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Gli infortuni con le presse e il datore di lavoro di fatto

Gli infortuni con le presse e il datore di lavoro di fatto
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Sentenze commentate

06/12/2017

La Corte di Cassazione in relazione a un infortunio con una pressa si sofferma sulla posizione datoriale assunta di fatto. La posizione di garanzia grava anche su colui che esercita in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro.

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Roma, 6 Dic – È evidente quanto sia delicato, specialmente in presenza di eventi infortunistici più o meno gravi, individuare le posizioni di garanzia in materia di sicurezza e salute e, dunque, gli obblighi e le responsabilità per gli infortuni avvenuti. Un’individuazione che non è semplice e che, come raccontato nell’articolo di PuntoSicuro “ Le logiche dell’effettività per individuare le posizioni di garanzia”, vede spesso prevalere il canone di effettività, quel criterio che “modula la distribuzione del carico obbligatorio” sulla “concreta e reale assegnazione di compiti in materia a ciascuno dei soggetti coinvolti”.

Ricordiamo che sul tema del principio di effettività abbiamo pubblicato in passato anche diversi contributi dell’avvocato Rolando Dubini, ad esempio con riferimento all’articolo “ D.Lgs. 81/2008: il datore di lavoro e il principio di effettività”.

 

E sono poi moltissime le sentenze della Cassazione che PuntoSicuro ha presentato in questi anni sul tema della individuazione del cosiddetto “datore di fatto”. Ne ricordiamo brevemente alcune:

- Sentenza n. 46437 del 11 novembre 2014 sull’individuazione dei destinatari degli obblighi imposti dalle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro che deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle funzioni in concreto esercitate che prevalgono sulle funzioni formali;

- Sentenza n. 36878 del 22 settembre 2009 sulla posizione di garanzia del datore di lavoro e sulla figura di datore di lavoro di fatto.

 

Sul tema si sofferma anche una recente sentenza, la sentenza n. 48940 del 25 ottobre 2017, che affronta il ricorso relativo ad un infortunio con la pressa – un tema più volte affrontato dal nostro giornale nella rubrica “ Imparare dagli errori” – e alla posizione datoriale di fatto. Una sentenza che, come vedremo, sottolinea ancora una volta che la posizione di garanzia “grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale”.

 

Nella sentenza la Corte di Cassazione ricorda che la Corte di appello di Brescia ha “parzialmente riformato la pronuncia emessa nei confronti di C.M. dal Tribunale di Bergamo” con la quale il C.M. era stato giudicato “responsabile del reato di cui all'art. 590, co. 1 e 3 cod. pen. e del reato di cui all'art. 87, co. 2 lett. b) d.lgs. n. 81/2008 e condannato alla pena ritenuta equa, nonché al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore della parte civile A.I.”. La Corte di Appello ha dichiarato “non doversi procedere in merito alla contravvenzione perché estinta per prescrizione ed ha ridotto correlativamente la pena inflitta dal primo giudice, concedendo altresì la sospensione condizionale della pena”.

 

Riguardo all’infortunio patito da A.I. il 20 febbraio 2010, “secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito, in quel giorno l'A.I. stava lavorando ad una macchina sita all'interno del capannone” della ditta individuale XXX di C.M. quando “la sua mano sinistra veniva schiacciata dal punzone in discesa della pressa; nell'occorso il lavoratore subiva un trauma da pressoustione a tre dita, dal quale derivava una malattia guarita in un tempo superiore a quaranta giorni”. Il Tribunale “identificava nell'imputato il datore di lavoro di questa, così superando la diversa tesi difensiva, ed escludeva che il lavoratore avesse tenuto una condotta abnorme, tale da interrompere la relazione causale tra l'evento e la ritenuta violazione da parte del datore di lavoro della prescrizione prevenzionistica oggetto di contestazione”.

