Mobility Manager: funzioni e ambiti di intervento
Nonostante appaia quasi “passata di moda”, la figura del Mobility Manager può rivestire in ambito aziendale, ora più che mai, una importanza ed una efficacia ben maggiori di quanto finora si è potuto riscontrare. Occorre però ridefinirne le funzioni e gli ambiti di intervento, ampliandone lo spazio di manovra in modo adeguato ed intelligente.
Gli obblighi di legge
Il Mobility Manager aziendale
La figura del Mobility Manager è stata introdotta con il Decreto Interministeriale “Mobilità Sostenibile nelle Aree Urbane” del 27/03/1998, e si applica ad ogni organizzazione (sia essa una azienda o un ente pubblico) con più di 300 dipendenti per “unità locale” o, complessivamente, con oltre 800 dipendenti. Il decreto prevede che le organizzazioni interessate debbano individuare un responsabile della mobilità del personale, definito, per l’appunto, Mobility Manager. Anche se, come detto, tale figura va nominata non solo nelle aziende, ma anche negli enti pubblici, è usuale individuarla in tutti i casi con l’espressione “Mobility Manager aziendale”.
Gli obiettivi del Decreto riguardano la riduzione del traffico veicolare privato in itinere e delle sue nocive conseguenze, viste soprattutto con una preoccupazione di tipo ambientale: inquinamento atmosferico, consumo di energia ed emissioni di gas serra. Con tali obiettivi, il Mobility Manager aziendale ha l’incarico di ottimizzare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti, cercando di far ridurre il ricorso all’auto privata a favore di soluzioni di trasporto a basso impatto ambientale (principalmente trasporto pubblico, mobilità ciclabile e car pooling). Le analisi condotte sulle abitudini di mobilità dei dipendenti e le azioni individuate per ottenere gli scopi prefissati costituiscono il Piano spostamenti casa-lavoro (PSCL).
Diciamolo subito: l’inadempienza rispetto alla mancata nomina del Mobility Manager non è sanzionata dalla legge (come pure l’assenza di un Piano Spostamenti Casa-Lavoro), con il risultato di vanificare parzialmente l’utilità di questa figura e l’importanza della questione. Ci torniamo tra un attimo.
Il Mobility Manager di Area
Il Decreto del Ministero dell’Ambiente del 20/12/2000 ha poi definito la funzione del Mobility Manager di area, figura di supporto e di coordinamento dei mobility manager aziendali, istituita presso l’Ufficio Tecnico del Traffico dei Comuni più grandi. Il Mobility Manager di area ha il compito di mantenere i collegamenti con le strutture comunali e le aziende di trasporto locale, promuovere le iniziative di mobilità di area, monitorare gli effetti delle misure adottate e coordinare i PSCL delle aziende. Ogni organizzazione sottoposta all’obbligo di nomina del mobility manager aziendale deve comunicarne la nomina all’ufficio del Mobility Manager di area del Comune in cui ha sede.
Il Mobility Manager Scolastico
Con la legge 221 del 28 dicembre 2015, “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali“, si prevede che il Ministro dell’istruzione adotti specifiche linee guida per favorire l’istituzione in tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, nell’ambito della loro autonomia amministrativa ed organizzativa, della figura del mobility manager scolastico. Il mobility manager scolastico è scelto su base volontaria e senza riduzione del carico didattico, in coerenza con il piano dell’offerta formativa, con l’ordinamento scolastico e tenuto conto dell’organizzazione didattica esistente. Il mobility manager scolastico può inoltre rivestire una importante funzione in termini di responsabilità per la sicurezza di studenti e professori in relazione alla sicurezza delle gite scolastiche (con riferimento alla circolare MIUR sui viaggi di istruzione del 2016).
La posizione delle aziende sul tema
In questi anni si è molto parlato delle iniziative che possono essere adottate dai mobility manager per favorire un minor uso del mezzo privato negli spostamenti casa-lavoro. Purtroppo, molte di esse sono poco adottate, non solo a causa dei costi (per molte aziende difficilmente sostenibili in periodo di crisi, pur non essendo poi così elevati), ma anche, a mio parere, a causa della scarsa sensibilità e responsabilità dei dirigenti aziendali su questo tema. L’obbligo di legge viene adempiuto con la nomina del Mobility Manager, che deve essere necessariamente una figura interna all’azienda, e con la redazione del PSCL, per cui invece ci si può far supportare da consulenti esperti della materia. Il resto (collaborazione con in Mobility Manager di Area, monitoraggio periodico delle abitudini di mobilità, revisione delle misure adottate, ecc.) è lasciato alla buona volontà della dirigenza aziendale, ma non è materia sottoposta a controllo o sanzioni. Nella pratica, l’efficacia di un Piano Spostamenti Casa-Lavoro in termini di shift modale (abbandono del mezzo privato a favore del mezzo pubblico o del trasporto condiviso), rischia di essere molto scarsa, ed il successo dell’iniziativa è affidato alla buona volontà degli stessi dipendenti.
