La Cassazione penale sul CSP
La Cassazione Penale, Sez. 4, con la sentenza del 6 giugno 2023, n. 24165 si è espressa riguardo le responsabilità di un CSP nella genesi di un infortunio mortale occorso nel 2015 ad un lavoratore intento a fornire assistenza a terra nel trasporto con un sollevatore telescopico di due lastre prefabbricate in latero cemento.
Il sollevatore telescopico era condotto da un operatore, risultato poi privo della formazione e addestramento all’uso dello stesso; durante il trasporto, anche a causa delle condizioni del terreno (strada scivolosa e in discesa), dell'erroneo posizionamento del carico e dell'imperizia del conduttore, quest’ultimo perdeva il controllo del mezzo che ribaltandosi, schiacciava con una delle lastre il lavoratore che si trovava, su disposizione dello stesso datore di lavoro, accanto al mezzo per accompagnare il carico lungo la discesa, onde impedire l’innescarsi di pericolosi basculamenti del medesimo.
In primo grado di giudizio, il CSP era stato assolto.
In riforma della sentenza assolutoria di primo grado, la Corte di appello di Torino, con sentenza del 22.2.2022, ribaltava le decisioni del Giudice di prime cure e dichiarava il CSP, responsabile in concorso del reato di omicidio colposo del lavoratore.
La Corte territoriale, in accoglimento dell’appello proposto dal PM aveva ravvisato anche la responsabilità del CSP per l’evento mortale occorso, avendo ritenuto inadeguato il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) da questi redatto.
Secondo i giudici di appello:
<<il PSC non prescriveva le modalità lavorative da seguire per trasportare (qualunque) materiale dal piano stradale allo scavo. Inoltre, il CSP, essendo a conoscenza dell’utilizzo del sollevatore telescopico, presente in cantiere, avrebbe dovuto rendersi conto dell’inadeguatezza del PSC da lui redatto, in quanto esso consentiva al manovratore del mezzo di trasporto di avvalersi dell’ausilio di un “aiutante”, mentre il suo impiego imponeva l’assoluta assenza di persone nel raggio d’azione del braccio telescopico>>.
Sempre secondo la Corte d’appello:
<<il ricorrente aveva erroneamente stimato il rischio di interferenza correlato alla fase lavorativa del trasporto di materiale dal piano stradale allo sbancamento>>.
Pertanto, appariva chiaro che i giudici della Corte d’appello avessero addebitato al CSP la genericità delle indicazioni contenute nel PSC, riguardo la possibilità, per il trasportatore del materiale, di avvalersi di un non meglio indicato “aiutante”, in tal modo generando il relativo rischio interferenziale <<in quanto ha legittimato la presenza di un soggetto nell’area di manovra del mezzo di trasporto senza avere preventivamente valutato se per l’utilizzo di tale mezzo di trasporto fosse consentito la presenza di soggetti nell’area di manovra dello stesso così rendendo possibile la manovra imprudente, negligente ed imperita posta in essere dal conduttore del mezzo>>.
Vista la genesi dell’evento e le motivazioni della Corte d’appello, appariva evidente che il CSP non solo andava assolto come deciso dal Giudice di prima cura ma, addirittura non andava, viste le funzioni ricoperte, neanche coinvolto nel procedimento penale.
Diciamo, quindi, che la A. G. avrebbe potuto tranquillamente evitare di “pescare a strascico” anche se è noto che, in Piemonte, pur non avendo il mare, è da diversi decenni che la pesca a strascico è divenuta molto frequente quando si parla di CSP e CSE.
Comunque, i difensori del CSP avevano proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza che denotava, nel caso di specie, che chi doveva emettere un giudizio in appello non aveva ben chiaro quale fosse il perimetro degli obblighi e delle conseguenti responsabilità del CSP (su questo lo scrivente aveva dedicato un articolo su Puntosicuro del 13/12/2016 “ Cantieri edili o d’ingegneria civile: rischi interferenziali e non”).
