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Il concetto di interferenza e di eccentricità del rischio

Il concetto di interferenza e di eccentricità del rischio
Carmelo G. Catanoso

Autore: Carmelo G. Catanoso

Categoria: Sentenze commentate

19/09/2024

La Suprema Corte, nel fornire le motivazioni del rigetto del ricorso del CSP/CSE fornisce ulteriori chiarimenti si cosa debba intendersi per rischio interferenziale e comportamento eccentrico del lavoratore.

 

Con la sentenza della Cassazione Penale, Sez. 4, 19 luglio 2024, n. 29323 è stato respinto il ricorso di un CSP/CSE condannato in I grado e in appello per concorso in omicidio colposo con colpa specifica riguardante la violazione degli artt. 91 e 92 del D. Lgs. n. 81/2008.

Nelle motivazioni addotte nel respingere il ricorso, la Suprema Corte ha fornito un’ulteriore interpretazione del rischio di interferenza e di eccentricità del rischio.

 

Il caso in esame riguarda il procedimento penale a carico di un professionista che, in un cantiere, rivestiva il triplice ruolo di CSP, direttore dei lavori per il committente e CSE. Il professionista era stato chiamato a rispondere, in concorso con i rappresentanti legali dell’impresa affidataria e dell’impresa esecutrice dei reati di cui agli artt. 110, 40, comma 2, e 589, comma 2, c.p.  e  91, 92, 158, 141, 142, 143 e 144 del D.Lgs. n. 81/2008, per avere, in cooperazione colposa con i citati rappresentanti legali per negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla sicurezza del lavoro, cagionato il decesso di un lavoratore dipendente dell’impresa esecutrice.

 

L’evento era avvenuto nel corso della realizzazione di uno stabilimento industriale con lavori appaltati all’impresa affidataria e subappaltati all’impresa esecutrice.

In particolare, mentre alcuni dipendenti delle due imprese stavano lavorando alla realizzazione di una trave a sbalzo come appoggio per la successiva posa in opera del solaio, dopo che era stato allestito per il contenimento del calcestruzzo una cassaforma di metallo e tavole in legno collegate alle opere provvisionali in maniera del tutto inadeguata erano emerse le seguenti criticità:

  • la cassaforma era priva di sistema di ritenuta dei puntelli di controventature, quindi non in grado di sopportare le sollecitazioni indotte durante le operazioni di getto del calcestruzzo (in violazione degli artt. 141, 142, 143 e 144 D.Lgs. n. 81 del 2008);
  • il PSC era mancante di adeguate previsioni al riguardo (in violazione degli artt. 91 e 158 D.Lgs. n. 81 del 1008)
  • non erano state effettuate le necessarie verifiche durante l’esecuzione dei lavori e della doverosa sospensione dei lavori per inadeguatezza (in violazione degli artt. 92 e 158 D.Lgs. n. 81 del 1008).

 

Il lavoratore, mentre era impegnato ad operare sull'ultimo impalcato del ponteggio esterno per la gettata di calcestruzzo nella cassaforma, <<avendo sentito uno scricchiolio proveniente dall'armatura di sostegno, aveva sospeso, insieme ad altri operai, la gettata, scendendo dal ponteggio per recarsi nella parte interna del fabbricato e poi salire sull'impalcato della cassaforma, dove veniva tragicamente investito dal relativo crollo, conseguentemente cadendo al suolo e venendo schiacciato dal materiale delle opere provvisionali>>.

 

La Corte di appello aveva confermato la responsabilità del professionista ma aveva ridotto la pena inflitta. Avverso tale sentenza, questi aveva proposto ricorso per Cassazione, deducendo tre motivi di doglianza.

Con il primo motivo aveva eccepito erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, e 589 c.p. oltre a contraddittorietà della motivazione per travisamento della prova, lamentando l'insussistenza nella sua condotta della ritenuta violazione della regola cautelare su di lui gravante.

Per il ricorrente, infatti, non sarebbe a lui imputabile nessun comportamento lesivo delle competenze rimessegli nelle due ricoperte qualifiche di CSP e CSE,, anche considerato che, con riferimento a quest'ultimo ruolo, inerente lo svolgimento di funzioni di "alta vigilanza", spetterebbe unicamente la tutela dal cosiddetto rischio generico, relativo alla generale configurazione delle lavorazioni, e non già dal cosiddetto rischio specifico, di natura operativa, direttamente rimesso all'appaltatore.

