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Sulla responsabilità del datore di lavoro per la inadeguatezza del POS

Sulla responsabilità del datore di lavoro per la inadeguatezza del POS
Gerardo Porreca

Autore: Gerardo Porreca

Categoria: Sentenze commentate

05/09/2022

In materia di prevenzione infortuni sul lavoro maggiore è la pericolosità dell’attività esercitata in concreto e maggiori devono essere la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee a ridurre quanto più possibile il rischio consentito.

Il piano operativo di sicurezza (POS) rappresenta, nei cantieri edili,  il documento di valutazione dei rischi e deve contenere, fra l’altro, come previsto nell’allegato XV del D. Lgs n. 81/2008, l’individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento (PSC) quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle lavorazioni e il suo contenuto minimo deve essere parametrato in relazione alle specificità delle attività oggetto del cantiere, al tipo di attrezzature usate ed alle caratteristiche dell’area in cui il cantiere insiste. È quello che ha ricordato la Corte di Cassazione in questa sentenza della IV Sezione penale con la quale la stessa ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’amministratore di un’impresa appaltatrice condannato pe l’infortunio mortale di un lavoratore rimasto folgorato per essere venuto in contatto con un cavo elettrico in tensione durante alcuni lavori di escavazione finalizzati a posizionare un basamento interrato in cemento armato da utilizzare come appoggio di una gru.

 

L’accusa formulata all’amministratore della società era stata quella di non avere redatto un piano operativo di sicurezza adeguato e di non avere adottato le dovute precauzioni nel corso di lavori in prossimità di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette. In materia di prevenzione infortuni sul lavoro, ha sostenuto la suprema Corte, fornendo un insegnamento in merito, maggiore è la pericolosità intrinseca dell’attività esercitata in concreto e maggiori devono essere la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee a ridurre quanto più possibile il rischio consentito, poiché la soglia della prevedibilità degli eventi dannosi è più alta di quanto non lo sia rispetto allo svolgimento di attività comuni.

 

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Il fatto e le sentenze di condanna

La Corte di Appello ha parzialmente riformata, eliminando le statuizioni civili, la sentenza del Tribunale con la quale l’amministratore, direttore tecnico e responsabile tecnico di un’impresa edile era stato condannato per il delitto di cui all’art. 589 cod. pen aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di un dipendente dell’impresa stessa. In primo grado il Tribunale aveva anche dichiarato di non doversi procedere nei confronti del padre dell’imputato, nella sua qualità di preposto/dirigente di fatto, essendo il reato estinto in quanto deceduto.

 

Oggetto del processo era un infortunio sul lavoro, ricostruito nelle sentenze di merito, conformi, così come di seguito indicato. In un cantiere per la ristrutturazione di un fabbricato sito in un centro abitato era in corso, ad opera dell’impresa affidataria, uno scavo, effettuato da un’impresa subappaltatrice per il posizionamento di un basamento interrato in cemento armato che sarebbe servito da appoggio ad una gru, necessaria per i lavori di ripristino della copertura del tetto di una costruzione. Il giorno precedente l’infortunio, nel corso dei lavori di scavo, per caso era stata trovata e danneggiata dalla benna dell’escavatore una conduttura elettrica, ricoperta al termine della giornata dagli operai dell’impresa appaltatrice con un telo di nylon; il giorno dopo un dipendente dell’impresa appaltatrice era stato incaricato, dal preposto/dirigente di fatto dell’impresa stessa di inguainare detta conduttura con un cavidotto corrugato e, effettuando detta operazione, era stato colpito da una scarica elettrica proveniente dal cavo, riportando lesioni in conseguenza delle quali era deceduto.

 

Gli addebiti di colpa specifica per l’imputato erano stati individuati nella violazione degli artt. 96, comma 1 lett. g), del D. Lgs n. 81/2008, per non avere redatto un piano operativo di sicurezza adeguato e 117, comma 1, dello stesso D. Lgs 81/2008, per non avere adottato, nel corso di lavori in prossimità di linee elettriche o di impianti elettrici con parti attive non protette, le prescritte precauzioni.

