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Entro quanto tempo il neoassunto deve essere formato sulla sicurezza
In una fase come quella attuale nella quale i professionisti della prevenzione e le aziende sono impegnati nell’assimilazione dei contenuti del nuovo Accordo Stato-Regioni 17 aprile 2025 e, quindi, nell’attuazione degli stessi, mi capita spesso di sentirmi chiedere se vi sia un tempo che viene concesso ai datori di lavoro e ai dirigenti per la formazione di un lavoratore neoassunto.
In tali occasioni, mi vengono rappresentate tutte le difficoltà pratiche che le aziende incontrano, soprattutto a fronte di un intenso turnover di personale, nel garantire l’adempimento tempestivo dell’obbligo di formazione dei lavoratori neoassunti.
In risposta a tale quesito, va anzitutto premesso che tale dubbio sorge negli operatori del settore in quanto l’ormai abrogato Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011 aveva previsto, a suo tempo, che, “al fine di consentire la piena ed effettiva attuazione degli obblighi di cui al presente accordo, unicamente in sede di prima applicazione, i datori di lavoro sono tenuti ad avviare i dirigenti e i preposti a corsi di formazione di contenuto rispettivamente coerente con le disposizioni di cui al presente accordo in modo che i medesimi corsi vengano conclusi entro e non oltre il termine di 18 mesi dalla pubblicazione del presente accordo. Il personale di nuova assunzione deve essere avviato ai rispettivi corsi di formazione anteriormente o, se ciò non risulta possibile, contestualmente all’assunzione. In tale ultima ipotesi, ove non risulti possibile completare il corso di formazione prima della adibizione del dirigente, del preposto o del lavoratore alle proprie attività, il relativo percorso formativo deve essere completato entro e non oltre 60 giorni dalla assunzione” (punto 10 dell’Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011, “Disposizioni transitorie”).
Come era già stato rilevato allora, l’ultima disposizione su riportata, che concedeva - alle condizioni indicate dalla norma - un lasso di tempo di sessanta giorni a partire dall’assunzione per la conclusione dei percorsi formativi rivolti al personale di nuova assunzione, quale periodo in cui era concesso di adibire il lavoratore ancora non formato in materia di sicurezza alla mansione lavorativa, era illegittima in quanto contraria alla norma primaria contenuta nel D.Lgs.81/08 atta a regolamentare tale materia.
L’art.37 c.4 del D.Lgs.81/08, infatti, prevede - sin dall’emanazione di tale decreto nel 2008 - che “la formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devono avvenire in occasione:
a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
b) del trasferimento o cambiamento di mansioni;
c) della introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e miscele pericolose.”
In applicazione del criterio gerarchico di coordinamento delle fonti giuridiche su richiamato, un Accordo Stato-Regioni non può modificare una norma primaria - contenente un obbligo penalmente sanzionato - quale è l’art.37 del decreto legislativo 81/08, di cui il primo è peraltro applicazione (si veda, su questo, il precedente contributo “ La gerarchia delle fonti nel quadro delle norme di salute e sicurezza sul lavoro”, pubblicato su Puntosicuro del 19 giugno 2014 n. 3340).
A ciò si aggiunga, inoltre, che la previsione del termine dei sessanta giorni prevista dal precedente Accordo Stato-Regioni 21 dicembre 2011, ormai formalmente abrogato, non è stata in ogni caso rinnovata dal nuovo Accordo 17 aprile 2025, il quale, viceversa, ha esplicitamente richiamato - riaffermandola - la norma primaria su riportata, precisando, nel punto dedicato alla formazione specifica, che “con riferimento alla lettera b) del comma 1 e al comma 3 dell’articolo 37 del D.lgs.n.81/08, la formazione deve avvenire nelle occasioni di cui alle lettere a), b) e c) del comma 4 del medesimo articolo” (per approfondimenti, si veda il recente contributo “ Nuovo Accordo 17 aprile 2025: la formazione specifica del lavoratore”, pubblicato su Puntosicuro del 5 giugno 2025 n.5863).