Questo perché appare evidente che non era stato certo il CSP a scegliere il mezzo e definire le modalità di trasporto di un carico essendo queste prerogative esclusive del datore di lavoro dell’impresa esecutrice. Inoltre, va ricordato che, durante lo spostamento dei carichi con mezzi di sollevamento, è anche buona prassi, in caso di problemi di visibilità o altro, richiedere l’ausilio di un operatore a piedi ma in posizione sempre visibile da parte del conduttore del mezzo e sempre a distanza dal carico e dal mezzo. Inoltre, sarebbe bastato leggere quanto previsto ai punti 2.2.3 e 2.3.1 dell’allegato XV al D. Lgs. n. 81/2008 per rendersi conto che il CSP non si occupa dei rischi specifici propri dell’impresa esecutrice (p. 2.2.3) e che le interferenze che devono essere oggetto di analisi da parte del CSP sono quelle tra lavorazioni, anche se svolte dalla stessa impresa (p. 2.3.1) e non all’interno della stessa lavorazione come tra il sollevatore telescopico e l’operatore di supporto a terra.
Andando ad esaminare le motivazioni del ricorso in Cassazione presentate dai difensori del CSP e limitandosi alla disamina delle più significative tra esse, questi evidenziavano:
- mancanza di motivazione riguardo al rischio interferenziale;
- difetto di motivazione e travisamento della prova, con riferimento ad una serie di profili addebitati all’imputato in relazione alle valutazioni contenute nel PSC;
- violazione dell’art. 521 c.p.p. (Correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza);
- violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra la condotta del CSP e l’evento.
Riguardo il primo motivo di ricorso, i difensori evidenziavano che la sentenza impugnata faceva spesso riferimento al cosiddetto “rischio interferenziale” cui il CSP non avrebbe prestato la dovuta attenzione in sede di redazione del PSC ma questa <<nulla dice per dare dimostrazione che il sinistro sia effettivamente scaturito da un rischio siffatto, che ricorre in caso di compresenza di più imprese nel cantiere>>.
La Corte di merito, al riguardo, non aveva considerato che la lavorazione di posa e trasporto delle lastre era di esclusiva competenza della impresa esecutrice, tanto che tutti i soggetti interessati dalla lavorazione erano dipendenti della stessa ditta. I giudici di merito, quindi, non si erano confrontati con la questione, nel caso di specie, della ricorrenza o meno di un rischio interferenziale.
Per il secondo motivo di ricorso e cioè “difetto di motivazione e travisamento della prova”, i difensori facevano riferimento ad una serie di profili addebitati al CSP in relazione alle valutazioni contenute nel PSC:
- il giudizio di rischio "molto basso" per la movimentazione dei carichi nulla diceva in ordine alla efficacia causale che tale giudizio avrebbe potuto avere sulla verificazione del sinistro, e comunque atteneva ai rischi connessi alla diversa lavorazione denominata "Scavo di sbancamento eseguito con mezzi meccanici", invece, il trasporto con mezzo di sollevamento prevedeva un rischio da investimento "alto";
- la scelta del mezzo per trasportare le lastre spettava al datore di lavoro e non al CSP;
- la disposizione del PSC redatto dal CSP, secondo cui il manovratore del mezzo poteva avvalersi dell'ausilio di un "aiutante", non significava che l'ausiliario dovesse seguire il trasporto delle lastre guidandole a mano, come avvenuto, ma solo che l'ausiliario avrebbe potuto collaborare a terra per migliorare la visuale ed il trasporto dei carichi; in ogni caso, la previsione andava letta nella sua interezza, visto che nel prosieguo imponeva che nessuno dovesse stazionare nei pressi della macchina durante il trasporto.
Per il terzo motivo e cioè “violazione dell’art. 521 c.p.p.” in quanto, atteso che l'ipotetica negligenza dell’imputato di avere assistito al trasporto delle lastre ed alle sue manovre di movimentazione e di non essere intervenuto per impedire l'evento, non come CSP ma come CSE (Coordinatore della Sicurezza per l'Esecuzione dei lavori), non era mai stata contestata, pur trattandosi di fatto diverso che avrebbe dovuto formare oggetto di specifica modifica del capo di imputazione, onde consentire un'adeguata difesa.
Con il quarto motivo e cioè “violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso causale tra la condotta del CSP e l’evento”, perché il CSP non aveva affatto trascurato di prescrivere nel PSC le modalità di movimentazione dei carichi. Infatti, l'ausilio dell'aiutante era previsto solo per garantire il "controllo delle condizioni di tutto il percorso" e non per lo spostamento dei carichi. Non spettavano al CSP poteri di intervento immediato o di controllo delle singole lavorazioni, essendo le stesse demandate esclusivamente all'organizzazione del datore di lavoro quanto ai rischi specifici dell'impresa, come correttamente osservato nella pronuncia assolutoria in primo grado.