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni

Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha proposto ricorso. con il proprio difensore, formulando due motivi. Con il primo motivo ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla affermazione per cui il cavo elettrico sarebbe stato danneggiato, in fase di scavo, il giorno antecedente all’infortunio mortale, dalla benna dell’escavatore. Ha osservato il ricorrente che nel corso del processo di primo grado nessuno dei testi aveva riferito di detto episodio ed anzi un teste, dipendente della ditta subappaltatrice incaricata dello scavo, aveva più volte ribadito che dopo l’esecuzione dello scavo il cavo era rimasto integro; anche l’ispettore dello Spresal, il consulente tecnico del Pubblico Ministero ed il perito nominato dal giudice, del resto, si erano limitati ad ipotizzare il danneggiamento del cavo ad opera della benna, in modo da rendere verosimile la ricostruzione dell’accaduto da loro effettuata.

 

Con il secondo motivo ha dedotto violazione della legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta inadeguatezza del piano operativo di sicurezza ( POS). La Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che la previsione contenuta nel POS stesso, secondo la quale dovevano essere immediatamente segnalate situazioni fuori norma e di pericolo, era da un lato insufficiente, in quanto priva di connotati vincolanti e di indicazioni puntuali anche con riferimento alla tempistica dell’adempimento, e dall’altro poco chiara, in quanto non erano indicati i destinatari. Il ricorrente ha rilevato, in proposito, che in realtà la previsione indicata era rivolta ai lavoratori dipendenti, fra cui l’infortunato, come espressamente indicato, ed era esaustiva nel contenuto, tanto più che prescriveva un obbligo di segnalazione, come tale necessariamente vincolante.

 

La Corte di Appello inoltre, secondo il ricorrente, avrebbe omesso di accertare la sussistenza del nesso di causalità fra la predisposizione di detto POS da parte sua e l’evento mortale, in quanto non avrebbe tenuto conto, nella valutazione della serie causale, della condotta di suo padre, preposto presente in cantiere, di per sé sola sufficiente a determinare l’evento, consistita nel non averlo informato immediatamente, in violazione della previsione del POS, del rinvenimento del cavo elettrico e ancor più nell’aver dato disposizione agli operai, fra cui l’infortunato, di intervenire su detto cavo.

 

Il Procuratore generale, da parte sua, ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile da parte della Corte di Cassazione pe essere i motivi manifestamente infondati.

 

La Corte di Appello infatti era pervenuta alla affermazione della responsabilità dell’imputato, aderendo alla ricostruzione del tragico evento operata nella sentenza di primo grado, sulla scorta, fra l’altro delle risultanze di una perizia. La stessa, sulla base di tale ricostruzione, ha ritenuto accertato che:

– il giorno prima dell’incidente si era verificato un guasto dovuto ad un contatto fra la benna dell’escavatore ed il cavo che aveva determinato una modesta dispersione di corrente elettrica nel terreno;
– il preposto, presente in cantiere nel momento in cui era stato scoperto il cavo interrato, aveva rassicurato i lavoratori, sostenendo, infondatamente, che si trattava di una linea elettrica non più attiva;
– l’ulteriore attività di scavo, che aveva comportato la rimozione della terra caduta sopra il cavo, aveva provocato un indebolimento della sua struttura: il telo apposto dagli operai non era stato idoneo ad assicurare una schermatura completa;

– il giorno dell’infortunio il lavoratore infortunato, nel tentativo di cucire con un filo di ferro la guaina di corrugato posta, aveva toccato con il suo corpo il cavo, oppure vi era stato un cedimento del cavo stesso, ossia una esplosione con corto a terra con conseguente evaporazione dell’isolante e scarico dell’energia attraverso gli oggetti metallici utilizzati dall’operaio;