Del resto, in nessun caso un lavoratore che non abbia ricevuto la formazione specifica - oltre a quella generale - potrebbe essere munito di reali strumenti per poter adempiere agli obblighi che l’art.20 del D.Lgs.81/08 gli attribuisce, dal momento che, come precisato dall’Accordo Stato-Regioni 17 aprile 2025, “la formazione specifica deve essere riferita ai rischi individuati sulla base della valutazione del rischio e, quindi, mirare ai rischi specifici dell’attività, incentrandosi sui pericoli e rischi insiti nelle mansioni specifiche e sulle relative conseguenze da prevenire nonché sull’individuazione e la conoscenza delle misure di sicurezza da adottare nello svolgimento delle proprie mansioni e di contesto lavorativo.”
Sulla base della medesima ratio volta alla tutela effettiva del lavoratore, peraltro, la Cassazione ha più volte precisato che “le norme sulla formazione e informazione dei lavoratori si applicano anche nell’ipotesi di assenza di un formale contratto di assunzione: “In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le norme, di cui al d.lgs.9 aprile 2008, n.81, che presuppongono necessariamente l’esistenza di un rapporto di lavoro, come quelle concernenti l’informazione e la formazione dei lavoratori, si applicano anche in caso di insussistenza di un formale contratto di assunzione. (Fattispecie in tema di lesioni personali gravissime riportate sul luogo di lavoro da un lavoratore, stabilmente incardinato tra i lavoratori dell’azienda, ma privo di formale contratto di lavoro subordinato)” (Sez.4-, Sentenza n.38623 del 05/10/2021 Ud., dep.28/10/2021, Rv.282102-01). ( Cassazione Penale, Sez.III, 12 maggio 2022 n.18839).
Tutto quanto detto significa che, nonostante ciò possa richiedere un notevole sforzo in termini di pianificazione, l’azienda dovrà organizzare la formazione in materia di salute e sicurezza tenendo conto del principio per cui nessun lavoratore può essere esposto - anche temporaneamente - ad una mansione lavorativa senza aver ricevuto la relativa formazione in materia di salute e sicurezza (così come senza aver ricevuto il relativo addestramento e la relativa sorveglianza sanitaria, ove previsti).
Ciò vale anche, ai sensi dell’art.37 c.4 del D.Lgs.81/08, per i lavoratori somministrati, i quali, sulla base di questa disposizione, devono ricevere la formazione in materia di salute e sicurezza “in occasione […] dell’inizio dell’utilizzazione” e, in nessun caso, in un momento successivo.
Sia che si tratti di lavoratori neoassunti che di lavoratori somministrati, di conseguenza, il principio per cui tali soggetti devono ricevere la formazione sulla sicurezza rispettivamente alla costituzione del rapporto di lavoro o all’inizio della somministrazione non può essere derogato neanche attraverso l’erogazione da parte del datore di lavoro, ad esempio, della formazione specifica prima dell’adibizione alla mansione del lavoratore e, successivamente, di quella generale (o addirittura viceversa).
In sostanza, nessun lavoratore può essere adibito alla mansione senza aver ricevuto sia la formazione generale, atta a trasmettergli conoscenze e consapevolezza in merito al sistema di prevenzione e agli obblighi dei soggetti ad esso appartenenti, sia quella specifica, attraverso la quale egli potrà acquisire le conoscenze e le competenze necessarie in relazione ai rischi specifici e alle relative misure di prevenzione e protezione.
Una interessante sentenza dell’anno scorso ( Cassazione Penale, Sez.IV, 13 febbraio 2024 n.6301) ha applicato questo principio ad un caso in cui una datrice di lavoro aveva causato un infortunio ad un lavoratore somministrato avendogli erogato la formazione generale nei tempi previsti dalla legge (ovvero prima dell’utilizzazione) ma avendo rimandato a un momento successivo l’erogazione a tale soggetto di quella specifica.
In particolare, era accaduto che “B., assunto come lavoratore interinale da circa un mese con mansioni di letturista (addetto alla lettura dei contatori), fin dall’inizio del rapporto e così pure il giorno dell’infortunio, era in affiancamento al lavoratore più anziano C., assunto due anni prima: i due operavano nel senso che B. doveva calarsi all’interno del tombino per effettuare la lettura del contatore, dopo che il collega C. avesse provveduto a sollevare e mettere in sicurezza il chiusino con le leve in dotazione.”
