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Il “preposto di fatto” non è un’opzione organizzativa per la vigilanza
Mi capita talvolta di sentirmi chiedere se la presenza di un preposto di fatto all’interno di un reparto o in un turno di lavoro o in un qualche ambito di attività sia sufficiente e adeguata a soddisfare l’esigenza della vigilanza - quale obbligo del datore di lavoro e del dirigente - sull’attività dei lavoratori.
In quei casi, dopo aver risposto in termini negativi alla domanda e aver precisato che la vigilanza passa ormai attraverso la presenza di preposti formalmente individuati da parte del datore di lavoro, normalmente aggiungo sinteticamente che la figura del cosiddetto “preposto di fatto” non dovrebbe neanche più esistere all’interno di un’organizzazione, se non nelle eventuali qualificazioni effettuate ex post dall’organo di vigilanza e/o dal magistrato a seguito di infortunio o malattia professionale.
Quella del preposto di fatto, infatti, non solo non è da concepirsi come una soluzione organizzativa che possa essere adottata ai fini della vigilanza, ma non può essere neanche vista come una figura che possa essere tollerata dall’organizzazione.
In realtà questo concetto non è altro che la traduzione in parole semplici di quanto già affermato assai più autorevolmente dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta del Senato sulle condizioni di lavoro in Italia, sullo sfruttamento e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati che ha operato tra il 2019 e il 2022 e sulla base dei cui lavori è stata emanata nel 2021 la Legge 215, che ha previsto l’obbligo del datore di lavoro e del dirigente di “individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza di cui all’articolo 19” (art.18 c.1 lett.b-bis) primo periodo D.Lgs.81/08).
Con l’introduzione di tale obbligo, secondo la Commissione il legislatore si è posto l’obiettivo che venisse “dismessa progressivamente la prassi aziendale organizzativa di lasciare la vigilanza in mano a preposti di fatto poco consapevoli, con prevedibili miglioramenti della performance delle attività di vigilanza svolte all’interno delle aziende e, quindi, della conseguente ed auspicabile diminuzione del numero e della gravità degli infortuni.”
La stessa Relazione ha esplicitato, del resto, che “tutte le modifiche normative introdotte con i suddetti atti legislativi [Legge 215/2021, n.d.r.] sono state sollecitate dalla Commissione parlamentare d’inchiesta e si inseriscono nel principale obiettivo di riduzione degli infortuni e delle malattie professionali, attraverso la normazione e l’elaborazione di migliori prassi organizzative in materia di informazione, formazione, assistenza e vigilanza sia interna alle aziende, sia amministrativa da parte degli Enti ispettivi esterni” (Relazione Intermedia 20 aprile 2022, pp.70 e ss. e Relazione Finale approvata in via conclusiva il 26 luglio 2022 e comunicata alla Presidenza il 7 ottobre 2022. Fonte: Senato della Repubblica).
Poiché vi è ancora chi sostiene che sulla base del principio di effettività - così come recepito nel 2008 e sancito normativamente dall’art.299 del D.Lgs.81/08 - all’interno di un’organizzazione aziendale le figure dei “preposti di fatto” avrebbero ancora dignità di esistere ai fini della vigilanza, ricordo che la Commissione d’Inchiesta del Senato ha precisato che “l’obbligo penalmente rilevante di individuare il preposto o i preposti si evidenzia come una novità assoluta rispetto a tutta la precedente normativa di sicurezza sul lavoro”.
Ma il passaggio davvero dirimente nell’ambito del ragionamento della Commissione è quello relativo alla finalità che l’ordinamento giuridico si è posto con la riforma normativa del 2021, che è quello rappresentato dalla “fine della diffusissima prassi aziendale organizzativa, portata avanti negli ultimi 30 anni, di non individuare formalmente il preposto o i preposti”, la quale “si è tradotta, negli anni, nella copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità che ha molto spesso inserito nel novero dei condannati per i delitti di omicidio o lesioni personali colpose, in materia di sicurezza sul lavoro, i cosiddetti “preposti di fatto””.
