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Quando non sono presenti idonei indumenti di protezione

Quando non sono presenti idonei indumenti di protezione
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Sentenze commentate

08/03/2019

Una sentenza della Corte di Cassazione si sofferma su un infortunio ad un lavoratore non regolare in relazione alla fiammata di una bomboletta di gas. Il datore di lavoro non ha fornito indumenti protettivi adatti.


Roma, 8 Mar – PuntoSicuro si è soffermata più volte in questi anni, anche attraverso la rubrica “ Imparare dagli errori”, dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, sulla necessità in molte situazioni lavorative, secondo quanto stabilito dalla valutazione dei rischi, dei dispositivi di protezione del corpo, degli indumenti di protezione che possono coprire o sostituire gli indumenti personali e hanno specifiche caratteristiche protettive.

 

E una recente sentenza della Cassazione Penale, la Sentenza n. 40936 del 24 settembre 2018, ci permette anche di fare chiarezza sulle responsabilità di un datore di lavoro venuto meno all'obbligo di garantire che un lavoratore operi in condizioni di sicurezza. Non assicurandosi, ad esempio, che sia “adeguatamente protetto dai rischi” cui è esposto fornendo “allo stesso quantomeno indumenti difficilmente infiammabili, idonei a proteggere le parti più esposte del corpo”.



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L’evento infortunistico e il ricorso

Nella pronuncia della Cassazione si indica che M.T.S. ricorre contro la sentenza emessa dalla Corte di appello di Genova il 26 settembre 2017 che aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale “lo ha dichiarato responsabile dei reati di cui agli artt. 590, commi 1, 2, 3 e 583, comma 1, n. 1 cod. pen., in relazione all'art. 18, lett. d), d. Lgs. n. 81/2008, per avere, nella qualità di titolare” della ditta XXX, “cagionato a R.G.B., lavoratore non regolarizzato, lesioni personali gravi consistite in ustioni di secondo e terzo grado agli arti inferiori”.

In particolare “per colpa consistita in imprudenza, negligenza, imperizia, inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e, in particolare, per non aver fornito al R.G.B. alcun dispositivo di protezione individuale di sicurezza cosicché questi, intento a svolgere lavori di ristrutturazione presso il cantiere della ditta, veniva attinto agli arti inferiori da una fiammata fuoriuscita da una bomboletta di gas che stava utilizzando il proprio collega di lavoro, DC.A.. Fatto aggravato dall'aver provocato una malattia di durata superiore a 40 giorni e perché commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro”.

Il ricorrente era stato poi ritenuto responsabile anche del delitto di cui all'art. 612 (minacce), commi 1 e 2, cod. pen., con riferimento all’invio di un sms sul telefono cellulare della persona offesa.

 

I fattipossono essere così riassunti:

  • il R.G.B., muratore, era stato incaricato dalla ditta dell'imputato di coadiuvare il lavoro dell'idraulico DC.A. che doveva sostituire un tubo situato in un'intercapedine. Al R.G.B. spettava togliere una piastrella al fine di consentire al collega di accedere al pozzetto ove si trovava il tubo da sostituire;
  • mentre l'idraulico operava, il R.G.B. gli passava gli attrezzi tenendosi pronto a cementare nuovamente la piastrella, una volta terminata la saldatura del tubo;
  • durante il taglio di una delle bombolette del gas usate per la saldatura, il DC.A. aveva appoggiato il cannello con la fiamma sopra una di queste bombolette esauste dalla quale usciva un residuo di gas che innescava l'incendio;
  • il R.G.B. (con indosso solo dei pantaloncini corti) veniva attinto dalle fiamme, cercando poi di lenire il dolore cospargendosi di olio di oliva presente nell'appartamento”.

 

I motivi di ricorso indicano vizio di motivazione in ordine:

  • alla richiesta di rinnovazione dibattimentale;
  • alla mancata considerazione dell' eccezionalità ed abnormità delle condotte dei due lavoratori che esclude in radice la responsabilità del datore di lavoro”;
  • alla responsabilità per il reato di cui all'art. 612 cod. pen. niente affatto provata in termini di certezza;
  • alla richiesta di contenimento della pena negli stretti minimi edittali con riguardo ad entrambi i capi di imputazione”.

 

Le indicazioni della Corte di Cassazione

In merito alla “doglianza” relativa alla mancata rinnovazione istruttoria richiesta (con riferimento a quanto indicato nell’art. 603 del cod.pen.) la Corte Suprema ricorda “che nel giudizio di appello, la rinnovazione dell'Istruttoria dibattimentale è istituto di carattere eccezionale, in relazione al quale vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice”. In particolare il Codice Penale “non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti”.

 

Rimandando ad una lettura integrale della sentenza per i dettagli sul tema della “rinnovazione dell'istruzione dibattimentale”, veniamo al secondo motivo di ricorso.

 

Si ricorda che la Corte genovese ha rigettato il motivo con cui si prospettava “un comportamento eccezionale ed abnorme del lavoratore, prospettato quale unica causa dell'evento”.

E – continua la Cassazione – la motivazione della impugnata sentenza “appare congrua, completa e logica laddove, tra le altre cose, evidenzia che il ricorrente è stato ritenuto responsabile in forza di un generale profilo di colpa, essendosi ravvisate, nella sua condotta, imprudenza, negligenza e imperizia, oltre che l'inosservanza dell'art. 18, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 81/2008, in quanto, quale datore di lavoro, era venuto meno all'obbligo (su di lui incombente) di garantire che il lavoratore operasse in condizioni di sicurezza, non assicurandosi, in primo luogo che il R.G.B. fosse adeguatamente protetto dai rischi cui era inevitabilmente esposto con quel tipo di lavorazione, in particolare fornendo allo stesso quantomeno indumenti difficilmente infiammabili, idonei a proteggere le parti più esposte del corpo, né dando specifiche prescrizioni per garantire che la persona offesa evitasse il rischio di ustioni ed in ogni caso non fornendo apposite prescrizioni all'idraulico circa la cautela da utilizzare con le bombolette esauste, nell'uso di fiamma libera”.

 

Le conclusioni della Corte di Cassazione

Rimandiamo, anche in questo caso, alla lettura della sentenza in ordine all’inammissibilità dei motivi di ricorso relativi al reato di cui all'art. 612 cod. pen. e in relazione al tema del trattamento sanzionatorio e del “contenimento della pena nei minimi edittali” (la pena edittale è la pena prevista dalla legge per un determinato reato).

 

In conclusione – indica la Cassazione – “il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende”.

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:

Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza 24 settembre 2018, n. 40936 - Infortunio ad un lavoratore non regolare attinto da una fiammata di una bomboletta di gas. Indumenti non adatti.



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