Il giorno dell’infortunio, “al termine della giornata di lavoro, avendo notato che su una via era stata rimossa una impalcatura presente nei giorni precedenti, avevano deciso di verificare la lettura di un tombino ivi presente; C. aveva sollevato il chiusino con un attrezzo a sua disposizione ad un palmo da terra, quando il tombino gli era scivolato: B., che si trovava di fronte a lui inginocchiato, aveva improvvisamente allungato le mani nel tentativo di afferrarlo e era rimasto con il dito schiacciato dal tombino in caduta”.
Così, “a seguito dell’infortunio, B. aveva riportato lesioni personali gravi costituite da “trauma schiacciamento terzo dito mano sinistra con amputazione della falange distale” risultate guaribili in più di 40 giorni e con indebolimento permanente dell’organo della prensione.”
All’imputata, quale datrice di lavoro, “sono stati contestati, quali addebiti di colpa, la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia e violazione dell’art.2087 cod.civ. e della normativa di prevenzione infortuni sul lavoro ed in specie dell’art.37 del D.Lgs.9 aprile 2008 n.81, per non aver fornito al lavoratore una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza.”
In particolare, il lavoratore B. “era stato impiegato nella mansione di letturista, pur avendo svolto solo un corso generale sulla sicurezza di appena quattro ore e non anche il corso specifico, in cui avrebbe dovuto ricevere specifiche istruzioni collegate a tali mansioni, previsto solo per le settimane successive.”
Il Tribunale e la Corte d’Appello “hanno considerato irrilevante il fatto che […] egli fosse stato appunto affiancato a tale collega, osservando che l’adempimento dell’obbligo di formazione e informazione non è surrogabile dal travaso di conoscenze dai colleghi più esperti e che, appunto, B. non aveva ricevuto formazione specifica sui rischi connessi alla mansione, né gli era stato consegnato il manuale.”
Sulla base della ricostruzione a posteriori del nesso di causalità, “laddove l’obbligo formativo fosse stato assolto - ha proseguito la Corte - a B. in maniera formale sarebbe stata impartita la direttiva di tenersi ad adeguata distanza dalle operazioni di apertura del “chiusino”, in modo da non esporsi ai pericoli derivanti dal tipo di operazione effettuata, e ciò sarebbe valso ad evitare l’evento.”
Quanto all’affiancamento al lavoratore più anziano, la Cassazione, dopo aver ricordato la distinzione tra le definizioni di “formazione”, “informazione” e “addestramento” previste dall’art.2 del D.Lgs.81/08, ha ribadito che “non può ritenersi adeguata una formazione, in tema di sicurezza, affidata alla mera trasmissione verbale o gestuale da parte di un soggetto dotato di superiore esperienza empirica sul campo giacché questa, sebbene a sua volta importante, non può sostituire ex sé quel bagaglio di conoscenze ed acquisizioni tecniche, di cui un formatore qualificato per la sicurezza deve essere dotato”.
Quanto alle ricadute di tutto quanto detto finora, esse coinvolgono sia l’ambito penalistico che civilistico.
Sotto il primo profilo, occorre tenere in considerazione che “la violazione degli obblighi inerenti la formazione e l’informazione dei lavoratori integra un reato permanente, in quanto il pericolo per l’incolumità dei lavoratori permane nel tempo e l’obbligo in capo al datore di lavoro continua nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo fino al momento della concreta formazione impartita o della cessazione del rapporto (cfr. in tal senso Sez.3, n.26271 del 7/5/2019, Roscio, Rv.276043)”. (Cassazione Penale, Sez.IV, 1° ottobre 2020 n.27242).
In tal senso “gli obblighi inerenti l’informazione e la formazione del lavoratore sono da ritenersi di durata poiché il pericolo per l’incolumità del lavoratore permane nel tempo, e continua in capo al datore di lavoro l’obbligo all’informazione e alla corretta formazione”; ciò tenendo anche in considerazione il fatto che “l’obbligo di formazione del resto non è limitato solo al momento dell’assunzione ma perdura nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro; la cessazione della permanenza conseguentemente si verifica o alla concreta formazione o all’interruzione del rapporto di lavoro (eliminazione concreta del rischio)” ( Cassazione Penale, Sez.III, 14 giugno 2019 n.26271).
Di conseguenza, non aver erogato la formazione entro i tempi previsti dall’art.37 c.4 D.Lgs.81/08 espone il datore di lavoro o il dirigente ad una responsabilità penale (in via contravvenzionale o per reati di evento) a fronte della commissione di un reato - ovvero la mancata formazione - che “perdura” e continua ad esplicare effetti giuridici fino a quando tale formazione, generale o specifica che sia, non viene concretamente erogata e conclusa.
