Quando non si controllano idoneità e capacità del subappaltatore
Roma, 15 Mag – In tema di sicurezza sul lavoro e di appalti, il committente può avere delle responsabilità per un infortunio “nel caso di omesso controllo dell'adozione da parte del sub-appaltatore delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e, comunque, quando si manifesti una situazione di pericolo immediatamente percepibile che non sia meramente occasionale”.
Ad affermarlo e a fornire nuove informazioni sulle responsabilità e la posizione di garanzia dei committenti nei contratti di appalto è una recente sentenza della Corte di Cassazione.
Nella sentenza n. 22013 del 18 maggio 2018 viene affrontato il tema della responsabilità dell'amministratore delegato di un’impresa appaltatrice laddove manchi un controllo sull'adozione, da parte di chi subappalta, delle idonee misure di prevenzione richieste dalla normativa.
La responsabilità del datore di lavoro
Le conclusioni della Cassazione
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L’evento infortunistico
La Cassazione indica che con sentenza emessa in data 12 gennaio 2017 “la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia con la quale il Tribunale di Firenze - sezione distaccata di Empoli - dichiarava, tra l'altro, F.T. responsabile del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. proc. pen.”.
In particolare all'imputato veniva contestato, nella qualità di amministratore delegato della società XXX s.r.l. nonché di responsabile di cantiere in relazione ad un lavoro da eseguirsi in un comune della provincia fiorentina, “di avere affidato parte di tali lavori in subappalto alla ditta G.G. senza previamente verificare che tale ditta avesse le necessarie capacità tecniche e di sicurezza sul lavoro, come prescritto dall'art. 36 lett.a) del d.lgs. n. 81/ 2008, tollerando che, nell'ambito del cantiere, i dipendenti della ditta G.G. eseguissero operazioni gravemente imprudenti ed imperite (art. 26, comma 2, e art. 97 d.lgs. n. 81/08)”.
Con tale condotta si cagionavano lesioni personali a Y.P. “che, nell'eseguire la posa in opera della pavimentazione di un edificio, tagliava a mano delle mattonelle” con una mola abrasiva “movimentandola con la mano destra dall'impugnatura laterale e tenendo, con l'altra mano, la mattonella da tagliare”.
Infine la società XXX s.r.l. veniva chiamata a rispondere “dell' illecito amministrativo di cui agli artt. 5 e 25 septies d.lgs. n. 231 del 2001 perché F.T. commetteva il reato sopra indicato, in assenza di moduli organizzativi tali da assicurare un controllo sulle modalità di scelta dei subappaltatori e di verifica della sicurezza nei cantieri, nell'interesse esclusivo della società, tenuto conto dei risparmi di spesa derivanti dall'utilizzo di ditte economiche non operanti in regime di sicurezza”.
Il ricorso per cassazione
F.T. proponeva poi ricorso per cassazione con i seguenti motivi:
- con il primo motivo “deduce l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza in relazione al verbale di s.i.t.” (verbale relativo alle sommarie informazioni testimoniali - s.i.t.) di Y.P. “acquisito in violazione dell'art. 512 cod. proc. pen., non ricorrendo l'ipotesi della irreperibilità della predetta persona offesa”. Inoltre “evidenzia che dagli accertamenti svolti dai Carabinieri risultava che il Y.P. si trovava a Monaco di Baviera per lavoro, come riferito dalla moglie cui non veniva chiesto alcunché in ordine all'indirizzo del marito e al suo numero telefonico”;
- con il secondo motivo “deduce l'inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza in violazione dell'art. 526, comma 1 bis, cod. proc. pen.”;
- con il terzo motivo “deduce l'inosservanza degli artt. 26 e 36 del d.lgs. n. 81/2008”. Inoltre si sottolinea che la società XXX s.r.l., quale appaltatrice, “aveva la sola funzione di coordinatrice dei sub-appaltatori ovvero di coordinare il lavoro proprio e quello della ditta G.G., unica subappaltatrice al momento degli accadimenti esistente sul cantiere”. In particolare si sostiene che è stato “erroneamente applicato l'art. 26 del d.lgs. n. 81/08 che stabilisce la responsabilità dell'appaltatore solo per gli infortuni connessi al mancato coordinamento delle imprese e dell'art. 36 del medesimo d.lgs. che stabilisce che il responsabile della mancata eventuale informazione/formazione è solo il diretto datore di lavoro;
- con il quarto motivo si deduce “il difetto di motivazione per travisamento della prova (verbale di s.i.t. del Y.P. e dichiarazioni testimoniali) da cui risulta che la sega a banco era a disposizione dei lavoratori della ditta G.G. e che gli stessi potevano usare entrambi gli strumenti e, dunque, non vi era una situazione di pericolo immediatamente percepibile”.