 

Avverso a tale decisione ricorre per cassazione l'imputato che con un primo motivodeduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza in capo all'imputato della qualità di datore di lavoro”. Dalla documentazione versata in atti “emerge che il lavoratore era alle dipendenze dell'impresa individuale Map di I.M.. Ciò nonostante la Corte di Appello ha asserito che al momento dell'infortunio il lavoratore stava operando su una pressa che apparteneva al C.M. all'interno del capannone ove operava l'impresa di questi. Sicché il C.M., a prescindere dall'esistenza o meno di un regolare rapporto di lavoro subordinato, aveva il dovere di mettere a disposizione di coloro che lavoravano all'interno della sua azienda delle macchine sicure. Quindi la Corte di Appello, in mancanza della qualità di datore di lavoro, ha applicato l'art. 70, co. 2 d.lgs. n. 81/2008, in relazione al punto 5.6.1. dell'all. V, con indebita estensione analogica del precetto, che si rivolge al solo datore di lavoro”. Ad avviso del ricorrente la sentenza “è contraddittoria perché da un canto asserisce che non trova riscontro in atti la tesi della dipendenza dell'infortunato dall'impresa del fratello e dall'altro ritiene di dover prescindere dal dato formale della relazione di collaborazione lavorativa della vittima con il proprio fratello”. Inoltre con un secondo motivo il ricorrente lamenta “che la Corte di Appello abbia utilizzato una perizia disposta ai sensi dell'art. 360 cod. proc. pen. ma senza che di essa sia stato dato il prescritto avviso all'indagato”.

 

Veniamo a quanto indicato dalla Corte di Cassazione che sottolinea, innanzitutto, che “occorre prendere le mosse dal rammentare che i motivi che svolgono censure che reiterano quelle già proposte ai giudici di merito e che non prendono in considerazione quanto dai medesimi argomentato in replica critica, persistendo in una prospettazione già superata senza cogliere quanto in essa vi è di viziato, condannano il ricorso, fondato sul vizio motivazionale, perché in definitiva aspecifico, nel senso di non correlato alla trama della motivazione impugnata (cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849)”.

 

In particolare il tema della qualità di datore di lavoro del C.M. “è stato risolto dalla Corte di Appello senza negare che dalla documentazione versata in atti dalla difesa emergeva il rapporto di collaborazione esistente tra il lavoratore infortunato ed il fratello. Ma il collegio distrettuale ha ritenuto che tale documentazione celasse il dato reale, emergendo per converso che al momento dell'infortunio:

- A.I. stava lavorando all'interno del capannone della impresa del C.M., operando su una pressa nella proprietà del medesimo;

- che l'infortunato aveva dichiarato in sede di indagini che da due anni lavorava irregolarmente per la ditta dell'imputato, al pari del fratello;

- che non era stata prodotta documentazione che attestasse la effettività e l'oggetto dei rapporti tra l'impresa del C.M. e quella di I.M.”.

E, dunque, la Corte di Appello ha “ritenuto che effettivo datore di lavoro dell'infortunato fosse proprio il C.M.. Il ricorrente non ha opinato la manifesta illogicità di tale motivazione o la sua contraddittorietà rispetto agli elementi di prova; ha solo prospettato - del tutto infondatamente alla luce di quanto appena rammentato - che la Corte di Appello abbia contraddittoriamente ritenuto di dover prescindere dal dato formale proprio mentre ne negava l'esistenza”.

E se il dato della posizione datoriale assunta in fatto dal C.M. non è superata dal ricorso, “appare evidente che non è rinvenibile alcuna violazione di legge per aver posto a carico dell'imputato una violazione prevenzionistica che si indirizzerebbe tipicamente al datore di lavoro”.

E si ricorda che già prima che l'art. 299 d.lgs. n. 81/2008 positivizzasse la rilevanza della assunzione di fatto di funzioni tipiche della posizione datoriale “la giurisprudenza di legittimità ha puntualizzato che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro (e, similmente, del dirigente o del preposto) (Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017 - dep. 09/05/2017, Minguzzi, Rv. 269973)”. E “si è affermato che la posizione di garanzia grava anche su colui che, non essendone formalmente investito, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti al datore di lavoro e ad altri garanti ivi indicati, sicché l'individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez. 4, n. 18090 del 12/01/2017 - dep. 10/04/2017, Amadessi e altro, Rv. 269803)”.

Partendo da questi assunti, continua la Cassazione, la motivazione impugnata “trova conforto nei principi posti da questa Corte”.

 

E in definitiva la Corte, che - come giustificato nella sentenza - ritiene manifestamente infondato anche il secondo motivo del ricorrente, dichiara “inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”.

 

 

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica la sentenza da cui è tratto l’articolo:

Cassazione Penale Sez. IV – Sentenza 25 ottobre 2017, n. 48940 - Infortunio con la pressa: posizione datoriale di fatto



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