Sotto il profilo civilistico, poi, è utile ricordare che, anche se spesso lo si dimentica, la formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro non è solo un obbligo del datore di lavoro, quale soggetto tenuto ad è erogarla, ma è anche un diritto soggettivo del lavoratore nell’esserne destinatario; una circostanza, questa, che emerge e viene messa in luce tutte le volte in cui essa non viene erogata a fronte di un cambio di azienda, di mansione o di ruolo che espone il lavoratore a scenari e rischi per lui nuovi che senza la formazione non è “attrezzato” ad affrontare.
Come nel caso trattato da Cassazione Civile, Sez.Lav., 31 gennaio 2012 n.1401, in cui la Suprema Corte, rigettando il ricorso dell’azienda, ha “valutato che il comportamento dello N. [lavoratore, n.d.r.] di rifiuto di mutare postazione di lavoro fosse giustificato, ai sensi dell’art.1460 c.c., dal mancato adempimento della società alla sua richiesta di specifica formazione e informazione relativamente ai rischi temuti e connessi alla nuova attività e al nuovo posto di lavoro.”
E, nello specifico, “risulta peraltro dalla sentenza [di appello, n.d.r.] che il lavoratore ha appunto richiesto informazioni e formazione, unica misura in grado di sollecitare, non conoscendo perfettamente l’assetto produttivo del nuovo reparto”.
Anna Guardavilla
Dottore in Giurisprudenza specializzata nelle tematiche normative e giurisprudenziali relative alla salute e sicurezza sul lavoro
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| Rispondi Autore: Sergio Colomberotto - RSPP | 23/10/2025 (09:10:41) |
| Ringrazio la dott.sa Guardavilla per la sua illustrazione puntuale e documentata sulla questione della formazione di lavoratori, preposti e dirigenti. Il principio che la formazione venga somministrata prima della messa in servizio è assolutamente logico. Il problema è di natura pratica. Come fanno le aziende a rispettare questo obbligo con un monte ore obbligatorio cospicuo e quando assumono pochi lavoratori per volta? Piuttosto che lavoratori in prova o per sostituzioni temporanee? Come per altre norme condivisibili sul piano del principio si presenta un problema di applicabilità concreta nell'attuale contesto lavorativo che vanifica l'obiettivo perseguito ed espone datori di lavoro e lavoratori alle conseguenze negative ben descritte dall'articolo. | |
| Rispondi Autore: Anna Guardavilla | 23/10/2025 (09:37:29) |
| Buongiorno Dott. Colomberotto, quella che lei sottolinea è una criticità reale. Vorrei però porre la questione da un'altra angolatura. L'assunzione di un lavoratore, così come l'utilizzo (brutto termine, ma purtroppo è quello usato dal legislatore) di un lavoratore somministrato, comporta delle conseguenze sia sul piano strettamente civilistico-giuslavoristico che su quello del diritto penale del lavoro (principalmente: gli obblighi previsti dal D.Lgs.81/08). Questi ultimi sono obblighi noti, conosciuti, "stabili" direi sotto il profilo normativo e, come tali, elementi che dovrebbero essere considerati ex ante in fase di pianificazione da parte dell'azienda. I due aspetti (giuslavoristico e penalistico) devono essere considerati insieme nella pianificazione delle assunzioni e negli avvalimenti dei lavoratori somministrati. Non è tollerabile che nel 2025 si pianifichino le assunzioni tenendo conto solo degli aspetti giuslavoristici e poi, in un secondo tempo, su indicazione magari dell'RSPP, ci si renda conto che esistono obblighi di formazione e addestramento che erano sempre stati noti. Analogamente accade in materia di appalti e contratti d'opera. Per la mia esperienza, spesso gli RSPP - o comunque gli operatori della prevenzione - si trovano ad "ereditare" problematiche che in realtà nascono da un utilizzo non pienamente consapevole - ad opera dell'azienda nel suo complesso - degli strumenti contrattuali. Per "utilizzo non pienamente consapevole" intendo un uso degli strumenti contrattuali (contratti di lavoro subordinato, di somministrazione di lavoro e, in altri casi, di appalto o contratto d'opera) che non tiene conto delle implicazioni legate al diritto penale della sicurezza sul lavoro (gli obblighi del D.Lgs.81/08). Le due metà della mela (implicazioni civilistiche e penalistiche) devono essere tenute insieme nella scelta dei tempi e dei modi di utilizzo dei contratti. Cordialmente, Anna Guardavilla | |
