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Emergenza sicurezza sul lavoro: cosa fare nell’immediato?

Emergenza sicurezza sul lavoro: cosa fare nell’immediato?

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Categoria: SGSL, MOG, dlgs 231/01

28/09/2021

Come arrivare ad una inversione di tendenza e risolvere alcune contraddizioni del sistema di prevenzione? La natura giuridica dei modelli organizzativi e il decentramento della funzione ispettiva. A cura dell’avvocato giuslavorista Francesco Stolfa.

Non c’è dubbio che in questi ultimi mesi, anche in relazione a diversi infortuni mortali che hanno avuto una particolare risonanza a livello politico e mediatico, sia aumentata l’attenzione verso le lacune del sistema di prevenzione di infortuni e malattie professionali. Lo stesso Presidente del Consiglio ha sottolineato che con una media di oltre 3 morti al giorno “l’Italia si conferma al di sopra della media dei Paesi UE” e che, dunque, dobbiamo “investire sulla cultura della prevenzione e sulla vigilanza”. Ma come farlo in modo efficace?

 

Proprio per raccogliere utili spunti per affrontare i problemi, invero non nuovi, della prevenzione in Italia, raccogliamo un contributo che riceviamo dall’avvocato giuslavorista Francesco Stolfa e dal titolo “Emergenza sicurezza/lavoro: cosa fare nell’immediato?”. Un contributo che in questa fase di “vorticosa ripresa post-pandemica” si sofferma in particolare sui modelli organizzativi 231 e sulla carenza di personale nella vigilanza.


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Corso online di approfondimento della formazione per la prevenzione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001

 

Emergenza sicurezza/lavoro: cosa fare nell’immediato?

 

In questo periodo di emergenza pandemica la problematica della sicurezza del lavoro è diventata purtroppo di stringente attualità. Si sono moltiplicati diversi drammatici episodi infortunistici che hanno impressionato l’opinione pubblica sia per la frequenza degli eventi sia per le circostanze raccapriccianti in cui sono avvenuti. Il sospetto è questi morti siano il primo prezzo della vorticosa ripresa post-pandemica. Da più parti, anche in sede politica, ci si è domandato quali potessero essere i provvedimenti adottabili nel breve periodo per dare alcune prime risposte immediate ed efficaci.

È una domanda più che legittima ma, in Paese come il nostro, caratterizzato, specie in questa materia, da un altissimo tasso di ipocrisia legislativa ed applicativa, le risposte sono semplici ed ovvie: basta individuare alcune delle principali contraddizioni del sistema ed eliminarle.

 

I modelli organizzativi 231: perché non decollano?

Perché non raddoppiare a costo zero gli addetti alla vigilanza?

 

I modelli organizzativi 231: perché non decollano?

Nel 2007, con la legge 123, che recava la delega per l’emanazione del Testo Unico (poi approvato con D. Lgs. 81/2008), sono stati inseriti fra i reati presupposti di cui al D. Lgs. 231/2001, anche (per la prima volta) due reati colposi: le lesioni e l’omicidio connessi ad infortuni sul lavoro e malattie professionali. Il loro inserimento fra gli eventi che i modelli organizzativi e prevenzionali previsti da quella disciplina di ispirazione europea parve il modo migliore per rendere più rigoroso e “scientifico” il sistema prevenzionistico aziendale. Da quel momento, infatti, il Giudice (penale) era chiamato non solo a verificare lo specifico comportamento tenuto dai responsabili aziendali in occasione del singolo evento dannoso ma anche ad analizzare e verificare l’efficienza e l’efficacia del complessivo sistema prevenzionale predisposto dal datore di lavoro. Un sistema prevenzionale che il D. Lgs. 231/2001 vuole particolarmente rigoroso, puntualmente verificabile e anche assistito da un organismo di vigilanza interno indipendente. Sembrò un salto di qualità. Ma come spesso, troppo spesso, è storicamente avvenuto nel nostro ordinamento, il passaggio della legge dalla carta alla realtà (cioè la sua trasformazione in norma) è avvenuto troppo lentamente e, per certi versi, non è avvenuto affatto.

Ed è arrivato il momento di domandarsi perché.

 

In realtà, la spiegazione è molto semplice: la dottrina prima e la giurisprudenza poi, si sono divise su un punto fondamentale, la natura giuridica di obbligo o di onere attribuibile alla creazione del modello organizzativo.

