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Le responsabilità del preposto privo della formazione sulla sicurezza
Prima di esaminare nello specifico quali responsabilità possano essere attribuite ad un preposto che abbia causato un infortunio senza avere, a monte, ricevuto la formazione necessaria in materia di salute e sicurezza, occorre premettere che l’esigenza che i preposti siano formati sulla sicurezza supera qualsiasi formalismo.
Con Cassazione Penale, Sez.III, 12 maggio 2022 n.18839, che ha confermato la condanna di un datore di lavoro per aver omesso di “sottoporre i dipendenti ad una formazione adeguata e specifica in materia di salute e di sicurezza”, la Corte ha infatti chiarito, con specifico riferimento alle figure dei preposti, che “la mancanza di nomina formale […] non è rilevante sulla formazione, in quanto quello che rileva è la ratio della norma che mira ad evitare la mancanza di formazione specifica per chi comunque esercita la funzione di preposto; le norme sono dirette a prevenire pericoli nell’espletamento delle mansioni, comunque svolte.”
La priorità dell’esigenza di tutela rispetto alle rigidità formalistiche è evidente, a fronte del fatto che “le norme sulla formazione e informazione dei lavoratori si applicano anche nell’ipotesi di assenza di un formale contratto di assunzione: “In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le norme, di cui al d.lgs.9 aprile 2008, n.81, che presuppongono necessariamente l’esistenza di un rapporto di lavoro, come quelle concernenti l’informazione e la formazione dei lavoratori, si applicano anche in caso di insussistenza di un formale contratto di assunzione.”
Tutto ciò vale, del resto, anche (e anzitutto) con riferimento alla formazione dei lavoratori, come evidenziato dalla Suprema Corte in un caso in cui era occorso un infortunio ad un lavoratore che aveva “dichiarato di essere da tempo alle dipendenze dell’impresa N.R. s.r.l., ma che solo il giorno dell’infortunio la sua lavorativa era stata regolarizzata”.
In quel caso, a fronte della “regola cautelare violata” dal datore di lavoro, la quale era “inerente alla formazione dei lavoratori al corretto uso dei macchinari”, la Suprema Corte aveva sottolineato “l’irrilevanza di un formale contratto di lavoro” ai fini dell’affermazione della responsabilità del datore di lavoro stesso per omessa formazione ( Cassazione Penale, Sez.IV, 28 ottobre 2021 n.38623).
Questa premessa è fondamentale affinché, nel ragionamento che segue, si possa partire da un presupposto imprescindibile: l’obbligo giuridico del datore di lavoro di formare i preposti - così come tutti i lavoratori - in materia di salute e sicurezza, quale obbligo di ampia portata e finalizzato alla realizzazione di prioritarie esigenze di tutela, è inderogabile e ineludibile.
A partire da tale punto di partenza, tuttavia, ciò che qui preme esaminare (come sempre senza la pretesa di essere esaustivi sull’argomento) è se vi siano dei casi in cui il preposto non formato, ferma l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per l’omessa formazione rivolta a tale soggetto, sia stato ritenuto responsabile per aver causato un infortunio e, in tale ipotesi, a fronte di quali circostanze.
Come vedremo nelle sentenze che seguono, infatti, in giurisprudenza sono presenti sia casi in cui la responsabilità per l’infortunio causato dal preposto privo della necessaria formazione è stata attribuita al solo datore di lavoro, sia casi nei quali il fatto che il preposto non avesse ricevuto la necessaria formazione non è stato considerato un elemento tale da escludere la sua responsabilità penale.
Con riferimento alla prima ipotesi, ad esempio, l’anno scorso la Suprema Corte (con Cassazione Penale, Sez. Feriale, 23 agosto 2024 n.33094) ha confermato la condanna di A., quale amministratore unico - e quindi datore di lavoro - di un’impresa di costruzioni per il reato di lesioni colpose in danno del dipendente C.
In particolare, si era verificato che “C., operaio assunto alle dipendenze della B. costruzioni Srl con la qualifica di muratore, si trovava in un cantiere, all’ottavo piano del ponteggio” e “con un argano stava sollevando una carriola contenente due sacchi di cemento”.