| Rispondi Autore: Giovanni Bersani | 23/10/2025 (11:59:09) |
| E' un problema annoso. L'idea è chiara: chi di noi metterebbe qualcun altro a fare un'attività (di qualsiasi tipo: da un operaio in azienda/cantiere, a un familiare per un gran fuoco in montagna, o anche solo cambiare una lampadina, a un amico a montare un tendone per un evento della sagra del formaggio, a un'altra persona per tagliare gli arbusti con decespugliatore ecc. ecc.) ...chi di noi lo farebbe SENZA avere chiaro che quella persona E' IN GRADO di farla e di farla senza farsi male, cioè "in sicurezza"? Faremmo nella ns 'buona testa' le valutazioni del caso: quella cosa l'ha già fatta -e bene- altre volte? Quanto male potrebbe farsi? Gli ho spiegato, io o qualcun altro di cui mi fido, come si fa? Ecc. Faremmo una specie di ns valutazione R=PxD (che ahimè non è mai zero). La formazione obbligatoria, con eventuale addestramento per taluni macchinari ecc., per questioni FORMALI non consente di ipotizzare diversamente, quella è l'unica formale garanzia che "il minimo" sia stato fatto. Anche se talvolta potrebbe non servire per niente (es. qui sopra: nella formazione gli avrebbero davvero detto di stare lontano dal chiusino? Chissà...ma non possiamo escluderlo...). Per non parlare di tutto il settore impiegatizio, dove il grosso dei rischi è per la SALUTE più che per la sicurezza (che comunque non va esclusa) ed è quindi di lunga gittata e quindi la formazione è vista facilmente come una cosa che si può fare quando si riesce... L'operaio con esperienza ma ahimé senza attestato? Idem: il lavoro lo sa fare e quindi lo faccio lavorare, e appena potrò gli faccio fare la formazione (così accade spesso, speriamo sempre meno). Sono tutti problemi reali, di difficile soluzione per molte realtà aziendali, l'unica è sperare che sempre più persone siano formate -con attestati- alla mansione, poi ogni azienda provvede agli aspetti specifici propri con affiancamento, piccole sessioni ecc. | |
| Rispondi Autore: FILIPPO FINOCCHIARO | 23/10/2025 (13:14:56) |
| Come si pensa di poter coniugare il fatto che; la norma prevede la immediata formazione al momento dell'assunzione, la collaborazione con gli enti paritetici richiede una tempistica nel migliore dei casi di almeno 15 giorni, nelle more il datore di lavoro cosa dovrebbe fare ? | |
| Rispondi Autore: Lino Emilio Ceruti | 23/10/2025 (15:40:47) |
| Nulla da eccepire sull’intervento della dott.ssa Guardavilla, che ha illustrato con precisione quanto previsto dalla normativa vigente. Tuttavia, le criticità evidenziate dal dott. Colomberotto appaiono, a mio avviso, concretamente fondate e tali da generare significative difficoltà organizzative per i Datori di Lavoro, soprattutto nel settore edile, dove la programmazione delle assunzioni risulta tutt’altro che agevole. Le cause di tali criticità sono molteplici. La disponibilità di manodopera qualificata non è sempre immediata né prevedibile: spesso si tratta di opportunità casuali. Esiste la possibilità di ricorrere alla somministrazione, ma, per esperienza diretta come consulente esterno, posso affermare che in quelle circostanze tale soluzione non ha prodotto risultati soddisfacenti. Rimane poi la ricerca di personale nei cosiddetti “luoghi di nicchia”, che però non corrispondono più ai tradizionali punti di aggregazione informale. Dopo l’introduzione della normativa sul Superbonus 110%, la presenza di manodopera occasionale è drasticamente scomparsa ai 4 angoli degli incroci stradali, con un conseguente aumento significativo nell’attività dei cantieri interessati. In tali contesti, il Committente o il Responsabile dei Lavori (quest’ultimo, qualora incaricato) spesso non riescono a esercitare quella vigilanza necessaria a garantire un accesso regolare e sicuro in cantiere se non in ambito Committente-Datore di Lavoro. Non si tratta, peraltro, di lavori che richiedano alta specializzazione, ma nemmeno si può parlare di qualità sufficiente, a causa di diversi fattori: - la scarsa