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Articolo 20 del D. Lgs. n. 81/2008: sui doveri e diritti dei lavoratori
Cass. Civ., Sez. Lav., n. 24562/2025
La vicenda in esame è di particolare interesse in quanto la Corte d’Appello, prima, ed i Supremi Giudici, poi, hanno fornito alcuni chiarimenti sui limiti e le modalità di esercizio, da parte dei lavoratori, dei propri diritti ed obblighi alla luce della normativa antinfortunistica ex D. Lgs. n. 81/2008. Ulteriormente, hanno anche chiarito come l’adempimento della richiamata normativa debba essere interpretato diversamente – e in maniera più rigorosa – con riferimento a determinate professioni, nello specifico quelle del settore sanitario.
Fatto
Al lavoratore, infermiere professionale presso [omissis], il datore di lavoro, con lettera di contestazione disciplinare, aveva addebitato di avere, tra l’altro, durante il proprio turno di lavoro, “procurato un ingiustificato e irragionevole allarme nei riguardi dei colleghi e dei pazienti, affermando apoditticamente e senza alcuna conoscenza scientifica al riguardo (avendo dichiarato di essersi documentato al riguardo su internet) che la infezione da batterio Acinetobacter Baumannii da cui era affetto il paziente fosse un’infezione paragonabile al COVID-19; di aver illegittimamente utilizzato, durante il servizio, il proprio telefono cellulare per effettuare un’indagine scientifica sull'Acinetobacter Baumannii; di essersi illegittimamente ed arbitrariamente rifiutato di svolgere le sue mansioni a beneficio del paziente affidatogli, che versava, peraltro, in condizioni particolarmente gravi, necessitando di somministrazione di farmaci salvavita; di aver dichiarato falsamente di non essere dotato dei dispositivi di sicurezza (mascherina e guanti) che, al contrario, sono distribuiti a tutti i dipendenti presso l'infermeria; di avere solo tardivamente manifestato disponibilità a svolgere le sue mansioni lavorative; di avere, di conseguenza e con la sua condotta ingiustificata, gravemente inadempiente ed inconsulta, cagionato un gravissimo danno di immagine alla struttura sanitaria, oltre a creare un ingiustificato ed ingiustificabile panico fra i pazienti e gli operatori dell'ambulanza che doveva prelevare il paziente per trasferirlo in altra struttura”.
Ritenute non adeguate le difese del lavoratore, fornite in risposta alla contestazione disciplinare, il datore di lavoro comminava il licenziamento.
Nel giudizio di secondo grado, la Corte d’Appello confermava la legittimità del licenziamento.
Con specifico riferimento al rifiuto del lavoratore di rendere la prestazione, condotta che ex se era atta a fondare il licenziamento, in quanto estremamente grave, soprattutto alla luce della particolare tipologia di mansioni proprie dell’infermiere (vedasi meglio infra), i Giudici di secondo grado avevano evidenziato che il lavoratore, pur affermando l'inadeguatezza dei presidi apprestati dal datore di lavoro, non aveva mai provato di aver fatto espressa richiesta di ulteriori dispositivi per poter rendere la prestazione al degente affidatogli, e che gli fossero stati negati. Aggiungeva, a tal proposito, che il lavoratore aveva obiettato che tali dispositivi erano tenuti in una stanza chiusa a chiave, ma non aveva mai offerto di provare di aver fatto richiesta anche solo verbale di usufruirne.
In altre parole, la Corte d’Appello aveva ritenuto che l’eventuale rifiuto a rendere la prestazione potesse essere legittimato unicamente dal rifiuto del datore di lavoro a fornire i dispositivi di protezione individuale, espressamente richiesti da parte del lavoratore. Nel caso di specie, non solo non era stata provata la richiesta ed il relativo rifiuto, ma era, di contro, emerso che i DPI erano a disposizione dei lavoratori nel locale infermeria.
Con riferimento all’ulteriore condotta ascritta, consistente nell’aver effettuato, il lavoratore, una ricerca su internet concernente l’agente patogeno e i relativi mezzi di prevenzione del contagio, i Giudici di secondo grado si discostavano dalle conclusioni del Tribunale, che l’aveva ritenuta lecita affermando che essa costituisse espressione di una facoltà di verifica, sottesa al dovere di “segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienza dei mezzi e dei dispositivi”, previsto dall'art. 20 D.Lgs. n. 81/2008.
Sul punto, di contro, i Giudici di secondo grado ritenevano che il dovere ex art. 20 cit., richiamato dal Tribunale, se, da un lato, deve certamente essere adempiuto dal lavoratore, che è tenuto, difatti, a segnalare la carenza dei mezzi e i dispositivi impiegati nello svolgimento della propria mansione, dall’altro, esso è funzionale al corretto svolgimento della prestazione sanitaria e non può sconfinare nel vaglio critico di aspetti (pericolo di contagio da batteri o altro e mezzi atti a prevenirli) che esulano dalle proprie competenze, soprattutto laddove le fonti di potenziale pericolo risultino note al datore di lavoro che abbia informato i lavoratori (come nel caso di specie) e abbia attuato le misure di prevenzione previste in appositi protocolli aziendali elaborati da soggetti competenti (medici) sulla base di scienza ed esperienza medica.
