Se le vie di circolazione non sono sgombre e ostacolano il transito
Roma, 29 Ago – Il datore di lavoro deve provvedere affinché i luoghi di lavoro siano conformi ai requisiti di cui all’articolo 63, commi 1, 2 e 3 (D.Lgs. 81/2008) e deve anche far sì che:
- “le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza;
- i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;
- i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate;
- gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento”.
La sentenza n. 14657, l’evento e i motivi del ricorso
Nella citata sentenza del 30 marzo scorso la Corte di Cassazione segnala che la Corte di Appello di Firenze “ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze con cui K.S.F. è stata condannata, oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile, alla pena della multa di euro 750,00 per il delitto di cui agli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., per avere”, quale dirigente del punto vendita XXX di Firenze, con violazione delle norme in materia di sicurezza sul lavoro, “consentito che il corridoio di passaggio per il motocarichi, luogo di utilizzo comune fuori dalla disponibilità dei datori di lavoro proprietari dei singoli box vendita, peraltro, adibito a uscita di sicurezza, fosse ingombrato da materiale che, ostacolando il transito, determinava la caduta di I.M., da cui conseguivano lesioni personali consistenti in contusione epatica e frattura IX, X e XI costole destre, con malattia guarita in 125 giorni (18 settembre 2010)”.
Contro la sentenza è stato proposto ricorso per cassazione denunciando:
- “l'inosservanza e erronea applicazione degli artt. 178, primo comma, lett. c, 180, 185, cod.proc.pen., essendo stata rigettata l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio, nonostante l'indeterminatezza del capo di imputazione, per mancata individuazione della norma cautelare, asseritamente violata, risultando non pertinente all'art. 61 del d. lgs. n. 81 del 2008;
- l'inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 590, secondo e terzo comma, cod.pen., 61 e 64 del d.lgs. n. 81 del 2008, 604, 530, 533, 546, primo comma, lett. e) cod.proc.pen.”;
- “la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'affermata responsabilità penale dell'imputata”.
Le indicazioni della Corte di Cassazione
Rimandando alla lettura integrale della sentenza in merito al dettaglio dei ricorsi, ci soffermiamo brevemente sulle risposte della Corte di Cassazione.
Secondo la Corte i primi due motivi di ricorso “non meritano accoglimento, atteso che, come precisato dalla Suprema Corte (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 ud., dep. 04/02/2014, rv. 258920), in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, conformemente a quanto avvenuto nel caso di specie, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa (nello stesso senso, tra le tante, Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013 ud., dep. 24/05/2013, rv. 255772, secondo cui, ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non anche l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati)”.
Dunque al di là di eventuali refusi – posto che il riferimento all'art. 61 integrava “un mero refuso materiale, da cui non è derivato alcun pregiudizio al diritto di difesa dell'imputata” – “non può ravvisarsi, pertanto, alcuna violazione di legge nel rigetto dell'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio da parte dei giudici di merito”. Giudici che hanno, inoltre, evidenziato come dalla descrizione del fatto “emergesse chiaramente la disposizione violata e, cioè, l'art. 64 del d. lgs. n. 81 del 2008, ai sensi del quale il datore di lavoro ha l'obbligo di fare in modo che le vie di circolazione interne o all'aperto che conducono a uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l'utilizzazione in ogni evenienza”.
E neanche gli altri motivi superano il vaglio di ammissibilità, in quanto “non denunciano né violazioni di legge, né mancanze, illogicità e contraddittorietà della motivazione effettive o, comunque, rilevanti, su aspetti che risultano decisivi ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputata, ma si traducono in una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella accertata dai giudici di merito”. E si ricorda che nel giudizio di legittimità “non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante) su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che ‘attaccano’ la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015 Ud., dep. 31/03/2015, Rv. 262965)”.
Si ricorda poi che la ricorrente “lamenta carenze o contraddittorietà motivazionali insussistenti o, comunque, irrilevanti - sul mancato reperimento da parte della Asl di lamentele sulle condizioni del magazzino, lamentele che la Corte ha desunto dalle prove testimoniali e che ben potevano essere state verbali e non scritte”.
Le conclusioni della Corte di Cassazione
Rimandiamo sempre alla lettura della sentenza, che si sofferma anche:
- sulla “valutazione di inattendibilità del teste B., che non è stata fondata solo su una sua eventuale ed imprecisa ragione di corresponsabilità, ma su una molteplicità di inesattezze o circostanze poco verosimili riferite dalla stessa”;
- “sulle consegne avvenute la data dell'infortunio (sui cui sembra addirittura dedotto un travisamento della prova, che, peraltro, risulterebbe inammissibile, trattandosi di doppia conforme, in assenza delle condizioni necessarie), le quali sono state ricostruite dalla Corte in base al complessivo quadro indiziario, fondato anche sulla coincidenza del giorno dell'Infortunio con il sabato, presumibilmente quello di maggiore vendita e, quindi, maggiori consegne;
- sulle condizioni del luogo dell'infortunio nella data del 18 settembre 2010, desunta dai giudici di merito in base al complessivo quadro indiziario emerso, che non viene aggredito dal ricorrente nella sua unitarietà, ma in modo frammentario ed incompleto”;
- sulle censure relative alla durata della malattia ed alla quantificazione del danno che “presuppongono una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dai giudici di merito, che hanno ritenuto condivisibili le valutazioni dell'Inail”;
- sul diniego delle attenuanti generiche.
In conclusione, la Corte di Cassazione “rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e ad rimborso delle spese di giudizio in favore della parte civile”.
Tiziano Menduto
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