comprensione della lingua italiana, - l’instabilità contrattuale con frequenti cambi di mansione, - un approccio al lavoro regolamentato spesso in modo molto diverso dalle abitudini dei Paesi d’origine. Tutto ciò è sotto gli occhi di chi opera nel settore e rappresenta una reale incertezza nella continuità lavorativa, a fronte di esborsi economici e di tempo anticipati dal Datore di Lavoro per adempiere agli obblighi normativi pre o all’assunzione. Detto ciò, non si può ignorare la posizione del Legislatore: anche un lavoratore esperto necessita di una informazione-formazione specifica prima di iniziare qualsiasi attività di cantiere. Informazione, formazione e addestramento non sono concetti astratti, ma strumenti concreti di prevenzione, purché siano realizzati con serietà e specificità. È come pretendere di guidare un’automobile senza patente: si espongono sé stessi e gli altri a rischi gravi, se non mortali. Tuttavia, questi elementi fondamentali – informazione, formazione, addestramento – si scontrano con: • l’urgenza operativa; • la difficoltà di erogare formazione realmente efficace in un settore come quello edile, dove solo competenze tecniche specialistiche e una solida esperienza possono contribuire a raggiungere, il più possibile, gli obiettivi del Testo Unico Sicurezza; • le barriere linguistiche e comunicative, spesso ridotte a gestualità e frustrazione che i corsi di formazione non hanno eliminato o quantomeno ridotto. E alla fine, tutto si riduce a una questione economica: • Dopo l’idoneità alla mansione rilasciata dal Medico Competente, è necessario attendere la programmazione dei corsi da parte degli Organismi autorizzati, che possono essere calendarizzati anche a distanza di mesi. Se il corso viene annullato per mancato raggiungimento del numero minimo di partecipanti, si è costretti ad attendere la sessione successiva. È, anche, comprensibile che un Organismo non possa sostenere i costi di un corso sottodimensionato, ma ciò comporta che la formazione diventi un mero adempimento formale se i discenti appartengono (per fare numero) ad ambiti completamente diversi con il rilascio di attestati che rischiano di valere solo per il valore della carta su cui sono stampati. Il Datore di Lavoro, in teoria, potrebbe erogare direttamente la formazione generale e specifica, ma è difficile immaginare un contesto in cui ciò avvenga con la dovuta competenza didattica. Per evitare tempi lunghi, dovrebbe incaricare un docente in possesso dei requisiti previsti dall’Accordo Stato-Regioni del 2013, ma con costi che graverebbero interamente su un singolo discente. Come se ne esce? Non lo so, sinceramente. So però che queste benedette informazioni, formazioni, addestramenti e attestazioni, nelle condizioni attuali, difficilmente riescono a essere strumenti realmente utili ed efficaci per chi li riceve. Non entro nel merito della verifica dell’efficacia durante l’attività lavorativa, che ritengo concettualmente valida ma vorrei, prima, attendere qualche tempo per valutarne l’effettiva applicazione e i concreti risultati. | |
| Rispondi Autore: Sara | 24/10/2025 (06:47:05) |
| Il problema è anche banalmente economico: oltre alle difficoltà pratiche ampiamente argomentate dai colleghi, la norma vuole che la formazione non comporti impegno economico al lavoratore e questo significa non solo che i costi vivi della formazione ricadono sul DDL, ma anche quelli per il tempo impiegato dal lavoratore in formazione. Tradotto, per rispettare a pieno la norma l’ideale sarebbe individuare il lavoratore, accordarsi sul fatto che lo si impiega a partire dal giorno X, organizzare la formazione nei giorni precedenti ed assumerlo quindi non dal giorno X ma dal giorno della formazione. Tutto questo, assolutamente coerente e condivisibile dal punto di vista concettuale, si scontra con quello che semplicemente definirei “mondo reale”. Vogliamo poi parlare del fatto che, in moltissimi settori, ormai assistiamo a lavoratori che definirei “escapologi”? Intendo quelli assunti, formati e poi spariti dopo qualche giorno, che non possono essere in alcun modo messi di fronte a qualche tipo di responsabilità. È correttissimo che la norma tuteli la salute e la sicurezza come diritti fondamentali dando regole e stabilendo requisiti per proteggere la “parte debole”, ma se per difendere un concetto giusto ci si imposta dimenticando come funziona la vita vera, i risultati saranno sempre deludenti. | |