– l’imputato, essendo l’area di scavo compresa in un centro urbano, avrebbe dovuto prevedere la presenza nel sottosuolo dei manufatti delle opere di urbanizzazione secondaria e approntare di conseguenza un POS adeguato che contenesse anche le cautele da adottare in tale possibile evenienza. La Corte di Appello, quindi, ha ravvisato in capo all’imputato il profilo di colpa consistito nell’aver approntato un piano operativo di sicurezza manifestamente carente sotto il profilo dell’accertamento della presenza dei rischi connessi all’attività e all’ambiente e nel non avere, una volta scoperto il cavo elettrico interrato, sospeso immediatamente i lavori fino alla messa in sicurezza del cantiere.

 

Con riferimento al primo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ha innanzitutto premesso che sono precluse alla stessa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.

 

Nella sentenza impugnata, ha fatto presente la Sez. IV, i giudici, nel replicare alla censura, riproposta nel ricorso, secondo cui il perito avrebbe fondata la ricostruzione su un dato di fatto non accertato, ovvero sul fatto che il giorno precedente all’infortunio il cavo elettrico era stato danneggiato dalla benna dell’escavatore, hanno dato atto del compendio probatorio da cui era emersa la circostanza. Invero il tecnico dello Spresal aveva spiegato di aver rinvenuto al momento dell’intervento dopo l’infortunio il cavo in tensione, ossia sospeso e fessurato nel punto in cui era stato sottoposto a trazione, dopo la rimozione della terra di supporto; lo stesso tecnico aveva anche riferito che il giorno precedente l’infortuno, nel mentre erano in corso i lavori di scavo, l’Enel aveva registrato un calo di tensione nell’area alimentata dalla conduttura elettrica, e, posto che non erano emerse altre differenti cause, tale calo doveva necessariamente imputarsi all’impatto della benna dell’escavatore. Anche il consulente tecnico del Pubblico Ministero aveva evidenziato che il cavo era stato danneggiato nell’involucro di protezione, come dimostrato dal fatto che due dei cinque tegoli che lo reggevano non erano stati rinvenuti, in quanto danneggiati durante l’escavazione e verosimilmente asportati insieme alla terra di risulta e poi dispersi.

 

Inoltre, il dipendente della ditta di escavazioni, ha aggiunto la suprema Corte, aveva riferito che non gli era stata prospettata la possibile presenza nell’area da scavare di cavi elettrici, sicché era verosimile che egli avesse proceduto come se nel sottosuolo non vi fosse nulla, se non la terra, e avesse quindi manovrato la benna senza alcuna cautela. Il fatto, inoltre, che i lavoratori dell’impresa appaltatrice, fra cui il lavoratore deceduto, avessero ricevuto l’ordine di rivestire il cavo emerso a seguito della escavazione aveva significato già di per sé che il cavo era stato danneggiato e lasciato in una pericolosa condizione di tensione in quanto non appoggiato a terra. La ricostruzione fatta dalla Corte di Appello è risultata quindi, secondo il collegio, esaustiva e coerente con le risultanze istruttorie e perfettamente coerente con il compendio probatorio per cui non erano da ravvisare i vizi lamentati dal ricorrente, né sotto il profilo della carenza della motivazione, né sotto il profilo della violazione di legge.

 

Quanto poi alla ritenuta inadeguatezza del POS redatto dall’imputato e alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità fra gli addebiti di colpa e l’evento mortale, a fronte della condotta del preposto, padre dell’imputato, che, in quanto di per sé sola sufficiente a determinare l’evento, avrebbe interrotto la sequenza causale, la Corte di Cassazione, citando la Sentenza n. 28136 del 13 luglio 2012 della III Sezione penale, commentata dallo scrivente nell'articolo "Sui contenuti minimi del piano operativo di sicurezza nei cantieri edili", ha osservato che il piano operativo di sicurezza, ovvero il documento che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice dei lavori in campo edile redige per ogni singolo cantiere, costituisce uno strumento di prevenzione dei rischi connessi allo svolgimento dell’attività e, pertanto, deve contenere disposizioni specifiche in relazione alle diverse attività che vengono svolte nel luogo di lavoro.  