Secondo la Suprema Corte, i ricorsi proposti dai difensori del CSP sono fondati, in quanto gli stessi hanno evidenziato plurimi vizi di legittimità della sentenza impugnata, sia sotto il profilo motivazionale che sotto quello della erronea applicazione dei principi giuridici che informano la materia prevenzionistica.
Per i Giudici di Cassazione <<La sentenza di appello non ha neanche rispettato il noto principio in base al quale il ribaltamento in appello della decisione assolutoria di primo grado debba essere argomentato sulla base di una "motivazione rafforzata" (cfr. Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679 - 01; Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907 - 01). Tale principio implica che, in mancanza di elementi sopravvenuti, la valutazione peggiorativa compiuta nel processo d'appello sullo stesso materiale probatorio acquisito in primo grado, debba essere sorretta da argomenti dirimenti, tali da rendere evidente l'errore della sentenza assolutoria, la quale deve rivelarsi, rispetto a quella d'appello, non più razionalmente sostenibile, per essere stato del tutto fugato ogni ragionevole dubbio sull'affermazione di colpevolezza. Perché possa dirsi rispettato il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio non è, dunque, sufficiente una mera diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio", in qualche modo intrinseco alla stessa situazione di contrasto. La condanna, infatti, come acutamente notato da Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Rv. 251066 - 01, "presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l'assoluzione non presuppone la certezza dell'innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza>>.
La Cassazione nelle motivazioni ha spiegato anche quale sia stato il principale errore logico-giuridico contenuto nella decisione impugnata e cioè proprio l’interpretazione riguardante la nozione di “rischio interferenziale” e alla sua concreta applicazione nel caso di specie.
Infatti, l'iter argomentativo della sentenza impugnata individua rischi interferenziali del tutto estranei alla lavorazione da cui è conseguito il sinistro, che ha visto pacificamente coinvolta la sola impresa esecutrice e i suoi lavoratori, per cui <<erroneamente è stata ravvisata il verificarsi di una situazione di interferenza, tipicamente attinente al coinvolgimento, nell'ambito di uno stesso cantiere, di lavorazioni di più imprese, non necessariamente in maniera simultanea>>.
Sempre secondo la Cassazione <<il concetto di interferenza, da cui sorgono gli obblighi di coordinamento e cooperazione di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26, è formulato dalla giurisprudenza con riferimento al contatto rischioso tra il personale di imprese diverse, operanti nello stesso contesto aziendale, e pertanto occorre aver riguardo alla concreta interferenza tra le diverse organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori >>.
Invece, nel caso specifico, l’infortunio è stato determinato dall’imperizia del conduttore del sollevatore telescopico noleggiato dall’impresa esecutrice e a un difetto di vigilanza che ha consentito al lavoratore infortunato di <<entrare nello spettro di azione del mezzo, impegnando il dipendente in un'attività altamente pericolosa (contenere a mano il basculamento delle lastre trasportate), in nessun modo rispettosa delle norme di sicurezza riguardanti l'uso del veicolo impiegato>>.
Non si è trattato, quindi, di una situazione di rischio interferenziale ma della gestione di un rischio specifico proprio che, come detto prima, è espressamente estraneo al PSC come previsto al p. 2.2.3 dell’allegato XV al D. Lgs. n. 81/2008:
<<2.2.3. In riferimento alle lavorazioni, il coordinatore per la progettazione suddivide le singole lavorazioni in fasi di lavoro e, quando la complessità dell’opera lo richiede, in sottofasi di lavoro, ed effettua l’analisi dei rischi presenti, con riferimento all’area e all’organizzazione del cantiere, alle lavorazioni e alle loro interferenze, ad esclusione di quelli specifici propri dell’attività dell’impresa …..>>
Quindi, palesemente, non si era di fronte ad un rischio interferenziale ma ad un rischio specifico proprio riguardante l'attività dell’impresa esecutrice e, pertanto, assolutamente non riconducibile all’interno del perimetro di responsabilità del CSP visto che questi, è assodato, debba occuparsi nel PSC della gestione dei rischi generici <<tra i quali non rientrano i rischi specifici propri dell'attività della singola impresa, di competenza del datore di lavoro, in quanto non inerenti all'interferenza fra le opere di più imprese >>.
