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Il lavoratore del settore di cura della persona

Il lavoratore del settore di cura della persona

Autore:

Categoria: Sanità e servizi sociali

18/01/2017

Tutelare la salute e sicurezza dei lavoratori del settore di cura della persona per diminuire il rischio di conflitti nei reparti di lavoro.


 

Ospitiamo un articolo tratto da PdE, rivista di psicologia applicata all’emergenza, alla sicurezza e all’ambiente, che propone un intervento realizzato da Martina Zuliani.

 

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LA CURA VERSO LE LAVORATRICI DEL SETTORE DI CURA.

UN PASSO FONDAMENTALE PER LO SVILUPPO DELLE CASE DI RIPOSO

 

Spesso consideriamo il lavoratore del settore di cura della persona come un soggetto dispensatore di cure, che risponda ai bisogni dei suoi assistiti, senza aver bisogno anch’esso di attenzioni. In realtà, la situazione italiana, così come quella europea, ci mostra una popolazione di lavoratori del settore di cura aventi fragilità alle quali è necessario rispondere al fine di evitare la nascita di disagi, per tutelare il lavoratore e per diminuire il rischio di conflitti nei reparti di lavoro.

 

Per prima cosa, dobbiamo considerare che molti lavoratori impiegati nel settore della cura alla persona, specialmente nelle case di riposo, sono di origine straniera. La maggior parte di essi sono donne che hanno lasciato il loro Paese al fine di mantenere la propria famiglia. Spesso esse provengono dai Paesi dell’Est Europa e hanno intrapreso il viaggio da sole. Spesso con titoli di studio elevati alle spalle, queste donne hanno lasciato il marito e i figli nel proprio Paese d’origine, cosa che causa loro ulteriori fragilità, sensi di colpa e nostalgia.

 

Anche nel caso di altri lavoratori stranieri giunti in Italia con la famiglia al seguito si possono avere fragilità particolari, dovute allo shock culturale o alle discriminazioni, alle quali è necessario rispondere per garantirne il benessere e il buon funzionamento del clima lavorativo.

Nel numero 42 di PdE avevo accennato ad una ricerca avvenuta in Australia, Paese di cultura anglosassone, e quindi europea. In esso si evinceva perfettamente la problematica vissuta da infermiere locali e straniere nel comunicare tra loro. Provenienti da culture che intendono il servizio alla persona e il rapporto con l’anziano in maniera profondamente diversa, esse si trovavano a scontrarsi nella quotidianità. Questi scontri e fraintendimenti portavano ad una mancanza di dialogo e alla diminuzione delle interazioni tra i due gruppi. Alla lunga, tali conflitti diminuivano l’operatività degli interi reparti dove questi gruppi si trovavano ad interagire.

 

Lo scontro tra pari sembra essere la chiave sotto la nascita dei conflitti tra i lavoratori del settore di cura alla persona. Interessante è comprendere come, in alcuni ambienti lavorativi, si possano rilevare casi di bullismo verso i lavoratori di origine straniera. La definizione di bullismo sul lavoro presa in considerazione è quella proposta da Einarsen, cioè il trattamento negativo diretto a uno o più lavoratori da parte di colleghi o superiori in una situazione nella quale la vittima abbia difficoltà a difendersi. Il bullismo può manifestarsi come esclusioni, umiliazioni e offese verbali atte ad offendere e umiliare la vittima. (2011)

 

Uno studio condotto in Danimarca sui lavoratori impiegati nel settore infermieristico ha rilevato che, tra i lavoratori di provenienza extra-Europea si contava un maggior numero di vittime di bullismo sul lavoro rispetto che tra i lavoratori migranti europei. (Hogh 2011).

 

La stessa cosa è stata rilevata in uno studio Finlandese, riportante il fatto che i lavoratori migranti venissero spesso presi di mira dai colleghi finlandesi. (Aalto 2013)

 

In entrambi i casi non si registravano episodi di discriminazione da parte dei superiori.

 

Si può dunque pensare che i rapporti tra pari siano, nel settore del lavoro di cura, quelli più complicati, spesso basati su esclusioni e discriminazione che portano i lavoratori ad essere scontenti, frustrati e tendenti al conflitto. Questo clima non è da sottovalutare. Esso infatti può compromettere la salute psicofisica e il benessere dei lavoratori, quanto il funzionamento dei reparti e il benessere dei clienti.

 

Uno studio approfondito sulle relazioni tra lavoratrici migranti impiegate nel settore di cura e i loro pari, superiori e pazienti è stato svolto anche in territorio europeo, in Irlanda. Lo studio ha coinvolto 140 donne impiegate nelle case di riposo e nel settore della cura a domicilio, provenienti da Europa, Africa e SudEst Asiatico.

 

Le relazioni col paziente erano spesso incentrate sulla cultura del rispetto e della cura dell’anziano, e quindi su una qualche forma di relazione affettiva, anche nel caso delle lavoratrici delle case di riposo. Quelle con i superiori, soprattutto nel caso delle lavoratrici impiegate in case di riposo, erano anch’esse influenzate dalla cultura del rispetto della figura del capo e non presentavano problemi rilevanti. Interessante è invece notare come, ancora una volta, siano le relazioni tra pari quelle che presentano il maggior numero di conflitti e problematiche.

 

La diversa percezione del lavoro e della cura dell’anziano creavano infatti tensioni culturali tra lavoratrici straniere e irlandesi. Va inoltre evidenziato come lo studio rilevi che gli episodi di razzismo da parte di pazienti anziani venivano spesso benevolmente perdonati mentre quelli da parte dei colleghi venissero vissuti con particolare sofferenza. Inoltre, in caso di mancato intervento dei superiori nell’arginare il razzismo tra colleghi, le lavoratrici straniere sviluppavano un senso di alienazione al lavoro. (Timonen e Doyle, 2010).

 

Per superare tali alienazioni e conflitti è necessario dunque creare un nuovo approccio all’intercultura nelle case di riposo nel quale i superiori giocheranno un ruolo fonda mentale nella riduzione del conflitto. Grazie ad una visione consapevole delle problematiche relative allo shock culturale e ai bisogni specifici delle lavoratrici straniere, i superiori potranno creare un clima di dialogo e comprensione che conduca al superamento di ostacoli quali le incomprensioni e le discriminazioni, nonché ad una risposta adeguata all’alienazione delle lavoratrici. Tali meccanismi e consapevolezze porteranno notevoli benefici al clima lavorativo, nonché un netto miglioramento del servizio offerto. Non bisogna dimenticare, infatti, che gli stessi pazienti delle case di riposo risentono dei conflitti interni e dei disaccordi tra lavoratrici.

Portare un miglioramento del clima dell’ambiente di lavoro, migliorare il benessere di lavoratrici e pazienti e incrementare la qualità dei servizi sono obiettivi fondamentali per il funzionamento di un’azienda, anche nel settore dei servizi, e possono portare a benefici economici e all’ulteriore sviluppo di essa.

 

Martina Zuliani




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