La responsabilità del datore di lavoro
Non ci soffermiamo su quanto indicato dalla Cassazione riguardo al tema della irreperibilità della persona offesa, infatti “risulta legittima la decisione del giudice di primo grado di procedere alla lettura delle dichiarazioni del Y.P. contenute nel verbale di s.i.t redatto nel corso delle indagini preliminari in quanto il giudice aveva svolto ogni possibile accertamento sulla causa dell'irreperibilità, risultando esclusa la riconducibilità dell'omessa presentazione del testimone al dibattimento ad una libera scelta dello stesso (Sez. 5, n. 13522 del 18/01/2017, Rv. 269397)”. E in relazione al primo e secondo motivo la Cassazione conferma che la ricostruzione dell'incidente “risulta ben delineata dalle altre risultanze probatorie, a prescindere da quanto riferito nel verbale di s.i.t. dal Y.P.”.
Veniamo agli ultimi due motivi di ricorso.
La Cassazione indica che dalla ricostruzione operata dai giudici di merito emerge quanto segue:
- “L'attività edilizia che era in corso nel cantiere ove si è verificato l'infortunio, consistente nella realizzazione di più edifici destinati ad agriturismo”, era stata appaltata alla società XXX s.r.l. che, “una volta completata l'attività costruttiva, aveva subappaltato le rifiniture ad altre ditte, tra cui quella di cui è titolare G.G.”;
- “L'incidente si era verificato verso le ore 10.00 del 14 febbraio 2011 mentre il Y.P., operaio dipendente della impresa di cui era titolare il G.G., procedeva ad eseguire la posa in opera delle piastrelle di un porticato esterno al piano terreno dell'edificio in costruzione. Per tagliare a misura le piastrelle egli stava utilizzando una mola elettrica manuale nella quale aveva inserito il blocco dell'accelerazione, tale da poter far ruotare il disco anche tenendo la macchina con la sola impugnatura laterale, invece che con entrambe le mani. Nel compiere tale operazione al Y.P. sfuggiva la mola che andava a colpire due dita della mano sinistra, procurandosi lesioni guarite in circa quattro mesi (sub - amputazione parziale di un dito e frattura con ferita da taglio di un altro)”;
- “Risulta comprovato che lo strumento utilizzato non era idoneo per quella operazione, in quanto privo del dispositivo di sicurezza previsto nel relativo manuale d'uso nel quale era previsto espressamente di ‘assicurare il pezzo in lavorazione: un pezzo in lavorazione può essere bloccato con sicurezza in posizione solo utilizzando un apposito dispositivo di serraggio, oppure una morsa a vite e non tenendolo semplicemente in mano’”.
I giudici di merito pervenivano, dunque, ad affermare la “responsabilità del datore di lavoro G.G. per avere fornito un attrezzo privo del doveroso accessorio che ne doveva eliminare la pericolosità, oltre che di una adeguata informazione e formazione del lavoratore”. Né si ravvisa “il dedotto travisamento della prova che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ricorre solo qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale; oppure se sia omessa la valutazione di una prova ai fini della pronuncia (ex plurimis Sez.6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 258774). Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve avere inoltre carattere di decisività”. E partendo dalla concreta dinamica dei fatti, “il Tribunale di Firenze - sezione distaccata di Empoli - aveva correttamente ritenuto ininfluente accertare se fosse presente o meno sul cantiere la sega circolare a banco che poteva, in ipotesi, essere usata in alternativa per lo svolgimento di tale lavorazione”.
Le conclusioni della Cassazione
In definitiva il giudizio di responsabilità del F.T. – nella qualità di amministratore delegato della XXX s.r.l., impresa appaltatrice dell'intera costruzione degli edifici e anche formale responsabile del cantiere, per i fatti di cui al capo di imputazione – “risulta pronunciato in aderenza ai principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità ed è congruamente e logicamente motivato (Sez. 4, n. 23171 del 09/02/2016, Rv. 266963, Sez. 4, n. 44131 del 15/07/2015, Rv. 264974)”.
E si sottolinea, infine, che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, “il committente è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio nel caso di omesso controllo dell'adozione da parte del sub-appaltatore delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e, comunque, quando si manifesti una situazione di pericolo immediatamente percepibile che non sia meramente occasionale; circostanza ricorrente nel caso in esame dove i lavori appaltati alla ditta G.G. si svolgevano da diversi giorni e risultavano ormai in fase di ultimazione”.
In conclusione la Corte di Cassazione “rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”.
Tiziano Menduto
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