È significativo peraltro osservare che, in alcuni casi, le aziende abbiano proceduto alla nomina del Mobility Manager ed alla redazione del PSCL solo a seguito di osservazioni critiche sollevate dagli organismi preposti al rilascio delle certificazioni per i sistemi di gestione ambientale conformi alla norma ISO 14001. Trattandosi di questioni che investono direttamente le “prestazioni ambientali” dell’azienda, le abitudini di mobilità dei dipendenti in itinere sono viste dagli enti certificatori come uno dei punti cardine, e su di esso le aziende devono dimostrare di aver proceduto con interventi concreti di riduzione degli impatti ambientali. La nomina del Mobility Manager e la redazione (ed applicazione) del PSCL diventano quindi questioni che le aziende non possono permettersi di trascurare. Ma questo, come detto, va considerato nell’ambito di una richiesta di rilascio o rinnovo di una certificazione di conformità ISO 14001, iniziative che sono di natura volontaria e rispetto alle quali l’organizzazione non deve quindi adempiere ad alcun obbligo di legge.
Come rendere efficace un Piano Spostamenti Casa-Lavoro
Fortunatamente, molte organizzazioni prendono sul serio la nomina del Mobility Manager e la redazione del PSCL, con analisi della mobilità fatte in modo professionale e con misure di intervento ragionate ed efficaci. Le azioni realmente in grado di ridurre gli impatti ambientali della mobilità privata casa-lavoro, rientrano in due macro-categorie:
- Misure di facilitazione della condivisione dei mezzi di trasporto;
- Misure di facilitazione degli spostamenti ciclabili.
Il primo punto prevede la rinuncia all’uso dell’auto privata, quando possibile, a favore dei mezzi pubblici urbani ed extraurbani, di navette aziendali (eventualmente da implementare come misura specifica del PSCL) o della condivisione degli spostamenti con i mezzi degli altri colleghi.
L’uso del mezzo pubblico si favorisce sostanzialmente attraverso incentivi economici aziendali (es. con compartecipazione alle spese di abbonamento ai mezzi pubblici), che possono abbinarsi o meno ad analoghi incentivi erogati dal Mobility Manager di Area.
In contesti particolarmente sfavoriti (es. in zone industriali con scarsa frequenza dei mezzi pubblici), diventa efficace l’istituzione ad hoc di una navetta aziendale, con almeno una coppia di corse tra la sede di lavoro ed uno dei nodi principali del trasporto pubblico (es. stazione ferroviaria, centro città, ecc.). Non avrebbe senso, ovviamente, utilizzare come luogo di partenza della navetta un parcheggio di periferia, in quanto non si avrebbe alcun effetto di “shift modale” (al parcheggio i dipendenti ci potrebbero accedere infatti solo in auto, continuando quindi ad utilizzarla quotidianamente per il loro itinere, senza un reale cambio nelle loro abitudini di mobilità).
Infine, non va trascurata la condivisione degli spostamenti tra colleghi. Trattasi di una pratica che, spontaneamente, si verifica in numerose situazioni ed ha avuto origine ben prima che si iniziasse a parlare di Mobility Manager e PSCL. Oggi, comunque, tale pratica è ormai identificata con l’espressione “car-pooling”. L’efficacia dell’azione è evidente: se due persone viaggiano con una sola auto, dimezzano l’impatto ambientale che avrebbero utilizzando ciascuno la propria. Per ottenere tale obiettivo, al di là delle tecniche utilizzate (dal passa-parola alle ormai numerose applicazioni per smartphone), è opportuno sensibilizzare le persone e favorire la socialità interna all’azienda, favorendo la conoscenza reciproca ed i rapporti interpersonali, la cui mancanza diventa spesso una barriera insormontabile per il successo di queste iniziative.
Non ha invece efficacia rispetto agli obiettivi del PSCL l’uso del car sharing. In tal caso, infatti, il dipendente sostituirebbe semplicemente una auto propria con una auto appartenente ad un gestore terzo. L’efficacia dell’azione sarebbe legata all’eventuale miglioramento delle emissioni (nel caso in cui l’auto del car sharing dovesse essere meno inquinante della propria), ma si avrebbe un effetto del tutto trascurabile rispetto alle altre misure.
Per quanto riguarda la mobilità ciclabile, occorre evidenziare che, purtroppo, non tutte le “leve” sono in mano al mobility manager aziendale. Per quanto il PSCL possa prevedere buone iniziative (es. individuazione di spazi aziendali sicuri ed adeguati per il ricovero delle bici, distribuzione di dispositivi di visibilità e sicurezza, ecc.), risultano fortemente decisive le condizioni esterne. Se l’azienda è dislocata in un posto raggiungibile con difficoltà o in condizioni non sicure, è ben difficile convincere i dipendenti ad andarci in bici. Bisogna quindi, in tal caso, lavorare – e bene – anche con il Mobility Manager di Area (e, magari, con le altre aziende della zona).
