La responsabilità per l’infortunio presso una macchina marcata CE
Riguarda l’infortunio di un lavoratore avvenuto presso una macchina che non presentava i necessari requisiti di sicurezza questa sentenza emanata dalla Corte di Cassazione chiamata a decidere sul ricorso presentato dal responsabile legale di un’azienda. Grava sul datore di lavoro o su chi da questi è stato dotato di una formale delega di funzioni, ha ricordato la suprema Corte in questa occasione quanto più volte già sostenuto in precedenti sue espressioni, l'obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quei macchinari che, per qualsiasi inidoneità originaria o sopravvenuta, siano pericolosi per l'incolumità del lavoratore che li manovra. Il datore di lavoro, infatti, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti senza che la presenza sullo stesso della marcatura di conformità "CE" o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità».
A questa regola può farsi eccezione, ha precisato inoltre la suprema Corte, nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile perché le speciali caratteristiche della macchina non consentono di apprezzarne la pericolosità con l'ordinaria diligenza, situazione questa che non si è comunque riscontrata nel caso in esame, atteso che la protezione del pericolo, pur presente, non è risultata idonea sicché lo stesso era evidentemente riconoscibile con l’ordinaria diligenza.
Un ulteriore principio che emerge dalla lettura di questa sentenza è quello secondo cui, nell'ambito di un'impresa organizzata in forma societaria destinatario della normativa antinfortunistica, qualora non siano individuabili soggetti diversi obbligati a garantire la sicurezza dei lavoratori, è il legale rappresentante per cui è a suo carico l'obbligo di attuare le norme in materia di prevenzione e vigilare sul rispetto delle stesse.
Il fatto e l’iter giudiziario.
La Corte di Appello ha riformato, quanto al trattamento sanzionatorio, la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti del legale rappresentante di una società ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 590, commi 1 e 3, cod. pen. in danno di un lavoratore dipendente della società stessa. La Corte ha valutato che, nel caso concreto, la pena detentiva, inflitta dal giudice di primo grado nella misura di venti giorni di reclusione, potesse essere sostituita con la pena pecuniaria corrispondente che è stata determinata nella misura di 5.000 euro di multa (250 euro per ogni giorno di pena detentiva). La sentenza di primo grado è stata quindi riformata per questa parte e confermata nel resto mentre è stata respinta la richiesta di concessione del beneficio della non menzione della condanna ex art. 175 cod. pen.
Il procedimento aveva avuto come oggetto un infortunio sul lavoro verificatosi nello stabilimento che costituiva l’unità produttiva della società che operava nella produzione di tubetti in alluminio, laminato e plastica. Secondo la ricostruzione fornita dai giudici di merito, il lavoratore, operaio litografo, stava pulendo i rulli della macchina litografica alla quale era addetto avvalendosi di uno straccio. La pulizia doveva avvenire con i rulli in movimento e, per questo, all'imbocco c'era una protezione, che non raggiungeva però la parte terminale dei rulli. A causa di ciò, la mano destra del lavoratore era stata trascinata e aveva subito un «trauma da schiacciamento, con amputazione dell'apice del V dito» dal quale era derivata una malattia di durata superiore ai quaranta giorni. Il legale rappresentante della società era stato accusato di aver provocato l'infortunio per colpa specifica, consistita nella violazione dell'art. 71 del D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, e, in particolare, per aver messo a disposizione dei lavoratori una attrezzatura non conforme ai requisiti generali di sicurezza.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni.
L'imputato ha proposto tempestivo ricorso contro la sentenza della Corte di Appello articolandolo su alcuni motivi. Con un primo motivo il ricorrente ha lamentata una violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della colpa. Lo stesso ha osservato che i giudici di merito avevano ritenuta la sua responsabilità perché i rulli del macchinario utilizzato dal lavoratore non erano interamente coperti, che quel macchinario era in uso da anni e che mai si erano verificati infortuni con modalità simili. Secondo lo stesso ricorrente, inoltre, per poter affermare la sua responsabilità come datore di lavoro sarebbe stato necessario indagare in ordine alla conoscibilità da parte sua dell'ipotizzata inadeguatezza della protezione, oltre che sulla concreta prevedibilità dell'evento e sulla possibilità di intervenire per prevenirlo ed evitarlo.
