso di lavoro.
 
Secondo le ultime stime dell'Organizzazione internazionale del Lavoro, ILO, il Giappone detiene il primato di dipendenti che superano le 50 ore a settimana (28,1 per cento), mentre nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea, la cifra non va oltre il 10 percento. The Age of Overwork riporta che la quota di ferie retribuite da parte dei dipendenti giapponesi è scesa al 47 percento nel 2004 dal 61 per cento del 1980.
 
"I troppi straordinari quasi impediscono ai lavoratori di godere di ferie retribuite e questo costituisce un problema" sostiene l’avvocato Kosuke Hori, che è il Direttore Generale dell'Associazione Giapponese degli Avvocati del Lavoro. Il Giappone non ha ratificato alcuna Convenzione dell'ILO sull'orario lavorativo, comprese la Convenzione 132 relativa alle ferie retribuite e la Convenzione 1 sulle ore di lavoro.
 
La legge nazionale non mette un tetto al lavoro straordinario per certe professioni e in certe condizioni. "Quando si tratta di ore lavorative - Marioka scrive nel suo libro - in Giappone non c'è alcun riferimento agli standard internazionali".
 
"Ho giurato su mio figlio mentre era in coma che non mi sarei mai arresa - ha detto la madre di Yuji Uendan - e spero davvero che in futuro le aziende giapponesi lascino avere vite dignitose ai propri dipendenti, tanto da arrivare a morire di vecchiaia". E poi aggiunge con calma, ma con fermezza: “Continuerò a lottare contro queste aziende fino alla vittoria”
 
La lettura di questo articolo e di questa storia drammatica può aiutare ogni paese a scegliere politiche del lavoro che tengano conto dei rischi di un’organizzazione del lavoro carente.
 
Se attualmente da noi le cifre di lavoratori che superano le 50 ore settimanali sono inferiori alla media europea, è importante ricordare che un tassello fondamentale della sicurezza e salute nel mondo lavorativo è proprio un’idonea e dignitosa organizzazione del lavoro.
 
Non a caso parliamo di dignità. Ne parla anche l’articolo 36 della Costituzione Italiana quando indica che il lavoro e la retribuzione ad esso collegata deve assicurare “un'esistenza libera e dignitosa”.
 
Le condizioni di lavoro, intese sia come quantità che come modalità, influenzano direttamente la qualità della vita individuale di ciascuno di noi.
E non è un caso che anche in Europa, di fronte alla frantumazione dei classici rapporti di lavoro e alla crescita di un lavoro precario spesso sottopagato e disorganizzato, il tema dei rischi psicosociali e dello stress assuma sempre maggior rilievo.
 
Collegamenti:
- L’articolo di la Repubblica dove è riportato il servizio.
 
 
 


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