| Rispondi Autore: Stefano B. | 24/10/2025 (08:36:39) |
| Imporre una normativa che non è, nella pratica, applicabile è un vizio conosciuto del legislatore italiano. Faccio una norma impossibile così dimostro di essere inflessibile e inattaccabile. La norma non sarà rispettata e, conscio del fatto che sia normale, non saranno presi provvedimenti sanzionatori se non con sporadici interventi randomici in stile Lotteria Italia. Chi viene controllato, paga. Ma attenzione, nessuno o quasi applicherà la norma impossibile, ma nel caso di infortunio grave, saremo tutti in fila a sputare sentenze e giudicare l'imprenditore assassino che dovrà pagare per le sue inadempienze e per quelle degli altri. Chi ha deciso che un lavoratore di una carpenteria si deve sparare 16 ore di formazione (SEDICI ORE DI FORMAZIONE!), non capisce nulla di formazione degli adulti, di sicurezza sul lavoro e di dinamiche del lavoro. | |
| Rispondi Autore: Claudio Pontiggia - RSPP | 27/10/2025 (11:52:51) |
| Avevo già postato un mio commento su questo aspetto non appena era stato pubblicato il nuovo Accordo sottolineando le criticità dell'abrogazione dei 60 giorni previsti dal precedente Accordo. Questa previsione, seppur transitoria e contraria al dettato di legge, mi era sempre apparsa come un compromesso doveroso, un bagno di realtà così poco frequente nella normativa italiana di settore. Le criticità ora sono evidenti e ben sottolineate dai post precedenti: garantire ad ogni neo assunto (in genere le aziende assumono una persona alla volta secondo la mia esperienza) l'esecuzione di corsi di 12 h (per rimanere alla parte specifica a rischio ALTO) calzati sulla specifica mansione aziendale non è fattibile e non solo per le PMI che rappresentano, comunque, la maggior parte delle aziende nazionali. In oltre 30 anni che faccio l'RSPP in aziende, prevalentemente lombarde, non ho mai visto eseguire un corso specifico (veramente specifico ovvero calato su DVR aziendale) al singolo assunto all’esatto momento dell’assunzione del singolo operaio. Mai… al massimo corsi con tempi più differiti e con contenuti del tutto generici (di fatto inutili… carta per la carta). Come se ne esce? Il principale scoglio, come ben sottolineava il collega del post precedente, è il monte ore esorbitante. Io proporrei un percorso formativo specifico differenziato con una parte più consistente dedicata ai rischi di settore e un numero limitato (2-3h) sui rischi di mansione/aziendali in questo caso facilmente erogabili dallo stesso RSPP all’ingresso dell’azienda. Cosa ne pensate? Sarebbe una soluzione pratica e fattibile… Parole al vento comunque perchè la prossima revisione del quadro normativo chissà quando ci sarà e tutti gli operatori del settore (noi RSPP o formatori in primis) si troveranno a giocare con queste regole (inapplicabili) per anni e anni con rischi penali, civili per le aziende e di infortuni per i lavoratori. | |
| Rispondi Autore: GIANFRANCO GIULIANO ALBO | 27/10/2025 (14:51:50) |
| Io mi domando come un magistrato possa pensare che la mancanza della formazione specifica sia concausa dell’infortunio subito dal lavoratore (tombino), quando tutti i professionisti del settore sanno benissimo che, se mando in aula un lavoratore a fare il corso specifico in un contesto fino 30 persone appartenenti a differenti settori ATECO (es. costruzioni, varie attività manufatturiere, sanità, ecc.) e inoltre con lavoratori non omogenei dal punto di vista dei rischi della propria mansione, i vari rischi vengano affrontati dal docente in modo molto accademico senza entrare in nessun dettaglio specifico in quanto non sarebbe in grado poterlo fare (figuriamoci se insegna come si chiude un tombino!). E quindi a mio avviso l’unico modo per evitare infortuni di questa natura la cosa più efficace è l’addestramento sul campo, come del resto quel lavoratore stava facendo in affiancamento con un lavoratore esperto. | |