A fronte di tale quadro, come chiarito in maniera cristallina dalla Commissione del Senato (sulla base dei cui lavori - giova ancora ricordarlo - è stata redatta ed emanata la Legge 215/2021), “la figura del “preposto di fatto” deve essere fatta risalire ad un orientamento costante e consolidato della Corte di Cassazione di applicazione del “principio dell’effettività””, il quale principio “trova particolare applicazione alle cosiddette norme di ordine pubblico […] in mancanza di investiture formali dei preposti per la sicurezza”.
La riforma che ha portato all’introduzione dell’obbligo formale di individuazione dei preposti è stata dunque il frutto di una “analisi di sistema” operata in quegli anni dal sistema giuridico, secondo la quale “è agevole notare che l’orientamento diffusissimo e consolidato in giurisprudenza dell’attribuzione “ai preposti di fatto” di responsabilità penali, per danni da lavoro e per omessa vigilanza, sia dipeso proprio dalla assenza di un obbligo di nomina formale dei preposti per la sicurezza, pur in concomitante presenza di preposti che sovraintendevano alle attività produttive.”
Va da sé, di conseguenza, che, a seguito dell’introduzione dell’obbligo di individuazione formale dei preposti, la figura del “preposto di fatto” dovrebbe restare confinata all’area non della fisiologia del sistema ma della patologia del sistema, allorquando un soggetto, pur non avendo un’investitura formale da preposto (sotto il profilo dell’incarico aziendale con ruolo di coordinamento e vigilanza e della successiva individuazione ai sensi della lett.b-bis) dell’art.18 c.1 del D.Lgs.81/08), abbia comunque dato ordini e istruzioni ad un lavoratore dai quali sia derivato un infortunio.
(Per approfondimenti sul tema dell’investitura formale dal punto di vista del binomio poteri-competenze, si vedano i precedenti articoli “ Il preposto individuato deve necessariamente avere poteri gerarchici”, pubblicato su PuntoSicuro del 14 novembre 2024 n.5734 e “ Quando il preposto individuato non ha le competenze necessarie”, pubblicato su PuntoSicuro del 28 marzo 2024 n.5589).
Il preposto di fatto è, dunque, “materia” del magistrato e non rappresenta in nessun caso un’opzione organizzativa aziendale; tanto è vero che, in attuazione dell’art.18 c.1 lett.b-bis) del D.Lgs.81/08, anche i sostituti dei preposti - quando assenti - devono essere individuati formalmente dal datore di lavoro o dal dirigente (su questo aspetto rinvio al precedente contributo “ L’assenza del preposto e la sua mancata sostituzione: responsabilità”, pubblicato su PuntoSicuro del 26 febbraio 2021 n.4880).
Tutto ciò trova, peraltro, piena corrispondenza e conferma nella constatazione che l’art.299 del D.Lgs.81/08 (“esercizio di fatto di poteri direttivi”), secondo cui “le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e) gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti”, è, sin dal 2008, inserito all’interno non del Titolo I bensì del Titolo XII del D.Lgs.81/08, recante “Disposizioni in materia penale e di procedura penale”.
Per intenderci, è assai significativo che l’art.299 del D.Lgs.81/08 sia collocato all’interno del Testo Unico subito prima delle norme sanzionatorie in materia di D.Lgs.231/01 (art.300), della norma che richiama l’applicazione del D.Lgs.758/94 ai reati contravvenzionali di salute e sicurezza (art.301), della norma sull’estinzione agevolata degli illeciti amministrativi (art.301-bis) e così via; tutte disposizioni, queste ultime, che di certo non contengono criteri rivolti al datore di lavoro per la strutturazione di una buona organizzazione di salute e sicurezza ma che hanno come principali destinatari gli organi di vigilanza e i magistrati che sono chiamati ad applicarle.