Il ricorrente ha inoltre sostenuto che, così come riconosciuto anche dalla Corte di Appello, i dipendenti, secondo una regolare procedura, non avrebbero dovuto avvicinare le mani ai rulli in movimento. L'uso delle macchine litografiche, infatti, era disciplinato da una apposita procedura, in forza della quale i calamai e le stazioni di inchiostratura dovevano essere puliti «a macchina ferma» senza «avvicinare mai le mani nella zona in movimento. Lo stesso ha quindi sostenuto di avere pienamente assolto ai propri doveri di prevenzione e protezione e di non essere a conoscenza di prassi aziendali difformi rispetto a quelle stabilite, conoscenza imprescindibile per l'affermazione della sua responsabilità a titolo di colpa. Il ricorrente inoltre, come altra motivazione, si è lamentato per la mancata concessione del beneficio della non menzione e per il criterio utilizzato per la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria in quanto lo stesso era stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
I primi due motivi di ricorso sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione che ha accolto invece quello relativo alla rideterminazione della pena pecuniaria sostitutiva. I giudici di merito, ha sottolineato la suprema Corte, avevano ritenuto sussistente una colpa specifica per violazione dell'art. 71 del D. Lgs. n. 81/2008, in base al quale il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature idonee ai fini della salute e sicurezza, adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi. I requisiti di sicurezza delle attrezzature di lavoro, ha aggiunto, sono indicati dal precedente art. 70 che rinvia all'allegato V e l'allegato VI dello stesso decreto detta le disposizioni relative all'uso delle attrezzature di lavoro.
La suprema Corte ha inoltre osservato che, come risulta dal documento di valutazione dei rischi predisposto dalla società, le macchine presenti nel reparto litografia erano «di vecchia concezione» e, pertanto, vi erano state «applicate delle protezioni, sia contro il rumore, sia per evitare il contatto con parti in moto». La macchina che il lavoratore stava pulendo al momento dell'infortunio «era dotata, come da fabbrica, di una barretta metallica» idonea ad impedire il trascinamento della mano. Tale barretta però, secondo i giudici di merito, che sul punto avevano richiamano le dichiarazioni rese dai tecnici della prevenzione intervenuti sul posto, non copriva la parte terminale dei rulli e non era dunque idonea a fini di prevenzione. Secondo la sentenza di primo grado, inoltre, per il lavaggio dei rulli si utilizzavano stracci imbevuti di solvente e i rulli stessi venivano fatti ruotare a velocità ridotta e non potevano essere fatti ruotare in direzioni opposte così da impedire l'effetto di trascinamento. Proprio per questo, all'imbocco dei rulli era stata posta la barretta protettiva che era stata poi sostituita, dopo l'infortunio, da una protezione più larga che, pur rendendo più difficoltosa la pulizia, proteggeva interamente l'imbocco.
Secondo quando sostenuto dal ricorrente la prassi di procedere alla pulizia dei rulli tenendo la macchina in moto era contraria alle indicazioni contenute nel documento di valutazione del rischio per cui il lavoratore al momento dell’accaduto avrebbe tenuto un comportamento abnorme e non prevedibile da parte sua. La suprema Corte ha ritenuto però tale argomento privo di pregio, non soltanto perché in caso di assenza delle cautele volte a governare anche il rischio di imprudente esecuzione dei compiti assegnati ai lavoratori, l'imprudenza di costoro non configura un rischio «eccentrico», idoneo ad escludere il nesso di causa tra la condotta o l'omissione del datore di lavoro e l'infortunio ma soprattutto perché il divieto di avvicinarsi con le mani agli organi in movimento inserito nel documento di valutazione del rischio riguardava evidentemente la fase della lavorazione e non quella della pulizia dei rulli. In questa fase, infatti, come emerge dalla procedura operativa prodotta dalla difesa, si doveva necessariamente operare tenendo i rulli in movimento e, proprio per questo, la macchina era stata dotata di una protezione all'imbocco degli stessi. Quindi la «prassi comune» (come definita dalla sentenza impugnata) di pulire i rulli in movimento utilizzando uno straccio e avvicinando ad essi le mani non era affatto abnorme ed era tutt'altro che imprevedibile e inevitabile; la stessa era anzi prevista, e lo era con tale chiarezza che, per questo, la macchina era dotata di una protezione all'imbocco dei rulli.