 

Sul punto, anzi, a causa anche di una involuta formulazione legislativa, la (scarsa) dottrina intervenuta si è anzi inizialmente orientata per la tesi dell’onere, secondo la quale il datore di lavoro sarebbe sostanzialmente libero o quasi di adottare o meno il modello. Solo di recente, alcuni autori si sono orientati verso la tesi dell’obbligo; mentre la scarsissima giurisprudenza ha subito uguali se non maggiori oscillazioni. Di fatto, nel dibattito esegetico e nelle aule giudiziarie regna attualmente la più assoluta incertezza con il bel risultato che alcune Procure contestano (oltre al reato) anche la responsabilità amministrativa dell’ente mentre altre fanno come se il D. Lgs. 231/2001 non esistesse.

 

Inutile dire che questa confusione si ripercuote sulla diffusione dei modelli che, secondo la legge, dovrebbe riguardare tutti i datori di lavoro privati a struttura collettiva (persino micro-imprese, associazioni e studi professionali). La situazione appare ancor più grave e inaccettabile considerando la rilevanza delle sanzioni pecuniarie e la severità di quelle interdittive previste da una normativa che si applica purtroppo a macchia di leopardo.

 

L’opinione di chi scrive è che non possano esservi dubbi sulla natura obbligatoria e necessitata di quegli adempimenti. Al datore di lavoro, in generale, la legge richiede un giudizio di probabilità che egli deve compiere a monte, valutando se nell’attività della sua azienda vi sia insito il rischio della commissione dei reati presupposti che il D. lgs. 231 mira a prevenire. Se egli reputa, sulla base delle oggettive caratteristiche dell’attività, che tale rischio non possa escludersi deve creare i modelli organizzativi prevenzionali. In ogni caso, si tratta di una valutazione che l’imprenditore compie a suo rischio nel senso che se, successivamente, il reato viene di fatto perpetrato, alla società saranno applicate le sanzioni amministrative previste oltre che quelle penali a carico delle singole persone responsabili.

Alla luce di tali considerazioni, pare evidente che, in presenza di oggettive condizioni di rischio, la creazione del modello si pone come un vero e proprio obbligo. In concreto, le condizioni che porterebbero ad escludere l’obbligo dovrebbero essere molto rare e quasi di scuola.

 

Se però passiamo alla materia della sicurezza e igiene del lavoro pare più che evidente che il rischio del verificarsi dell’evento dannoso non può mai essere escluso in quanto qualsiasi attività produttiva implica sempre, inevitabilmente rischi per la salute e per la incolumità dei lavoratori. In tal caso, una valutazione di improbabilità pare assolutamente improponibile e la creazione del modello prevenzionale, così come divisato dal D. Lgs. 231/2001 nonché dagli artt. 30 e 300 del Testo Unico sulla sicurezza, si pone come un adempimento necessitato.

 

Le conseguenze del prevalere di una tale esegesi sarebbero particolarmente rilevanti. In particolare, la mancata attuazione del modello potrebbe essere sanzionata anche in via prevenzionale, ad esempio a seguito di ispezione da parte degli organi di vigilanza che, pur in mancanza di una sanzione stabilita dalla legge, potrebbero però esercitare il potere di disposizione oggi sancito e disciplinato dall’art. 14 del D. lgs. 23 aprile 2004 n. 124, che così recita:

  1. Il personale ispettivo dell'Ispettorato nazionale del lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative.
  2. Contro la disposizione di cui al comma 1 è ammesso ricorso, entro quindici giorni, al direttore dell'Ispettorato territoriale del lavoro, il quale decide entro i successivi quindici giorni. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il ricorso si intende respinto. Il ricorso non sospende l'esecutività della disposizione.
  3. La mancata ottemperanza alla disposizione di cui al comma 1 comporta l'applicazione della sanzione amministrativa da 500 euro a 3.000 euro. Non trova applicazione la diffida di cui all'articolo 13, comma 2, del presente decreto.

A parte la possibilità di applicare tale sanzione amministrativa, non è chi non veda come l’esercizio del potere di disposizione sarebbe un potente strumento di diffusione dei modelli organizzativi in tutte le realtà produttive previste dalla legge.