In sostanza, sostenevano i Giudici di secondo grado, l’adempimento dei doveri ex art. 20, D. Lgs. n. 81/2008 non consentono al lavoratore di omettere la prestazione, dovendo, invece, configurarsi come un dovere di informare il datore di lavoro ed altri soggetti (ad esempio, il RLS) di pericoli a questi non noti, affinché vengano, qualora necessario, aggiornate le misure di prevenzione e protezione.
In merito alla considerazione, operata dai Giudici di primo grado, secondo cui l’aver informato il personale dell’ambulanza del ritenuto rischio contagio non costituisse un illecito, osservava la Corte d’Appello come neanche in questo caso potesse ritenersi che il lavoratore avesse adempiuto al dovere di cui all’art. 20 cit., posto che l’informazione deve essere fornita a soggetti che rivestano ruoli di responsabilità nella materia infortunistica, poiché soli in grado, nonché responsabili, di adottare le dovute misure di prevenzione e protezione atte a tutelare i lavoratori, nonché in possesso degli strumenti finalizzati ad una corretta valutazione del rischio.
Ricorreva in Cassazione la difesa del lavoratore.
Diritto
In primis, occorre richiamare l’art. 20, D. Lgs. n. 81/2008, ai sensi del quale, per quanto in questa sede interessa rilevare:
“1. Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
2. I lavoratori devono in particolare:
a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all'adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e miscele pericolose, i mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza;
d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di cui alle lettere c) e d), nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell'ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l'obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
[…]”.
In merito al contenuto dell’art. 20 sopra richiamato, i Supremi Giudici affermano quanto segue.
“Di recente, questa Corte Suprema ha anzitutto messo in luce che: l'art. 20 cit. costituisce esplicazione del generale obbligo di diligenza posto a carico dei lavoratori dall'art. 2104 c.c. ed esigibile nei confronti dei medesimi in relazione alla natura della prestazione dovuta [e] all'interesse dell'impresa, dovendo peraltro il dipendente, ai sensi del secondo comma dell'articolo citato, osservare le disposizioni per l'esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.
Premesso che “al lavoratore non è certamente precluso […] di informarsi autonomamente, e quindi al di fuori degli obblighi ‘formativi’ sub lett. h) ed i) del comma 2 dell'art. 20 cit., su eventuali fattori di rischio presenti nel proprio contesto lavorativo in senso lato”, eppur tuttavia tale attività deve essere condotta “al di fuori del servizio e comunque senza pregiudizio delle prestazioni da lui dovute o più in generale dell'attività datoriale”.
Posto quanto precede, i Supremi Giudici evidenziano come, invero, la contestazione disciplinare, e il conseguente licenziamento, si fosse basato non sulla circostanza che il lavoratore si fosse informato, ma che tale condotta era stata posta in essere in violazione del divieto, posto dal datore di lavoro, del Regolamento di Servizio, in base al quale l’uso del telefono cellulare durante l'orario di lavoro non è consentito, se non in caso di emergenza, ovvero laddove vi sia un malfunzionamento dei sistemi telefonici interni alla struttura.
E, difatti, continuano i Supremi Giudici, “il più generale obbligo anche di ‘autotutela’ a carico del lavoratore, sancito dal comma 1 dell'art. 20 D.Lgs. n. 81/2008, è subito specificato nel senso di essere conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”, istruzioni che chiaramente possono tradursi nell’adozione di un regolamento aziendale, come nel caso di specie.
Quanto, poi, al procurato allarme, consistito nell’aver informato gli addetti all’ambulanza circa il ritenuto rischio contagio, i Supremi Giudici precisano che l’obbligo di segnalazione di cui alla lett. e), art. 20 cit. “è previsto e limitato nell'ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l'obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante per la sicurezza".
Dunque, tale obbligo di segnalazione va adempiuto specificamente nei confronti dei soggetti titolari di una posizione di garanzia, e ciò in quanto la finalità della disposizione è proprio quella di rendere questi edotti delle necessità emerse dal punto di vista antinfortunistico e che siano conseguentemente messi nelle condizioni di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Di talché, appare evidente come il diffondere notizie – peraltro prive di qualsiasi fondamento – al personale dell’ambulanza non poteva certo qualificarsi come l’adempimento dell’obbligo di segnalazione appena richiamato, avendo avuto, di contro, il solo effetto di ingenerare il panico.