 

Il POS quindi, nei cantieri edili, ha così proseguito la suprema Corte, rappresenta il documento di valutazione del rischio e deve contenere, fra l’altro, come previsto nell’allegato XV del D. Lgs n. 81/2008, l’individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle lavorazioni. Il contenuto minimo del POS, dunque, deve essere parametrato in relazione alle specificità delle attività oggetto del cantiere, al tipo di attrezzature usate ed alle caratteristiche dell’area in cui il cantiere insiste.

 

Nel caso in esame, ha evidenziato la Corte di Cassazione, i giudici hanno rilevato che, trovandosi il cantiere in un ambiente urbanizzato caratterizzato dalla presenza di numerose abitazioni, la presenza della linea elettrica era una evenienza prevedibile e che, conseguentemente, il piano operativo di sicurezza avrebbe dovuto indagare tale rischio e prevedere, per l’ipotesi del rinvenimento di linee elettriche, la sospensione dei lavori e l’immediata comunicazione da parte dei dipendenti al datore di lavoro della evenienza. La previsione contenuta nel POS, ovvero l’obbligo di evidenziare situazioni fuori norma o di possibile pericolo, è stata ritenuta insufficiente, in quanto generica e non calibrata sui rischi concreti collegati all’attività esercitata (scavi nel sottosuolo) e soprattutto all’ambiente in cui l’attività era esercitata (area urbanizzata ove era prevedibile la presenza sotto il suolo di condutture), stante anche l’obbligo, previsto dall’art. 117 de D. Lgs n. 81/2008 di adottare, in caso di lavori in prossimità di linee elettriche attive, le precauzioni ivi prescritte.

 

D’altronde, ha sostenuto ancora la Sez. IV, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, “in materia di prevenzione infortuni sul lavoro, maggiore è la pericolosità intrinseca dell’attività esercitata in concreto, maggiori devono essere la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee a ridurre quanto più possibile il rischio consentito”, poiché la soglia della prevedibilità degli eventi dannosi è più alta di quanto non lo sia rispetto allo svolgimento di attività comuni.

 

A fronte di una motivazione congrua e soprattutto coerente con la normativa relativa alla prevenzione infortuni nei cantieri edili così come delineata, le censure del ricorrente, secondo la suprema Corte, sono apparse generiche e tali da non intaccare il percorso argomentativo dei giudici di merito. La Corte di Appello, infatti, ha ritenuto sussistente il nesso di causa fra la condotta colposa dell’imputato e l’evento, con un ragionamento immune da censure. Da un lato, infatti, laddove il POS avesse contenuto la previsione specifica delle cautele da attuare nel caso di rinvenimento della linea elettrica, prima fra tutte la sospensione dell’attività e l’immediata comunicazione al datore di lavoro, l’evento non si sarebbe verificato, dall’altro, la condotta del preposto presente in cantiere, che aveva dato mandato al lavoratore infortunato di ricoprire la conduttura con un corrugato, non poteva valere ad integrare una serie causale autonoma, tale da interrompere il nesso di causa, in quanto era stata la totale inadeguatezza del POS a innescare la sequenza causale e a consentire al preposto di agire nel modo anzidetto.

 

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso è conseguita quindi la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

 

 

Gerardo Porreca

 

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV - Sentenza n. 21862 del 07 giugno 2022 (u.p. 10 maggio 2022) - Pres. Ferranti – Est. Ricci – P.M. Romano - Ric. O.G.C.G.. - In materia di prevenzione infortuni sul lavoro maggiore è la pericolosità dell’attività esercitata in concreto e maggiori devono essere la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee a ridurre quanto più possibile il rischio consentito.

 




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