Tale argano “era stato agganciato a un tubo di supporto collocato al decimo e ultimo piano del ponteggio e ad un certo punto, durante la salita del carico, si era staccato da detto tubo e, piegandosi verso il basso, aveva colpito al volto violentemente C.”, il quale aveva riportato gravi lesioni “per le quali era stato giudicato in un primo momento in prognosi riservata e che avevano comportato l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni.”
Dagli accertamenti era emerso che “il distacco dell’argano era stato causato dal suo montaggio errato e difforme da quanto indicato nel manuale di istruzione, effettuato nella stessa mattina dell’incidente da D., fratello dell’imputato e anch’egli lavoratore dipendente della B. costruzioni Srl con la qualifica di operaio di terzo livello e mansioni di caposquadra e preposto”.
Secondo la Cassazione, i motivi di ricorso del datore di lavoro A., “con cui si censura l’affermazione della responsabilità dell’imputato, in luogo di quella del preposto che aveva effettuato il montaggio dell’argano in maniera scorretta e non conforme alle regole indicate nel manuale di istruzioni, sono manifestamente infondati.”
Pur non essendo in discussione “il fatto che il montaggio dell’argano fosse stato effettuato da D., fratello del ricorrente, in maniera errata”, infatti, “i giudici di merito, in ordine al mantenimento della posizione di garanzia in capo al datore di lavoro, hanno rilevato che:
- il macchinario doveva essere predisposto da personale specializzato, mentre D. era un semplice “capo squadra (muratore)” con un titolo di istruzione di “licenza elementare”;
- non era stata impartita adeguata formazione sul montaggio del macchinario […], non potendosi a tale fine ritenere sufficiente la mera presenza in cantiere del manuale di istruzione;
- il datore di lavoro, che riuniva in sé anche le mansioni di direttore tecnico, era dotato di competenze tecniche qualificate.”
A questo punto la Cassazione ha ricordato il fondamentale principio secondo cui “il datore di lavoro è tenuto ad investire della qualifica di preposto un soggetto idoneo, sia dal punto di vista delle competenze tecniche che della formazione specifica”.
L’imputato A. è stato dunque ritenuto il soggetto responsabile dell’evento, in quanto “l’infortunio nel caso di specie si è verificato non già per omesso controllo da parte del preposto dell’osservanza da parte dei lavoratori, nello svolgimento dell’attività lavorativa, delle norme in materia di sicurezza, quanto per avere consentito il datore di lavoro che il montaggio dell’argano fosse effettuato da un soggetto che non aveva ricevuto adeguata formazione: il rischio concretizzatosi nell’infortunio, dunque, rientrava nel perimetro di quello gestito dal datore di lavoro, cui competeva, in ragione dei poteri connessi alla funzione, la vigilanza e ancora prima l’obbligo di assicurare una corretta formazione e conoscenza delle criticità del macchinario”.
In sostanza, quindi, l’infortunio verificatosi “era conseguente alla violazione di precisi obblighi gravanti non già sul preposto, bensì sul datore di lavoro, il quale è tenuto a garantire la sicurezza dei lavoratori anche attraverso la formazione adeguata nell’utilizzo e prima ancora nel montaggio delle attrezzature utilizzate.”
Va da sé che “l’evento, pertanto, si è sì verificato per una condotta imperita di altro soggetto, ma tale condotta è stata, a sua volta, determinata dal mancato assolvimento dal parte del datore di lavoro degli obblighi che la normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro pone a suo carico”.
In aggiunta a tutto ciò, la Cassazione ha precisato anche che il datore non può “affidarsi alla esperienza di fatto del soggetto che lui individua come preposto, dovendo prima di tutto assicurarsi che costui sia tecnicamente idoneo e abbia preso concreta e specifica conoscenza del macchinario da utilizzare o da far utilizzare ad altri.”
Un esito diverso ha avuto invece il caso trattato da Cassazione Penale, Sez.IV, 9 agosto 2022 n.30800, con cui, a differenza del caso appena preso in considerazione, la Corte ha confermato la condanna del preposto A., “ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose commesse con violazione delle norme antinfortunistiche in danno AK.A., dipendente della “C.G. e c. s.n.c.””, per “avere adibito il dipendente a mansioni diverse da quelle per le quali era stato assunto, senza fornirgli adeguate informazioni ed omettendo la dovuta vigilanza durante le fasi di lavorazione.”
Nel caso di specie, a causa dell’infortunio “il lavoratore subiva l’amputazione del braccio”.