Rischi generici che erano stati trattati nel PSC visto che tale documento programmatico prevedeva che nessun lavoratore stazionasse nei pressi del sollevatore telescopico durante la movimentazione delle lastre. Quindi, la prevista figura, denominata nel PSC "aiutante", non poteva che fare riferimento ad un soggetto cui era demandato il compito di dare supporto, tenendosi a distanza di sicurezza dal mezzo, al conducente del sollevatore telescopico, per meglio orientarsi nel percorso ed anche per segnalare ad altri operai, ad esempio i dipendenti di eventuali altre imprese operanti nel cantiere, la situazione di pericolo derivante dal sopraggiungere dello stesso. Questo spiega il motivo per cui nel PSC, il CSP aveva previsto la presenza del citato “aiutante”.
La presenza del lavoratore infortunato nelle immediate vicinanze del mezzo, pertanto, non discendeva certo dalle previsioni del PSC ma da una precisa richiesta dell’operatore del sollevatore telescopico al fine di evitare il basculamento delle lastre violando così la specifica previsione del PSC che imponeva ai lavoratori di non stazionare nei pressi del mezzo durante le operazioni di sollevamento e trasporto. Trattandosi di un rischio specifico proprio generato da una precisa ed accertata richiesta del conduttore del mezzo, questa violazione non poteva che essere addebitata, come già detto, al solo datore di lavoro, in quanto era costui ad essere deputato, per legge, a gestire i rischi specifici propri a cui sono esposti, in via esclusiva, i propri dipendenti.
La Cassazione, nelle motivazioni, “va giù pesante” nei confronti della Corte d’appello di Torino ribadendo che <<è pertanto improprio parlare di interferenza, quando il primo giudice aveva logicamente riscontrato che l'infortunio era derivato dall'attribuzione al lavoratore di una mansione pericolosa da parte del suo datore di lavoro, nell'ambito di una attività lavorativa specificamente demandata alla stessa impresa>>.
Quindi, secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, l’infortunio non è riconducibile ad una inadeguata valutazione, nel PSC, del rischio interferenziale ed alle conseguenti misure di prevenzione e protezione per eliminarlo o ridurlo al minimo; pertanto, correttamente aveva argomentato il Giudice di prime cure con motivazione logica, coerente con le risultanze processuali e corretta in diritto.
La Cassazione penale conclude ribadendo che i riscontrati vizi di legittimità, da cui è affetta la sentenza della Corte d’appello di Torino, ne impongono l'annullamento senza rinvio, ai sensi dell'art. 620 comma 1 lett. l) cpp in quanto è, infatti, evidente la superfluità di un giudizio di rinvio, alla luce della riscontrata erroneità, in grado di appello, del ribaltamento in condanna della sentenza assolutoria di primo grado, cui consegue il proscioglimento del ricorrente dal reato ascritto per non aver commesso il fatto.
Un annullamento senza rinvio della sentenza della Corte d’appello di Torino da parte della Cassazione penale con le motivazioni appena descritte rende evidente le dimensioni macroscopiche dell’errore commesso dai giudici di seconde cure.
Chi scrive non può che domandarsi come, ancora oggi, dopo più di 26 anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 494/1996 (oggi Capo I del Titolo IV del D. Lgs. n. 81/2008), non sia chiaro, quando si tratta di infortuni sul lavoro nei cantieri, quale sia il perimetro di responsabilità dei coordinatori visto che, a partire dalla fonte primaria (Dir. 92/57/CEE), queste figure non erano state certo introdotte per aumentare il livello di vigilanza in cantiere ma per integrare la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro fin dalla concezione dell’opera. Così come sono anni che chi scrive suggerisce un’attenta rivisitazione dell’intero Titolo IV anche per fare chiarezza sulle funzioni dei coordinatori (per ultimo, Puntosicuro del 04/04/2017 “ Perché non rivedere il Capo I del Titolo IV del D.Lgs. n 81/2008?”) e riavvicinarci ai reali obiettivi del legislatore europeo.
Naturalmente, visti i contenuti della sentenza, non mancheranno i commentatori, che, leggendo tale pronuncia grideranno allo “scandalo”, all’errore della Suprema Corte e via dicendo.
