Sulla carenza di sicurezza e sull’inquinamento dei fatti
La Sentenza n. 52534 del 17 novembre 2017
A dimostrare, ancora una volta, che queste cose avvengono con troppa frequenza nei luoghi di lavoro, ci soffermiamo oggi su quanto racconta la Sentenza n. 52534 del 17 novembre 2017 che affronta un ricorso relativo ad un infortunio mortale con archi sollevati da un mezzo meccanico e alla responsabilità, accertata già nei primi due gradi di giudizio, del datore di lavoro.
Nella sentenza si indica che la Corte di Appello di Salerno ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Salerno aveva dichiarato T.G. “colpevole del reato previsto dall'art. 589, secondo comma, cod. pen. commesso ai danni di S.M.B. in data antecedente e prossima al 21 maggio 2007. Con la stessa sentenza è stata dichiarata l'improcedibilità dell'azione penale per il diverso reato previsto dall'art. 367 cod. pen. in quanto estinto per prescrizione”.
Veniamo ai fatti, come accertati nei due gradi di merito, il processo di primo grado e quello di appello.
S.M.B. lavorava presso il cantiere dell'impresa XXX di T.G. s.r.l., a latere di un macchinario di sollevamento, “quando era stato colpito da archi di forma allungata sollevati da tale mezzo meccanico; le circostanze della morte non erano state messe in discussione dall'imputato, che per occultare il reato aveva trasportato, unitamente al coimputato T.L., il cadavere dell'operaio in altra località abbandonandolo in una cunetta per simulare un incidente stradale previo danneggiamento della bicicletta della vittima”.
In particolare l'infortunio “si era verificato per l'uso scorretto del sollevatore telescopico, sul cui dispositivo di presa del carico, costituito da forche, erano stati appoggiati gli archi; la caduta era avvenuta mentre gli archi venivano trasportati ad un'altezza superiore ai 30 centimetri da terra previsti dal manuale d'uso senza assicurarne la stabilità; i requisiti di sicurezza dell'operazione non erano stati valutati nel documento della sicurezza aziendale; il mezzo meccanico non presentava difetti di funzionamento ed, al momento dell'infortunio, era manovrato dall'imputato, amministratore unico dell'impresa e datore di lavoro, che doveva caricare gli archi su un diverso macchinario idoneo al loro trasporto per il montaggio nelle serre”.
Il ricorso per cassazione
Il ricorrente propone poi ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
a) vizio di motivazione “in relazione alle risultanze documentali e testimoniali circa la condotta dell'imputato; la prova della responsabilità del ricorrente è stata desunta dalle dichiarazioni contraddittorie rese da due informatori (C.V. e R.F.) nell'immediatezza del fatto; è illogica la valutazione come piena prova delle dichiarazioni rese da uno dei due informatori, laddove nella medesima sentenza si è affermato che quanto dichiarato da persona informata sui fatti può essere utilizzato esclusivamente ai sensi dell'art. 500, comma 2, cod. proc. pen. per le contestazioni;
b) violazione di legge in merito alle concause che hanno contribuito al verificarsi dell'evento, avendo il giudice di appello fondato responsabilità sul precetto generale di cui all'art. 2087 cod. civ. senza collegare la condotta dell'agente al principio di colpevolezza, trascurando che, a seguito degli accertamenti eseguiti dall'ufficio ISPES, l'unico rilievo mosso all'impresa era l'omesso aggiornamento del corso linguistico per la mano d'opera straniera e l'assenza del box spogliatoio;
c) omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, sebbene le prove fossero contrastanti ed incerte, l'affermazione di responsabilità fosse basata sulla mera qualità di titolare dell'impresa”.
Le risposte della Corte di Cassazione
Si indica che il primo ed il secondo motivo di ricorso sono inammissibili.
Si sottolinea, ad esempio, che il tribunale aveva “elencato le emergenze istruttorie (dichiarazioni di B.G. e M.F. acquisite ai sensi dell'art. 512 cod. proc. pen. senza opposizione della difesa, dichiarazioni di M.I. e Z.V. acquisite su consenso delle parti, dichiarazioni iniziali di C.V. e R.F., poi inverosimilmente ritrattate e, per R.F., confermate da un'intercettazione telefonica del 28 maggio 2007) che dimostravano che alla guida del mezzo fosse T.G. ed aveva sottolineato che quest'ultimo, quale datore di lavoro, avrebbe dovuto approntare le misure antinfortunistiche prescritte per il sollevamento degli archi indipendentemente dalla circostanza che manovrasse o meno il mezzo in prima persona. La Corte di Appello, richiamando le analitiche argomentazioni già svolte dal tribunale sui medesimi temi oggetto di appello, ha rimarcato l'assenza di contestazioni in merito alla dinamica dell'infortunio ed in merito alla qualifica di T.G. quale amministratore unico” della società XXX e datore di lavoro, ribadendo che, secondo il manuale d'uso, lo spostamento del mezzo “doveva essere effettuato a forche basse e con carico da imbracare in caso di spostamento con braccio elevato oltre 30 centimetri da terra”.
Inoltre si indica che le dichiarazioni rese da C.V. e da R.F. “sono state richiamate per sottolineare come persino tali testimoni, che la difesa aveva richiamato a sostegno dei propri assunti, avevano riferito che il carico non fosse imbracato e si stesse trasportando a quota di almeno due metri di altezza. Le dichiarazioni rese da C.V. sono state, poi, valutate altresì quale prova dei fatti in quanto acquisite su consenso delle parti ai sensi dell'art. 493, comma 3, cod. proc. pen.”.
E nel ricorso – continua la sentenza n. 52534 - si sovrappongono “argomenti inerenti al nesso di causalità (concause dell'evento) al tema della colpa (errore determinato da altri e da circostanza che l'imputato non aveva possibilità di conoscere), ignorando che la Corte di Appello ha analiticamente richiamato i profili di colpa specifica ascrivibili all'imputato quale datore di lavoro (inadeguatezza del documento rischi e sicurezza in relazione alle operazioni di movimentazione dei carichi, omissione di misure organizzative per ridurre al minimo i rischi correlati all'uso del carrello elevatore). I motivi del ricorso, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.) debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale del motivo di ricorso è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta; confronto qui del tutto mancante”.
Veniamo, infine, alla risposta relativa al terzo motivo di ricorso.
Anche in questo caso il motivo di ricorso è ritenuto infondato.
La Corte di Appello ha “ritenuto, con motivazione congrua e non sindacabile in questa sede, che la condotta complessivamente tenuta dall'imputato, improntata all'inquinamento del fatto con frapposizione di ostacoli alla sua ricostruzione e connotata da assenza di resipiscenza, non consentisse di applicare le circostanze attenuanti generiche. Tale valutazione ha, con evidenza, influito anche sul giudizio prognostico funzionale al diniego della sospensione condizionale della pena, corroborato dalla rilevata reiterazione di condotte penalmente rilevanti in materia antinfortunistica, dunque fondato su valutazione discrezionale esente da vizi ed insindacabile in questa sede”.
In conclusione la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Tiziano Menduto
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