Egli infatti, “impegnato nella lavorazione di un pezzo di legno presso la macchina scorniciatrice marca Weining, all’interno della quale operavano una serie di frese poste in parallelo, nel tentativo di rimuovere residui di legno che si erano incastrati al suo interno, rimaneva con il braccio impigliato nel macchinario.”
Risultava accertato che “il giorno dell’infortunio l’apparecchiatura era priva dei dispositivi di sicurezza previsti dal costruttore: il micro-interruttore non era in grado di funzionare, perché leggermente allentato dalla sua sede e lo sportello era sollevato.”
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione lamentando, tra i vari motivi di ricorso, il fatto che, a suo parere, “i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto di individuare in capo al ricorrente la qualifica di preposto. L’A., invero, non aveva ricevuto la prevista formazione aggiuntiva per ricoprire tale incarico, di conseguenza non avrebbe potuto rivestire una posizione di garanzia a tutela del lavoratore infortunatosi.”
Secondo il preposto A., dunque, “la Corte di merito sovrappone il lato formale dell’incarico ricevuto dall’A. di controllore della produzione con il dato sostanziale della specifica formazione che il preposto deve possedere perché possa assumere una posizione di garanzia rispetto alla sicurezza di altri lavoratori. I dirigenti e i preposti devono ricevere, a cura del datore di lavoro, una formazione adeguata e specifica e devono seguire corsi di aggiornamento periodici per rivestire tale incarico.”
La Corte ha rigettato l’argomentazione di A. ritenendola infondata.
Ciò, anzitutto, in quanto “l’imputato, in data 1/4/2011, aveva ricevuto una lettera dai responsabili della “C.G. e c. s.n.c.”, nella quale si specificavano le sue mansioni di “controllore di produzione, con il compito di supervisionare la produzione di tutto il reparto produttivo, coordinando le varie attività tra le maestranze e l’espletamento del lavoro altrui”.
Secondo la Corte, “egli pertanto rivestiva la qualifica formale di preposto ai sensi dell’art.19 comma 1, d.lvo n.81/2008, incaricato di sovrintendere e controllare i lavoratori in tema di sicurezza durante l’esecuzione della prestazione lavorativa”.
Dagli accertamenti condotti era infatti “emerso come il ricorrente oltre ad essere stato investito formalmente delle mansioni di preposto, di fatto decidesse quali lavori affidare ai dipendenti delle ditte appaltatrici.”
Secondo la ricostruzione operata dai Giudici, “fu proprio l’A., infatti, ad adibire AK.A. allo svolgimento di un’attività per la quale non era stato formato”, dal momento che, “in particolare, in data 1/12/2014 egli ordinò a AK.A. (in possesso di certificazione di idoneità professionale per lo svolgimento delle sole mansioni di facchinaggio) di attendere alla lavorazione del legno mediante utilizzo della scorniciatrice Weining, priva dell’interruttore di sicurezza.”
Di conseguenza, a parere della Cassazione, “è pertanto corretta la conclusione a cui pervengono i giudici, nelle due sentenze conformi, in ordine alla responsabilità dell’imputato.”
Infatti, “rivestendo l’A. presso la soc. C. la qualifica di preposto, formalmente e di fatto, egli era titolare di una posizione di garanzia a tutela dell’incolumità del lavoratore”, in virtù della quale “non solo non avrebbe dovuto adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle stabilite in contratto, ma avrebbe dovuto impedire che venisse utilizzato il macchinario con micro-interruttore di sicurezza non funzionante.”
Per quanto riguarda, poi, l’aspetto relativo alle responsabilità dell’imputato a fronte della mancata formazione ricevuta, secondo la Cassazione, “il fatto che A. non avesse seguito il corso di formazione e aggiornamento previsto ex lege non esclude la sua responsabilità: a prescindere dalla sua investitura formale, egli di fatto svolgeva le mansioni di preposto, dirigendo il personale; pertanto, il rilievo non può essere ragione di esonero da responsabilità”.