 

Certo, perchè questa interpretazione si affermi e divenga jus recptum ci vorrebbero anni (solo un orientamento giurisprudenziale consolidato può definire un contrasto così acceso) e comunque non è detto ciò avvenga. Ecco allora un compito per il legislatore che voglia incidere nell’immediato sul problema: si emani una legge di interpretazione autentica che stabilisca espressamente l’obbligo giuridico di adottare, in materia di sicurezza/lavoro, i modelli organizzativi di cui al D. lgs. 231/2001 e agli artt. 30 e 300 del D. Lgs. 81/2008. Il semplice annuncio di tale provvedimento legislativo indurrebbe le tante aziende oggi indecise a rompere gli indugi e i modelli organizzativi diventerebbero un potente volano di ottimizzazione dei sistemi prevenzionali aziendali.

 

Perché non raddoppiare a costo zero gli addetti alla vigilanza?

C’è un altro provvedimento molto semplice e a costo zero che si può adottare nell’immediato, con una piccola modifica legislativa, che però può implicare una impennata nell’attività prevenzionale. Ed è la prevenzione l’anello decisivo nella catena degli interventi che possono incidere in modo decisivo sul dramma delle cd. morti bianche. Ma è proprio sul terreno della prevenzione che si registrano le maggiori carenze e si manifesta quell’ipocrisia cronica del sistema.

 

La carenza di personale dei Servizi di Prevenzione delle ASL viene additata come la causa principale di tale lacuna. Ma, dopo oltre quarant’anni è arrivato il momento di chiedersi seriamente se il decentramento della funzione ispettiva in questa materia non debba essere, almeno in parte, ripensata. Come noto, fu la legge 833/1978, la cd. Riforma Sanitaria che attribuì alle strutture sanitarie locali la competenza generale nella vigilanza prevenzionale, sottraendola in gran parte all’Ispettorato del Lavoro. In realtà gli ispettori ministeriali non si sono mai del tutto rassegnati a questa che hanno sempre considerato una deminutio e hanno sempre cercato, in vari modi di riprendersi quelle competenze. Essi, peraltro, continuano a occuparsi di ispezioni nelle situazioni di maggior rischio secondo le disposizioni dell’art. 13 del D. Lgs. 81/2008 nonché, su delega di molte Procure, nelle indagini post-infortunio.

Di fatto, essi sono estromessi dalla vigilanza nella gran parte dei settori produttivi. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: una attività prevenzionale priva di orientamenti unitari, realizzata anzi a macchie di leopardo, condizionata dalla situazione delle varie ASL (nell’ambito delle quali le attività di cura assorbono sempre mole energie e risorse, relegando spesso ai margini quelle prevenzionali); ma, soprattutto, una vigilanza così organizzata e parcellizzata priva gli organi di governo di qualsiasi possibilità di intervento. Quando a Prato è avvenuto quel terribile infortunio in un’azienda tessile, il Ministro del Lavoro (magari anche solo per dare una risposta al grande sconcerto provocato nella pubblica opinione) non ha potuto ordinare una ispezione a tappeto in tutte le aziende del settore per verificare le condizioni di lavoro, perché non aveva competenza in quel tipo di aziende.

 

Ecco allora un’altra importante ed efficace riforma realizzabile nell’immediato e a costo zero ma tale da incidere profondamente sull’effettività dell’azione prevenzionale: restituiamo all’Ispettorato del Lavoro la competenza generalizzata in materia di sicurezza, aggiungendo, dall’oggi al domani, tutto il personale ministeriale a quello delle ASL. Ovviamente con obbligo e strumenti specifici di coordinamento.

 

L’optimum sarebbe, poi, unire a questa semplice riforma anche la creazione di una Direzione Investigativa Antifortunistica (sul modello di quella antimafia) che crei, nell’ambito delle Procure, magistrati specializzati nella materia.

 

Queste due riforme così semplici ma così incisive sarebbero il segnale di una netta inversione di tendenza in uno strano Paese come il nostro, da sempre all’avanguardia nel rigore legislativo come anche nel lassismo applicativo (e, non a caso, ai primi posti nel numero di eventi dannosi).

 

Francesco Stolfa

Avvocato giuslavorista

Docente di igiene e sicurezza del lavoro nel Master in diritto del lavoro e relazioni sindacali dell’Università di Bari “A.Moro”.