Carmelo G. Catanoso
Ingegnere Consulente di Direzione
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Rispondi Autore: Marcello - likes: 0 | 04/09/2023 (07:18:54) |
Complimenti come sempre per le sue ottime analisi. Spero vivamente che questa sentenza possa essere utile ad evitare di commettere gli stessi errori in caso di altri eventi simili e che possa mettere a tacere (almeno temporaneamente) i profeti dell'integralismo.. |
Rispondi Autore: Eugenio Roncelli - likes: 0 | 04/09/2023 (07:45:35) |
Sentenza chiarissima e riepilogo altrettanto chiaro: si resta, comunque, perplessi di fronte ad errori così macroscopici, tanto da far dubitare che il giudice di seconde cure abbia mai letto il Dlgs 81/08. I giudici vanno formati: non possono discutere di tutti gli argomenti, ma devono specializzarsi. |
Rispondi Autore: raffaele scalese - likes: 0 | 04/09/2023 (08:52:05) |
Al dilà della "pesca a strascico" che mi appare una metafora eccessiva tutta l'argomentazione è condivisibile. Troppe volte i giudici si contraddicono fra i vari giudizi e non resta che la Cassazione. Sono molto d'accordo con Eugenio Rocelli e me lo domando da oltre 25 anni: se mifa male un dente vado dal medico DENTISTA, se ho un problema cardiaco vado da un medico CARDIOLOGO ecc. Perchè per i Giudici non esiste questo tipo di specializzazione? E l'esempio non manca: infatti per le cause di Lavoro è il Giudice del Lavoro (e parliamo di situazioni civili) Perchè per il penale, in cui sono in discussione valori molto più significativi la "specializzazione" non è contemplata ? Certo con il 547 era un poco più facile....ma sono passati 70 anni !!!! |
Rispondi Autore: Raffaele Giovanni - likes: 0 | 04/09/2023 (08:58:48) |
Caro Carmelo come sempre, grazie per le segnalazioni puntuali. Detto ciò proporrei dei corsi formativi in materia anche per i PM ed i Giudici.... |
Rispondi Autore: Riccardo Borghetto - likes: 0 | 04/09/2023 (09:07:38) |
Ottimo articolo Carmelo. Complimenti. |
Rispondi Autore: Marco Martelletti - likes: 0 | 04/09/2023 (09:29:35) |
È certamente stupefacente (e l’aggettivo non è casuale) la motivazione della condanna operata dalla Corte d’Appello sul PSC. Forse, più bonariamente, spiegabile nella confusione operata dalla Corte tra CSP e CSE. Purtroppo un Giudice dovrebbe essere addirittura "Peritus peritorum", ma nella realtà sappiamo che così non é. Sebbene, Eugenio e Raffaele, nelle Corti d’Appello vi è una certa specializzazione nei Giudici, ovvero i processi in cui sono coinvolti ad es. professionisti vengono trattati dalla medesima sezione. Ma questi Giudici trattano, ad es., sia il possibile errore medico sia l’errore del CSP/CSE convenuti a giudizio. Premesso che tutti noi uomini possiamo sbagliare, quello che mi lascia sempre perplesso è che non solo i Giudici, ed i Pubblici Ministeri nonché i GUP che innescano i giudizi senza efficace “filtro”, a fronte di marchiani errori di questo tipo non abbiano a subire alcuna conseguenza, ma che lo Stato italiano non si preoccupi delle spese subite dagli imputati per seguire le proprie difese. Chiamando magari a giudizio decine di persone per poi ottenere la condanna di pochissimi. Ma le spese dei molteplici soggetti assolti chi le paga? E non sto parlando solo delle spese del collegio di difesa (Avvocati e CTP), ma anche delle relative trasferte, del tempo dedicato dagli imputati allo studio del caso e ad assistere alle udienze, ecc. Uno Stato serio dovrebbe considerare la possibilità di essere stato diciamo “impreciso” nel coinvolgere un soggetto mandato poi assolto e quindi dovrebbe prenderne atto rifondendogli le documentate spese legate al giudizio, chessò magari anche in misura proporzionale alle diverse formule di assoluzione. Altrimenti lo scrupolo che la magistratura ci mette nel fare il proprio lavoro rimane solo uno scrupolo morale. Mentre per noi comuni cittadini tale scrupolo non è sufficiente. |
Rispondi Autore: Camillo Il Grande - likes: 0 | 10/09/2023 (07:35:53) |
Vivendo i Tribunali di Torino ed Ivrea concordo con la pesca a strascico in Piemonte. Da buon catanese della costa ritengo che o cambiano le esche o le canne (Rif attrezzature pesca) o addirittura trovino altro hobby. Essere coinvolti in un giudizio penale non solo incide sulla reputazione professionale ma anche su quella personale per cui i tempi lunghi del penale diventano pena eseguita per il professionista. Buon lavoro |