 

In ossequio all'interpretazione offertane dalla giurisprudenza di legittimità, il cosiddetto rischio generico rifletterebbe il contatto rischioso tra le attività di lavoratori appartenenti a diverse imprese, aspetto che, tuttavia, nel caso di specie non avrebbe assunto nessuna rilevanza, considerato che i lavoratori dell’impresa affidataria e dell’impresa esecutrice sarebbero stati tutti insieme a lavorare, in modo sinergico tra loro, con le medesime mansioni e le stesse competenze, alla realizzazione di una stessa opera - e cioè della trave a sbalzo d’appoggio per la successiva posa in opera del solaio - così da doversi escludere ogni ricorrenza del cosiddetto rischio interferenziale, direttamente rimesso alla tutela del CSE.

 

Secondo il legale difensore, i giudici di merito avrebbero errato per avere omesso di confrontarsi con i contenuti del PSC da lui redatto, nell'ambito del quale il ricorrente avrebbe compiutamente provveduto a descrivere l'opera da realizzare, indicando i rischi di fase, le procedure operative, le misure preventive e protettive, nonché i dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori occupati in cantiere.

In tal maniera, pertanto, il CSE avrebbe pienamente adempiuto ai compiti rimessigli dalla posizione di garanzia ricoperta, che non prevedeva nessun costante controllo delle attività lavorative espletate da parte dei dipendenti, invece rimesse alla competenza di altre figure professionali (datore di lavoro, dirigente, preposto).


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Con il secondo motivo, il CSE ricorrente aveva dedotto erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, e 589 c.p., lamentando l'insussistenza della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, ossia della cosiddetta concretizzazione del rischio. Secondo il professionista CSE,  l'avvenuto getto di calcestruzzo attraverso l'utilizzo di una benna metallica agganciata ad una gru, al posto dell'uso di un'autopompa, come invece previsto dal PSC da lui redatto, avrebbe rappresentato una condotta del tutto estemporanea e imprevedibile, non comunicata al CSE durante l'esecuzione del lavoro, e perciò del tutto estranea dai compiti di "alta vigilanza" a lui rimessi, con conseguente esonero da ogni sua responsabilità.

 

Con il terzo motivo, infine, il CSE ricorrente ha eccepito erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, e 589 c.p. oltre a contraddittorietà della motivazione, lamentando l'insussistenza del ritenuto nesso causale tra la condotta a lui ascrivibile e la verificazione dell'evento dannoso, e, quindi, della causalità della colpa. Il tragico evento, infatti, sarebbe eziologicamente imputabile, in via esclusiva, alla condotta abnorme e imprevedibile perpetrata da parte della vittima che, consapevolmente violando le prescrizioni imposte dal PSC e dal POS, avrebbe del tutto inopinatamente deciso di porsi al di sotto della struttura poi crollata.

 

Preso atto del ricorso la Suprema Corte ha deciso per il rigetto dello stesso con una serie di motivazioni.

 

In primo luogo, ha ritenuto non fondato il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente ha diffusamente lamentato l'insussistenza di ogni sua violazione delle regole cautelari su di lui gravanti nella ricoperta posizione di CSP e di CSE, in particolar modo escludendo, con riferimento a tale ultima qualifica soggettiva, che vi fosse stato alcun contatto rischioso tra lavoratori appartenenti a diverse imprese e che, dunque, vi fosse stata la ricorrenza di un rischio interferenziale. Nel suo PSC, del resto, aveva provveduto a adempiere a tutti i compiti specifici rimessigli nella posizione di garanzia ricoperta.

Secondo la Cassazione Penale, la citata censura è del tutto priva di fondamento ove si faccia riferimento alla logica e congrua motivazione con cui la Corte territoriale ha esplicato gli specifici motivi di configurazione della penale responsabilità dell'imputato.