 



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Rispondi Autore: Agdp1991 - likes: 0
28/09/2021 (08:21:19)
In riferimento alla seconda proposta, l'avvocato Stolfa trascura o dimentica un elemento fondamentale: l'esistenza di una figura professionale specifica per quanto concerne la prevenzione, la vigilanza e l'ispezione nei luoghi di lavoro, ovvero il Tecnico della Prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, istituito e disciplinato dal DM 58 del 1997.
Figura professionale che viene preparata a livello universitario sugli elementi tecnici e giuridici per affrontare la sicurezza sul lavoro, la sicurezza alimentare e la sicurezza ambientale. è evidente la presenza di un conflitto tra vari, troppi enti; ed è evidente come sia abbastanza scandaloso che la Laurea in Tecniche della Prevenzione non rientri tra quelle consentite per accedere ai concorsi come Ispettore del Lavoro presso il Ministero del Lavoro.
è necessaria l'unificazione dei controlli tra enti, ma questa deve essere realizzata all'interno delle ASL, perché è la ASL a dover essere la prima e unica responsabile della salute del lavoratore. E le ispezioni e le vigilanze nei luoghi di lavoro sulla sicurezza e sull'igiene hanno come primo obiettivo la salute del lavoratore. Le intenzioni della Legge 833/1978 erano davvero nobili e innovativi, purtroppo ad oggi tutto ciò è scomparso. Se reperibile, consiglio la lettura di un libretto del 1981 di Martignani e Tonelli "Medicina del lavoro nelle unità sanitarie locali" (La Nuova Italia Scientifica). Lì si comprende perfettamente quelle che erano le attese e le speranze, ad oggi del tutto disattese. Per il semplice fatto che la prevenzione è ancora vista come elemento secondario, "ancellare" (come lo definisce Giorgio Cosmacini), rispetto alla diagnosi-terapia.
Rispondi Autore: FABIO - likes: 0
28/09/2021 (08:53:39)
Senza dubbio uno spunto di riflessione e analisi che merita approfondimento. E tuttavia lo percepisco come maggiormente attento alle soluzioni "a frittata fatta" (la Direzione Investigativa Antifonrtunistica), a rimarcare un approccio che forse è troppo attento alla parte repressiva e non anche a quella incentivante e premiante.
Un ottimo spunto secondo in merito credo sia quello dell'Ing. Catanoso (https://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/infortuni-sul-lavoro-C-138/la-conferma-di-un-sistema-prevenzionale-da-manutenzione-a-guasto-AR-21591/)
Rispondi Autore: lu12332 - likes: 0
28/09/2021 (14:40:37)
Sulla prima parte dell'intervento mi preme ricordare che il tessuto produttivo Italiano è composto in gran parte da piccole imprese, spesso a conduzione familiare, dove i modelli organizzativi ex 231 difficilmente troverebbero terreno fertile di applicazione. Basti pensare che in queste aziende vige il concetto "alla burocrazia ci pensa il commercialista" o il consulente.

Sulla seconda parte devo essere assolutamente critico, anche perchè sembra che le opinioni espresse si basino su una non sufficiente conoscenza degli elementi di contesto.
La L. 833/78 (con le sue svariate riforme) ha rappresentato un cambiamento epocale nella concezione del sistema salute italiano. La salute è diventata centrale e centrale è diventato il cittadino che ha il bisogno di salute. Al sistema delle Regioni ed alle ASL (prima USL) veniva affidato l'importante compito di governare il sistema per garantire la salute. Nello specifico, per quanto riguarda infortuni e malattie professionali, prevenire gli eventi, mentre lo Stato (il livello centrale) manteneva un ruolo alto, di individuazione delle strategie e dei LEA, anche perchè trattasi di materia concorrente.
Negli anni le Regioni e le ASL, anche grazie all'evoluzione delle professioni sanitarie, hanno acquisito competenze tecniche e sanitarie che sono state poste in campo con l'obiettivo primario di prevenire gli eventi e quindi garantire lo stato di salute.
Il sistema delle Regioni è da sempre focalizzato sul fenomeno e ha periodicamente aggiornato le proprie strategie di intervento secondo l'ormai consolidata prassi che vede la formulazione delle linee strategiche da parte del Ministero della Salute con il PNP e la loro declinazione operativa nei territori regionali con i PRP, cui ogni ASL si deve riferire.
Il coordinamento, il confronto e la collaborazione è posto in essere in seno alla Conferenza delle Regioni, con specifici gruppi tecnici di riferimento.
Quindi non vi è un decentramento dell'azione ispettiva ma bensì una costante e continua programmazione e valutazione degli interventi di prevenzione da un profilo generale ad un ambito territoriale mirato.

