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Anche i vertici politici egiziani erano coinvolti nel furto di antichità

Anche i vertici politici egiziani erano coinvolti nel furto di antichità
Adalberto Biasiotti

Autore: Adalberto Biasiotti

Categoria: Security

15/09/2021

La polizia egiziana è riuscita a smantellare una banda, guidata da un parlamentare del Partito Democratico nazionale, che per un lungo periodo ha condotto scavi illegali e ha portato all’estero reperti archeologici.

 

La polizia ha arrestato 17 componenti della banda ed il capo, Alaa Hassanein, che, nel corso degli anni, hanno scavato ed esportato più di 200 reperti faraonici, greci e romani. La polizia ha trovato dozzine di antichi reperti nella abitazione del parlamentare. Tra questi reperti si trovano oggetti di eccezionale valore, come ad esempio tavolette in legno scolpite con geroglifici, 36 statue di diverse dimensioni, 52 monete di rame appartenenti al periodo greco e romano. Il segretario generale del consiglio dell’antichità, Mostafa al-Waziry, ha confermato che alcuni dei reperti risalgono ai periodi iniziali della civiltà egizia.

 

È bene ricordare che il furto di reperti archeologici in Egitto è considerato un crimine gravissimo, che può comportare l’applicazione di una sentenza archeologici a vita.

 

Il ministro dell’interno si è immediatamente attivato, prendendo contatto con le corrispondenti autorità governative in altri paesi europei e ben 115 reperti rubati sono stati trovati a Parigi. Questa indagine si è articolata su due anni e il ministero dell’interno ha apprezzato la preziosa collaborazione della polizia francese. Il procuratore della Repubblica del Cairo, Hamada El-Sawy, si è recato a Parigi ed è rientrato in Egitto con i reperti sequestrati.


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L’indagine si avvia nel 2019 quando un francese informò l’ambasciata egiziana a Parigi che un altro soggetto, morto da poco, possedeva questi reperti nella sua abitazione, dove erano stati portati illegalmente, trasportandoli dall’Egitto.

 

La polizia francese avviò le indagini e individuò un cittadino francese e due egiziani che erano coinvolti in questo traffico di reperti archeologici.

 

Uno dei problemi che l’indagine ha dovuto superare nasce dal fatto che i reperti illegalmente scavati non sono evidentemente stati registrati negli archivi del consiglio supremo delle antichità, rendendo quindi più difficile la loro identificazione.

 

Ricordiamo ai lettori che un problema simile si pone anche attorno agli scavi archeologici di Pompei, quando dei cittadini effettuano degli scavi nella cantina della propria abitazione e possono trovare reperti, che sono più facilmente commerciabili, in quanto non classificati, la cui esistenza è ignota alla soprintendenza archeologica e non sono quindi registrati nell’archivio del comando carabinieri tutela del patrimonio artistico.

 

Questa registrazione è invece preziosa quando il reperto, previamente classificato, viene rubato e può apparire, anche a distanza di anni, nel catalogo di aste specializzate.

 

Il commercio di un oggetto, ignoto alle autorità archeologiche e di polizia, è evidentemente più agevole e, per solito, può permettere al criminale di chiedere un prezzo più elevato di quello correntemente applicabile ad oggetti similari.

 

Adalberto Biasiotti

 

 




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