A questo punto risulterà chiaro che, con la riforma del 2021, il legislatore ha voluto tutelare in primis gli stessi soggetti qualificati a livello processuale come preposti di fatto, dal momento che, sempre secondo la Commissione d’Inchiesta del Senato, “la contraddizione organizzativa di preposti che vigilano per la produzione ma non anche per la sicurezza, dovuta alla mancanza di un obbligo di legge di nomina, da un lato ha sicuramente indebolito l’attività di vigilanza e sovrintendenza per la sicurezza e, dall’altro, ha esposto penalmente i preposti di fatto a causa della loro scarsa consapevolezza di dover effettuare la vigilanza anche sulla sicurezza oltre che sulla qualità e sui risultati produttivi.”
Passando dall’aspetto prettamente organizzativo all’ambito delle responsabilità penali in senso stretto, tutto quanto detto finora ha due dirette conseguenze.
La prima è che il datore di lavoro o il dirigente che non adempia all’obbligo di individuazione di tutti i preposti in azienda esporrà penalmente coloro che si troveranno a coordinare i lavoratori come “preposti di fatto” ad un’eventuale responsabilità penale che il legislatore considera ormai come l’effetto collaterale di una prassi da evitare e prevenire.
La seconda conseguenza è rappresentata dalla stessa responsabilità penale dei soggetti apicali per tale omessa individuazione, sotto un ulteriore duplice profilo.
Come precisato dalla Commissione del Senato, “infatti, nell’ipotesi in cui nell’ambito di una vicenda processuale relativa a danni da lavoro dovesse essere rilevata, tra le altre cause, anche quella di una mancata attività di vigilanza, in assenza di un atto tracciato di individuazione formale del preposto, sarebbe altamente probabile far risalire a carico dei dirigenti o del datore di lavoro sia l’attribuzione della responsabilità contravvenzionale per la mancata nomina del preposto, sia l’attribuzione della responsabilità per il conseguente delitto di lesioni o di omicidio colposo di cui agli artt. 589 e 590 del Codice Penale.”
Vorrei concludere questo ragionamento con un’osservazione finale.
A mio parere, l’importanza dell’individuazione formale del preposto da parte del datore di lavoro e del dirigente può essere colta appieno solo ove si consideri in maniera più ampia il contesto normativo all’interno del quale è stato introdotto tale obbligo, rappresentato da tutte le novità introdotte dalla Legge 215/2021 con riferimento alla figura del preposto stesso.
Come noto, infatti, tale riforma ha valorizzato in maniera significativa tale ruolo all’interno dell’organizzazione, rafforzandone ed estendendone gli obblighi e le responsabilità.
Ciò è stato ben espresso e riconosciuto da una sentenza della Suprema Corte di quest’anno ( Cassazione Penale, Sez.IV, 14 aprile 2025 n.14443), quindi successiva di ben quattro anni all’emanazione della riforma del 2021, con cui la Corte ha sottolineato che la “legge n.215 del 17.12.2021 […] intervenendo in maniera significativa sulla figura del preposto, ha ulteriormente valorizzato e specificato le funzioni di vigilanza e intervento di tale figura, rafforzandone il ruolo nell’ambito del sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.”
Sotto tale profilo, “in particolare, la novella legislativa ha introdotto, tra l’altro, l’obbligo di individuare il preposto o i preposti per l’effettuazione delle attività di vigilanza (art.18, comma 1, lett.b-bis) e ha precisato i poteri di intervento del preposto in caso di non ottemperanza alle disposizioni impartite, giungendo ad attribuirgli il potere interrompere l’attività e informare i superiori diretti, in caso di mancata attuazione delle disposizioni impartite o di persistenza dell’inosservanza, (art.19, comma 1, lett. a).”
Approfondendo il tema, la Cassazione ha ricordato così che, “in linea generale, la giurisprudenza del giudice di legittimità attribuisce al soggetto preposto alla vigilanza sui lavori, anche se sprovvisto di poteri decisionali, una funzione integrativa in chiave di segnalazione ai superiori degli eventuali profili di criticità delle misure di prevenzione e protezione dei lavoratori, e di sollecitazione nella predisposizione degli accorgimenti tecnici più idonei in relazione alla specificità della lavorazione, posizione di garanzia che non esclude ma integra quella dei superiori gerarchici dotati di autonomia e capacità decisionale (sez.IV, 23.11.2012, Lovison e altri, Rv.254094; Sez.U., 24.4.2014, PG e Espenhanhn e altri, Rv.261107, sez.IV, 12.11.2015, Porterà e altri, Rv.265661).”