Anche la triste vicenda di prato ha dimostrato che il sistema Regionale è in grado di intervenire, dato che la regione ha messo in campo una campagna straordinaria di interventi mirati alla prevenzione degli infortuni in quel comparto con l'ampio coinvolgimento dei vari portatori di interesse, e non solo alla repressione, che è ovviamente sacrosanta, doverosa.

Purtroppo, negli anni, abbiamo visto un costante e continuo calo di interesse politico, istituzionale ed anche mediatico, alle attività svolte dei Servizi di Prevenzione delle ASL, che si è tramutato in una lenta ma inesorabile perdita di personale, competenze e risorse che tutt'ora continua e non si intravedono segnali di inversione di rotta.
I vari governi e Ministri parlano ormai da tempo del concorso per l'assunzione di 2000 ispettori del lavoro (dei quali solo la minima parte sarà di vigilanza tecnica) ma non ho mai sentito un Ministro della Salute parlare di procedure analoghe per le ASL.

Lo stesso personale dell'attuale Ispettorato Nazionale del Lavoro dedicato alla vigilanza tecnica è in numero ridotto e sotto organico, forse anche perchè le competenze in tema di SSL sono ridotte ai cantieri e pochi altri comparti speciali, e la vigilanza ordinaria (lavoro nero, contratti, etc.) rappresenta l'attività prevalente.

Fornire quindi ad ispettori "tecnici" il potere prescrittivo ex 758/94 in tutti i settori non inciderebbe ne sull'aspetto ispettivo, visti i numeri, ne impatterebbe sulla prevenzione.

D'altro canto le competenze tecniche necessarie per le attività di prevenzione e ispezione in tema di SSL non possono essere le stesse di quelle previste per una attività ispettiva sull'aspetto della regolarità contributiva.

Allora se veramente la salute e la sicurezza sul lavoro è una priorità per lo Stato Italiano credo che i ministeri competenti, in primis Salute, debbano intervenire in modo incisivo per ricostruire un sistema Sanitario Regionale degno di questo nome che disponga delle adeguate risorse di personale, strumenti e attrezzature che consentano di raggiungere gli obiettivi prefissati e magari che tali obiettivi siano fissati con un po' di ambizione.

Rispondi Autore: Avv. Dubini Rolando - likes: 0
30/09/2021 (11:08:21)
Mi pare prioritario introdurre l'obbligo del modello 231, quantomeno per i reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro ed ambientale, per tutte le aziende, superando l'attuale situazione legale che li lascia facoltativi. Trovo invece poco fattibile estendere il potere di disposizione sui modelli 231 agli ispettori del lavoro, che ignora o completamente la materia. Casomai estendere le loro competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, previa firma di un protocollo d'intesa con l'Ats competente per territorio
Rispondi Autore: ing. Sergio Misuri (T Prisma Sas) - likes: 0
01/10/2021 (10:07:23)
Tutti i contributi sono appropriati e doverosi, ma trascurano un argomento a mio modesto giudizio fondamentale: la sicurezza sul lavoro attraverso il miglioramento dei comportamenti di tutti gli "attori" in campo: DdL, Dirigenti, Preposti e LAVORATORI.
I comportamenti sono causa o concausa della stragrande maggioranza di infortuni.
Senza trascurare minimamente tutte le altre azioni di prevenzione e di cultura, bisogna iniziare immediatamente a occuparci anche degli aspetti pratici di questo argomento.
I Sistemi "tradizionali" pur doverosi, necessari ed utili, anche se applicati correttamente e assiduamente, NON SONO SUFFICIENTI nei confronti delle imprudenze (volontarie e soprattutto involontarie).
Esistono da molti anni, a livello italiano e internazionale, esperienze e Buone prassi che hanno dimostrato ottimi risultati riguardo alla sicurezza "comportamentale" e che possono tranquillamente essere adattati e quindi applicati nelle PMI

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