Tale responsabilità è da ascriversi al professionista per le sole qualifiche soggettive di CSP e CSE, e non già per quella di direttore dei lavori, per la violazione degli artt. 91 e 92 del D. Lgs. n. 81/2008.

 

La Corte di merito, in particolare, ha ben spiegato che al CSP spetti la redazione del PSC e al CSE il compito di controllare l'applicazione di questo svolgendo una funzione di "alta vigilanza", con procedure riguardanti momenti topici delle lavorazioni.

Quindi, tenendo conto di tali previsioni normative, appare del tutto logica, oltre che tecnicamente corretta, la motivazione con cui i giudici di merito hanno ascritto all'imputato, l'intervenuta violazione delle norme degli artt. 91 come CSP e 92 come CSE, del D.Lgs. n. 81/2008, espressamente evidenziando come il professionista, in ossequio alle evidenze probatorie emerse:

  • nel ruolo di CSP, non avesse analizzato la specifica fase di lavoro relativa alla costruzione dei muri perimetrali in calcestruzzo armato e non avesse indicato le relative procedure esecutive, oltre che i nominativi delle imprese (n.d.r: intese solo come distinzione tra affidataria ed esecutrici) tenute a predisporre gli apprestamenti, le attrezzature, le infrastrutture, i mezzi e servizi di protezione collettiva;
  • nel ruolo di CSE, non avesse verificato con opportune azioni di coordinamento e controllo l'applicazione da parte delle imprese esecutrici delle misure di prevenzione contenute, seppure genericamente, nel PSC e nel POS, e non avesse aggiornato il PSC in relazione ai lavori di costruzione del muro perimetrale in cemento armato e della trave a sbalzo anch'essa in cemento armato, altresì omettendo di verificare sia l'idoneità dei POS delle due imprese che l'applicazione dei criteri di costruzione delle opere provvisionali ivi comprese.

 

Diversamente da quanto ritenuto dall'imputato, poi, la Corte di appello ha anche configurato la sua responsabilità penale in ragione dell'omessa sua adozione, nella ricoperta posizione di CSE, di un'adeguata tutela dal rischio interferenziale, del tutto sussistente nel caso di specie. Infatti, è risultato giudizialmente comprovato che, al momento dell’evento, vi fosse la contemporanea presenza nel cantiere di operai dipendenti sia dell’impresa affidataria che dell’impresa esecutrice e quindi di lavoratori appartenenti a diverse imprese posti in contatto rischioso tra loro. Secondo la Corte d’appello, tale situazione, avrebbe richiesto al CSE l’adozione di una serie cautele per gestire la contemporanea presenza delle due imprese che, nel caso di specie, sono risultate del tutto omesse. La circostanza, poi, dedotta dalla difesa, per cui nella specie non vi sarebbe stata la ricorrenza di nessun rischio interferenziale, per il fatto che tutti gli operai presenti stessero contemporaneamente lavorando, con identiche mansioni e competenze, alla realizzazione di una stessa opera, è circostanza di fatto solo eccepita da parte del ricorrente, ma non confortata da adeguati riscontri di natura obiettiva, perciò risultando palesemente inidonea a sindacare la conclusione di merito resa da parte della Corte di appello.

 

Allo stesso modo non fondato è il secondo motivo di ricorso, con cui professionista ha lamentato l'insussistenza del requisito della prevedibilità e dell'evitabilità dell'evento dannoso, assumendo che il versamento del getto di calcestruzzo mediante una benna metallica agganciata ad una gru, in luogo dell'autopompa prevista nel PSC, avrebbe rappresentato una scelta estemporanea e non comunicata al CSE e, in quanto tale, estranea ai suoi specifici compiti di "alta vigilanza". Secondo al Suprema Corte, il motivo eccepito ha un contenuto palesemente generico e assertivo, non avendo, in particolare, spiegato le ragioni di natura tecnica per cui l'utilizzo della benna metallica agganciata ad una gru, invece che dell’attrezzatura di lavoro prevista, avrebbe consentito di escludere la prevedibilità dell'evento, e quindi la concretizzazione del rischio.