In tale ottica, “di recente, questa Sezione ha ripetutamente affermato che il preposto, pur se sfornito di poteri decisionali e di spesa, è comunque responsabile in caso di eventi lesivi riconducibili all’omissione di vigilanza e segnalazione di situazioni di pericolo (cfr. Sez.4, sent. n.7092 del 2022; Sez.4, sent. n.45575 del 2021; Sez.4, sent.n.4340 del 24 novembre 2015, Rv.265977; Sez.4, sent. n.9491 del 10/01/2013 Ud. (dep.27/02/2013) Rv.254403-01).”
Alla luce dell’attuale quadro normativo, pertanto, “il preposto, infatti, è tenuto a vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori delle loro norme di legge e delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale, nonché a segnalare le deficienze dei mezzi, delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione e, più in generale, ogni situazione di pericolo della quale venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta.”
In definitiva, secondo la Suprema Corte “gli obblighi di vigilanza e di segnalazione gravanti sul preposto costituiscono elementi essenziali della sua posizione di garanzia, senza la cui osservanza verrebbe meno la stessa ragion d’essere di tale figura nel sistema di prevenzione degli infortuni sul lavoro.”
E’ evidente, in conclusione, che la strutturazione e l’identificazione di una posizione di garanzia di questo livello di centralità all’interno del sistema organizzativo aziendale non può essere lasciata al caso ma deve essere decisa, voluta e definita dai livelli apicali dell’organizzazione aziendale, nella cornice più ampia di una strategia di vigilanza complessiva che sia efficiente e conforme a quanto imposto dalle norme di legge in materia (art.18 c.1 lett.b-bis), lett.f), lett.bb) e comma 3-bis) del D.Lgs.81/08).
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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Pubblica un commento
| Rispondi Autore: Carlo Aldeghi | 27/11/2025 (08:19:37) |
| Tutto molto interessante ed è quello che sostengo durante i corsi di formazione essendo un docente formatore che insegna mediamente 8 ore al giorno però ho constatato che nell'accordo stato regione n.59 del 17 Aprile 2025 tra gli argomenti del corso di formazione preposti è inserita la voce "preposto di fatto ed effettività del ruolo" | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 27/11/2025 (08:44:24) |
| A mio parere è invece molto importante che rimanga un tema presente nei corsi per preposti, proprio per spiegare cosa significa e quanto è importante evitare che esista tale situazione nella realtà pratica, così variegata e spesso ricca di complessità, o nelle piccole aziende dove magari il titolare lavora coi dipendenti ma non è sempre presente. Proprio per "l'effettività" di tale ruolo insomma nei corsi è importante farlo conoscere per farlo... riconoscere, ed evitare così che qualcuno di loro si ritrovi in tale ruolo e, peggio ancora, senza saperlo. | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 27/11/2025 (08:52:38) |
| Aggiungo ancora, a proposito dell'inizio dell'articolo, che l'ignoranza di chi chiede se è sufficiente avere un preposto di fatto è davvero grande, purtroppo. Spero che sia almeno in parte un fraintendimento col tema, ben diverso in realtà, della necessità o meno di presenza continuativa di un preposto in tutte le attività e ovunque, tema interessante e assai dibattuto, ma che è appunto una questione diversa. | |
| Rispondi Autore: Nico Brunelli | 27/11/2025 (15:43:48) |
| Gent.ma Dott.ssa A. Guardavilla, ma per il riconoscimento della Funzione di Preposto, non è obbligatorio da parte del D.L. una indennità per il riconoscimento della Funzione di cui alla L.215/2021? | |
| Rispondi Autore: Anna Guardavilla | 27/11/2025 (17:39:26) |