Posto tutto quanto sopra, i Supremi Giudici ricordano come, peraltro, la lett. b), art. 20 preveda, in capo al lavoratore, l’obbligo di “osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale”; obbligo che non costituisce che una specificazione di quello di diligenza sancito dall'art. 2104, comma secondo, c.c., ai sensi del quale il prestatore di lavoro “Deve inoltre osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.
Focus sulla professione infermieristica
Con specifico riferimento alla professione svolta dal lavoratore, i Supremi Giudici evidenziano quanto segue.
“L'ambito nel quale si inserisce la condotta del lavoratore, che è l'ambito sanitario […], funzionale alla tutela della salute dei cittadini, ed il delicato ruolo assegnato in tale settore a coloro che sono chiamati ad operarvi a tutela dell'affidamento che devono poter riporre coloro che ricorrano a strutture che si inseriscono nel sistema sanitario. […] le attività sanitarie sono tipicamente esposte a rischio di malattia e, per tale motivo, vi sono appositi protocolli di sicurezza, sicché tale atteggiamento del lavoratore può avere, come si comprende, serie ricadute sull'esecuzione del suo personale lavoro, ma anche su quello degli altri che sono chiamati a lavorare con lui (necessariamente tenuti a sopperire alla sua indisponibilità) con conseguenze sulla salute di chi ha necessità di una assistenza sanitaria”.
Peralto, è da escludersi “che l'infermiere professionale inserito in una struttura possa, senza interloquire con il superiore (caposala) e il personale medico, che in ogni caso, sovrintende alla corretta gestione dei protocolli (che si basano in ogni caso su letteratura scientifica), affermare autonomamente l'esistenza di una oggettiva condizione di pericolosità da contagio nella ipotesi di contatto non adeguatamente fronteggiato con misure preventive e dispositivi. […] gli infermieri, come gli altri lavoratori chiamati ad operare nel settore sanitario, sono titolari di una posizione di garanzia/protezione nei confronti dei cittadini che devono potere contare sul pronto ed adeguato intervento di tali soggetti a tutela della loro salute e, in ultima analisi della loro stessa vita”.
In conformità con quanto precede, a ulteriore conferma della gravità delle condotte poste in essere dal lavoratore, richiamano, i Supremi Giudici, le previsioni del CCNL di settore, rilevando come l'art. 40 di detto CCNL si riferisca, alla lett. d), a chi “non si attenga alle disposizioni terapeutiche impartite, non si attenga alle indicazioni educative, non esegua le altre mansioni comunque connesse alla qualifica, assegnate dalla direzione o dal superiore gerarchico diretto”, e, alla lett. f), a chi compia qualsiasi insubordinazione nei confronti dei superiori gerarchici; “esegua il lavoro affidatogli negligentemente, o non ottemperando alle disposizioni impartite”; disposizioni collettive, queste, del tutto coerenti con quelle legali sopra esaminate.
In merito, i Supremi Giudici affermano quanto segue.
“Tutte queste ulteriori considerazioni svolte dalla Corte d'Appello sono senz'altro pertinenti e da condividere, essendosi visto che gli obblighi posti a carico del lavoratore dall'art. 20 D.Lgs. n. 81/2008, in quanto espressione del dovere di diligenza dello stesso in generale previsto dall'art. 2104 c.c., devono essere considerati in relazione alla natura della prestazione dovuta e all'interesse dell'impresa”.
Pertanto, la disposizione di cui all’art. 20, D. Lgs. n. 81/2008 non può che essere valutata anche alla luce della tipologia di lavoro cui il soggetto è adibito, dovendosi procedere, nel caso, appunto, delle professioni sanitarie, con una interpretazione ancora più rigorosa.
“Pertanto, in base all'accertamento fattuale operato, è ineccepibile la conclusione tratta dalla stessa Corte che i doveri dei lavoratori previsti dall'art. 20 cit. non consentivano a quello nella specie incolpato, attuale ricorrente, di omettere la prestazione da lui dovuta ad un paziente di propria iniziativa, in base ad una altrettanto personale sua valutazione della condizione di pericolosità da contagio nella ipotesi di contatto con quel paziente, e dei dispositivi di protezione da adottare”.
Difatti, sostiene la Suprema Corte, anche la contestazione del lavoratore intesa a sminuire il panico ingenerato nel personale addetto all’ambulanza è del tutto priva di fondamento, “poiché, di per sé, l'altra infrazione contestata, consistente nell'aver rifiutato di rendere la prestazione, corredata dalla condotta che la precedeva (l'assunzione di informazioni sul batterio con consultazione internet) già descritta, senza che risulti che il datore di lavoro avesse rifiutato a richiesta i presidi, è obiettivamente grave e costituisce diniego stesso dell'essenza dell'attività professionale espletata e dei valori etici ad essa sottesi".
Sulla base di tali considerazioni, i Supremi Giudici rigettano il ricorso.
Avv. Carolina Valentino
Scarica l’ordinanza presentata:
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