In ogni modo, a prescindere dalla troncante decisività dell'indicato aspetto, deve essere osservato come la Corte territoriale, al pari del primo giudice, abbia diffusamente elencato, con dettagliata chiarezza, le numerose manchevolezze imputabili al CSP/CSE che, sia in fase progettuale che in quella esecutiva, hanno eziologicamente determinato la complessiva inidoneità delle opere provvisionali presenti nel cantiere, e poi crollate, rendendo vieppiù evidenti le ragioni di riconoscimento della sua responsabilità penale.

 

Con valutazione giuridicamente corretta, infatti, la Corte di appello, come già in precedenza osservato, aveva debitamente rilevato come l'imputato:

  • nella qualità di CSP, non avesse valutato la specifica fase di lavoro in esame, né avesse esplicitato le relative procedure esecutive;
  • nella qualità di CSE, non avesse verificato e aggiornato le procedure in relazione alla costruzione del muro perimetrale e della trave a sbalzo, peraltro omettendo di verificare la specifica idoneità dei piani di sicurezza.

 

La Suprema Corte ritiene privo di rilevanza anche il terzo motivo di ricorso dove è stata contestata la sussistenza della cosiddetta causalità della colpa, e cioè del nesso causale tra la condotta ascrivibile al CSE e la verificazione dell'evento letale, a dire di questi causalmente determinato dalla sola condotta abnorme perpetrata dal lavoratore defunto che, consapevolmente violando le cautele imposte dal PSC e dal POS, si era imprevedibilmente posto al di sotto della struttura che l'aveva poi travolto.

Nel caso di specie, infatti, non è dato ravvisare nessuna condotta abnorme riferibile al lavoratore infortunato e cioè tale da escludere ogni responsabilità imputabile al prevenuto, essendo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello per cui, <<in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (Sez. 4, n. 7012 del 23/11/2022)>>.

In tema di infortuni sul lavoro, cioè, perché possa ritenersi che il comportamento negligente, imprudente e imperito del lavoratore, pur tenuto in esplicazione delle mansioni allo stesso affidate, costituisca concretizzazione di un "rischio eccentrico", con esclusione della responsabilità del garante, <<è necessario che questi abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e governo del rischio di comportamento imprudente, così che, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che al comportamento del garante (così, Sez. 4, n. 27871 del 20/03/2019)>>.

 

Ed ancora, in tema di infortuni sul lavoro, <<non integra il comportamento abnorme idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l'evento lesivo o mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest'ultimo di un'operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell'ambito del ciclo produttivo (cfr., Sez. 4, n. 7955 del 10/10/2013)>>.

 

Pertanto, secondo la Cassazione Penale, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei citati principi, avendo adeguatamente ritenuto che la condotta perpetrata da parte della vittima non potesse assumere quella valenza di imprevedibilità ed abnormità tale da interrompere il nesso di causa esistente tra la condotta colposa dell'imputato e la verificazione del letale evento. Ed infatti, pur non essendo indubbio, per i giudici di appello, che il comportamento del lavoratore infortunato fosse stato particolarmente imprudente, essendosi scientemente posto in una situazione di pericolo, recandosi al di sotto della cassaforma, in quanto ivi attratto da taluni scricchioli sentiti, è stato, tuttavia, adeguatamente osservato come, nella specie, il lavoratore avesse assunto una condotta conforme al ricoperto ruolo di preposto, conseguentemente non attivando nessun contegno eccentrico rispetto alle mansioni da lui concretamente svolte.

Per come logicamente ritenuto dai giudici di merito, inoltre, comunque trattavasi di un comportamento non esorbitante dalla sfera di rischio governata dalla posizione di garanzia gravante sull'imputato, ed invece da costui non disciplinata, ben potendo rappresentare il crollo di una trave in costruzione un rischio rientrante nelle proprie competenze di CSP e CSE.

 


Carmelo Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione



 

Corte di Cassazione Sezione IV penale - Sentenza n. 29323 del 19 luglio 2024 (u. p. 26 marzo 2024) -  Pres. Di Salvo  – Est. D’Andrea – Ric. omissis.  - Il crollo di una trave in costruzione può ben rappresentare un rischio la cui gestione è di competenza del coordinatore per la sicurezza durante la progettazione e l'esecuzione dei lavori rientrando lo stesso nella sfera di rischio da lui governata.




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