Ai sensi degli artt. 17 e 28 del D. Lgs. n. 81/2008, ha precisato la suprema Corte, l'obbligo di valutazione dei rischi che incombe sul datore di lavoro prevede anche la scelta delle attrezzature da lavoro. Grava quindi su di lui (come grava, in presenza di deleghe, su ogni gestore del rischio), l'obbligo di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l'utilizzazione di quelli che, per qualsiasi causa, inidoneità originaria o sopravvenuta, siano pericolosi per l'incolumità del lavoratore che li manovra. In attuazione di questi principi si è ritenuto che “il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell'ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell'infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità ‘CE’ o l'affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità”. A questa regola può farsi eccezione nella sola ipotesi in cui l'accertamento di un elemento di pericolo sia reso impossibile perché le speciali caratteristiche della macchina non consentono di apprezzarne la pericolosità con l'ordinaria diligenza. Tale situazione, comunque, non si è verificata nel caso di specie atteso che, come emerge dalle sentenze di merito, la protezione non ricopriva la zona di imbocco per tutta la sua estensione, sicché il pericolo era evidentemente riconoscibile. Il ricorrente aveva osservato che la macchina era stata utilizzata per oltre vent'anni senza che nessuno si facesse male, ma questo dato non ha comunque consentito di ritenere che il difetto di protezione fosse occulto e non accertabile con l'ordinaria diligenza.
Per quanto riguarda infine il comportamento dell'infortunato ritenuto abnorme dal ricorrente lo stesso, secondo la suprema Corte, non aveva determinato un rischio eccentrico rispetto a quello prevedibile in quanto l'evento lesivo si era verificato perché quel rischio non era stato prevenuto in maniera adeguata. La pulizia dei rulli, infatti, richiedeva che gli stessi fossero in movimento e, nella macchina che il lavoratore stava pulendo, tale movimento era convergente e idoneo, quindi, a determinare l'afferramento e il trascinamento delle mani dell'operatore. Ciò imponeva che la zona di imbocco fosse protetta per tutta la sua estensione e il rispetto di tale doverosa regola cautelare avrebbe senza dubbio impedito l'evento. L'evento verificatosi, in conclusione, era stato quello che la norma di prevenzione violata mirava ad evitare.
Quanto alla prevedibilità ed evitabilità soggettive dell'evento dannoso la suprema Corte ha rilevato che, in assenza di deleghe, l'obbligo di attuare le norme in materia di prevenzione e vigilare sul rispetto delle stesse, grava sul datore di lavoro e, come la sentenza impugnata ha ricordato, nell'ambito di un'impresa organizzata in forma societaria, qualora non siano individuabili soggetti diversi obbligati a garantire la sicurezza dei lavoratori, destinatario della normativa antinfortunistica è il legale rappresentante.
In merito, poi alle altre motivazioni di ricorso, la Sez. IV ha ritenuta infondata quella legata alla mancata concessione della non menzione della condanna in quanto tale beneficio tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato e la sua concessione è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito. Nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto di dover negare il beneficio in ragione dell'entità del danno e della gravità del fatto di reato. Fondato ha ritenuto la Corte suprema invece il motivo legato alla sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria che ha pertanto rideterminata nella misura di 1.500 euro di multa annullando quella già indicata nella sentenza impugnata.
Gerardo Porreca
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