| Buonasera a tutti. Molto acuta l'osservazione del Dott. Aldeghi e molto condivisibile - e da me condivisa - la risposta sul punto del Dott.Bersani. Ritengo anch'io che a quella indicazione inserita all'interno del modulo giuridico-normativo per i preposti nell'ASR 17 aprile 2025 debba essere data applicazione dal formatore mediante l'illustrazione della questione nei termini di cui all'articolo (detto sinteticamente), mettendoli in guarda da eventuali preposizioni di fatto esercitate attraverso ingerenza sugli appaltatori o sui lavoratori autonomi o, all'interno dell'azienda, su lavoratori appartenenti ad altri reparti/altre squadre e così via. Che poi la Conferenza Stato-Regioni abbia inserito tale indicazione con questa consapevolezza/volontà o meno non ha rilevanza, dal momento che le norme devono essere interpretate oggettivamente. Inutile tacersi, però, che è spesso l'organizzazione messa in piedi anzitutto dal datore di lavoro e dai dirigenti che genera in nuce le preposizioni di fatto, per cui sono per lo più quei soggetti che andrebbero a mio parere sensibilizzati sul tema. Per quanto riguarda la domanda del Dott.Brunelli, in realtà non si tratta di un'indennità necessaria o addirittura obbligatoria per il riconoscimento della funzione di preposto, nel senso che la Legge 215/2021 ha inserito all'interno del D.Lgs.81/08 (all'art.18 c.1 lett.b-bis) la previsione secondo cui "i contratti e gli accordi collettivi di lavoro POSSONO stabilire l'emolumento spettante al preposto per lo svolgimento delle attività di cui al precedente periodo." Un cordiale saluto a tutti. Anna Guardavilla | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 28/11/2025 (09:13:51) |
| Come già discusso nel passato su quel tema anche qui su Puntosicuro, l'emolumento ai preposti a causa degli obblighi di sicurezza è un concetto che è sbagliato e fuorviante, almeno a parere di molti (compreso il mio). Un preposto va pagato di più poiché ha delle responsabilità nel sovrintendere, organizzare, controllare l'attività altrui ecc. (vedasi definizione, tenendo conto delle diverse circostanze: ci sono preposti di una squadra di poche persone e preposti di un intero reparto produttivo, cantiere ecc.). Che poi tutto questo comporti dei doveri sulla sicurezza, è un concetto che discende di conseguenza per il ruolo. Altrimenti si dà a intendere come se fosse così, per un preposto: "caro datore di lavoro: ah si, vuoi che facciamo anche (?!) la sicurezza, cioè vuoi che mi prenda la briga di controllare gli altri e non solo me stesso? allora questa cosa me la paghi". A nessuno fa piacere avere responsabilità, ed è GIUSTO che sia pagata, ma è una questione di ruolo superiore, NON di sicurezza. Altrimenti allora... perché non pagare anche "la sicurezza" che è a carico dei lavoratori (art. 20 obblighi)? Mah... Buona giornata :) | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 01/12/2025 (09:57:09) |
| Per completezza, dato che i commenti restano poi qui, chiedo scusa ma mi permetto di aggiungere ora invece una 'giustificazione' della richiesta di essere pagati per fare il preposto. Tale richiesta a volte è probabilmente figlia dell'errata situazione seguente: ci sono alcuni (pochi) colleghi che lavorano insieme, ma siccome la nuova normativa pare imporre la nomina di un preposto sempre... e comunque... e continuativamente presente... (si vedono situazioni un po' assurde, su cui non è il caso di dilungarsi qui) ecco che allora si fa fare il corso a qualcuno e lo si nomina preposto, anche se nei fatti quel 'poveretto' coi colleghi fa più o meno le stesse cose di prima e non li 'comanda' veramente nell'operatività (sovrintendere, garantire, controllare, segnalare, interrompere ecc...) ma solo sulla carta. A quel punto giustamente costui pretende almeno di essere pagato per una cosa che, nei fatti, è solo una forzatura artificiale rispetto a quanto avviene davvero. Altrimenti si riceve una 'investitura' senza alcun beneficio e ci si sente, giustamente, un po' "cornuti e mazziati" (espressione colorita ma efficace!) :) | |