L’efficacia delle iniziative di area vasta
In misura del tutto speculare al caso dei mobility manager aziendali, anche i mobility manager di area possono ottenere dei buoni risultati, purchè le amministrazioni comunali vi dedichino volontà, competenza e risorse. Come è ormai chiaro, basterebbe (per quanto non sia per nulla banale) lavorare bene sul trasporto pubblico e sulla facilitazione della mobilità ciclabile per aiutare i mobility manager aziendali ad ottenere buoni risultati. Parliamo, ad esempio, di incentivi comunali per l’acquisto di abbonamenti al servizio di trasporto pubblico locale (da aggiungersi a quelli aziendali) o per l’acquisto di biciclette elettriche. E dopo, solo dopo, provare a ragionare su sistemi più complessi, raffinati ed innovativi di mobilità alternativa all’auto privata.
E riguardo a tali sistemi innovativi, occorre peraltro osservare che di essi di parla da anni, senza però che si siano ottenuti risultati apprezzabili. Faccio cenno ad esempio ai Ticket Mobilità, voucher analoghi ai comuni buoni pasto, che consentono però l’acquisto di beni e servizi legati alla mobilità sostenibile sull’intero territorio comunale (impianti metano/gpl per auto, biciclette tradizionali ed a pedalata assistita, abbonamenti al trasporto pubblico o al car sharing, ticket per la sosta di veicoli elettrici o ibridi). Si tratta di una forma di reddito a destinazione d’uso vincolata: il dipendente riceve una parte del suo stipendio sotto forma di buoni per la mobilità; Il vantaggio per l’azienda risiede nella possibilità di detrarre le somme investite.
Altra interessante novità è la sperimentazione effettuata tempo fa a Genova sui crediti di mobilità. Si tratta di un modello innovativo per razionalizzare e migliorare il traffico generato dalla distribuzione delle merci, garantendo al contempo le esigenze di rifornimento e consegna degli operatori economici della ZTL. Il sistema funzionava attraverso lo scambio di una moneta virtuale, i crediti di mobilità appunto, che venivano spesi in funzione sia del numero che dei mezzi utilizzati per il rifornimento e la consegna delle merci. Ma, anche su questo fronte, le sperimentazioni sono terminate senza che tali strumenti abbiano poi visto una concreta diffusione.
Meglio quindi restare sulle iniziative “tradizionali”, ribadendo che, in fondo, sono quelle meglio riuscite e più collaudate. Naturalmente, a patto di applicarle con serietà, coerenza e continuità.
Conclusioni
Lo spirito che permeava l’emanazione dei decreti del 1998 e del 2000 era sostanzialmente legato ad una preoccupazione, allora molto avvertita, relativa agli impatti ambientali dovuti alla mobilità. In questi anni, nonostante il numero di spostamenti sia peraltro superiore rispetto ad allora (nonostante la crisi economica), e gli effetti del surriscaldamento globale siano sempre più frequenti e ormai innegabili, è calata di molto la sensibilità ambientale delle persone (ed anche di molte aziende), certamente soverchiata dalle serie preoccupazioni economiche insorte.
La mancanza del quadro sanzionatorio da applicare alle aziende che, pur essendo tenute a farlo, non adottano un Piano Spostamenti Casa-Lavoro, ha determinato una certa debolezza della cornice normativa, che pare aver avuto l’effetto di comunicare agli operatori economici che, “in fondo, non si tratta di una questione poi così importante”.
In questo contesto, che peraltro difficilmente pare destinato a migliorare nel breve periodo, la figura del mobility manager aziendale rischia di continuare ad essere relegata tra le funzioni di minor peso ed influenza all’interno dell’organizzazione. Tuttavia, nel caso delle realtà più complesse (come le aziende multi-sito o multi-servizi), appare opportuno rivalutare tale funzione mediante l’attribuzione di nuovi compiti e responsabilità, dotandola di leve gestionali che ne facciano il vero responsabile della mobilità aziendale, ed integrando in essa anche la funzione del fleet-manager (ove presente). Analogamente, è necessario affiancare il Mobility Manager alle figure responsabili della sicurezza (RSPP) e dei sistemi di gestione (HSE manager), ed inserire le fasi di pianificazione, implementazione, monitoraggio e riesame del PSCL nell’ambito del normale ciclo di gestione aziendale. Le realtà di maggiori dimensioni non possono ormai più fare a meno di analizzare, ottimizzare ed integrare all’interno della gestione aziendale ogni singolo processo operativo, per migliorare la propria competitività ed i propri risultati garantendo al contempo la soddisfazione dei lavoratori e la rispondenza alle norme di legge. Inserire l’efficienza (e – perché no? – anche la sicurezza) della mobilità in itinere all’interno dei sistemi di gestione aziendali è dunque una questione non più rinviabile.
Ing. Marco De Mitri
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