Infine, non si può non richiamare in questo contesto Cassazione Penale, Sez.IV, 25 maggio 2010 n.19618, con cui la Corte ha confermato la condanna di vari soggetti - tra cui un datore di lavoro e un caporeparto - per due infortuni (di cui uno mortale) occorsi “durante le operazioni di riposizionamento di una pesante pressa all’interno della “Br. s.r.l.”, con sede in…, esercente attività di stampaggio di materie plastiche, della quale il V. era il legale rappresentante, operazioni eseguite, con i propri dipendenti, R. e P., dalla “Trasporti Bo. s.a.s.”, esercente servizi di trasporto, della quale la B. era legale rappresentante, e con l’intervento del C., capo reparto della “Br.” e di altri dipendenti della stessa ditta, G.L.F., L.G. e C.P.”
In particolare, “nel corso di tali operazioni, dunque, si era verificato lo sbilanciamento ed il successivo ribaltamento della pressa che era andata ad investire il G. che, schiacciato dal macchinario, è deceduto all’istante, ed il L., che ha riportato gravi lesioni.”
Era stato accertato dai Giudici di merito che “le operazioni di riposizionamento della pressa, del peso di 5.300 chilogrammi, appena revisionata dalla ditta produttrice (la “En.” con sede in …) e restituita alla “Br.”, erano state da questa affidate alla “Bo. Trasporti” che, per assolvere all’incarico, aveva inviato i propri dipendenti, R. e P., che erano stati dotati di una gru montata su un autocarro, di tre carrelli o “carri armati” e di due martinetti idraulici, privi, tuttavia, di misuratore del livello di innalzamento.”
Focalizziamoci a questo punto sulle posizioni di garanzia del datore di lavoro committente V. e del preposto C.
A tale proposito, in primo grado dal Tribunale “sono stati individuati i seguenti profili di colpa:
1) per il V.,
a) l’avere autorizzato il dipendente, capo reparto C., coimputato, a convenire con il R. di effettuare l’operazione di riposizionamento della pressa utilizzando i carrelli ed i martinetti, cioè con modalità certamente più semplici e tuttavia molto pericolose;
b) non avere provveduto ad adeguata formazione professionale dei propri dipendenti in punto di spostamento delle presse, le cui modalità erano sconosciute allo stesso C., al punto che egli ignorava che l’inserimento dei piedini antivibranti poteva avvenire dall’alto, e dunque senza che fosse necessario sollevare la pressa”.
Per quanto riguarda il caporeparto C., nel suo caso i profili di colpa erano riconducibili alla cosiddetta “colpa generica”, ovvero, nello specifico, “l’imprudenza e l’imperizia che avevano caratterizzato le operazioni di innalzamento della pressa e di installazione dei piedini anti-vibrazione.”
Nel grado successivo di giudizio, poi, la Corte d’Appello ha rilevato, quale profilo di colpa addebitato al preposto C., “l’avere richiesto agli operai G., L. e C.P. di partecipare alle operazioni di riposizionamento della pressa, senza assumere le necessarie cautele a difesa dei suoi sottoposti.”
La Cassazione ha rigettato i ricorsi del datore di lavoro V. e del preposto C., confermandone le condanne.
Guardando in particolare, per quello che qui maggiormente ci interessa, alla posizione del preposto, la Cassazione ha ritenuto che, nonostante egli non avesse ricevuto una formazione sulle corrette modalità di riposizionamento di una pressa, “l’imputato aveva svolto un ruolo decisivo nella determinazione dell’evento anzitutto avendo, in quanto caporeparto e preposto ai lavori, dato ordine ai suoi operai, tra i quali le due sfortunate vittime, di prendere parte alle operazioni di trasporto e di riposizionamento della pressa, senza curarsi che le operazioni sopra indicate avvenissero seguendo le indicazioni contenute nel richiamato manuale e che le stesse fossero effettuate in assoluta sicurezza, principalmente proprio con riguardo ai suoi sottoposti, da lui chiamati a svolgere mansioni per le quali non erano preparati.”
Una condotta, questa, che - a parere della Corte - “già evidenzia evidenti e significativi profili di colpa e rende del tutto inutile individuare quale parte egli abbia preso, concretamente, nelle operazioni di risistemazione della pressa”, laddove “tuttavia, giustamente il giudice del gravame [la Corte d’Appello, n.d.r.] ha rilevato, richiamando le dichiarazioni rese dai testi L. e Cr., che l’imputato non si era limitato a dare disposizioni ai suoi sottoposti, ma si era anche personalmente ingerito nelle operazioni di trasporto e di riposizionamento della pressa, svolgendo le mansioni di coordinatore delle stesse.”
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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