Violenze e molestie: rischi psicosociali, sanità e identikit delle vittime
Torino, 25 Giu – I rischi psicosociali e lo stress lavoro-correlato rappresentano oggi “una delle sfide principali con cui è necessario confrontarsi nel campo della salute e della sicurezza sul lavoro in quanto hanno considerevoli ripercussioni sulla salute delle singole persone, ma anche su quella delle imprese e delle economie nazionali”. Inoltre “circa metà dei lavoratori europei considera lo stress comune nei luoghi di lavoro e ad esso è dovuta quasi la metà di tutte le giornate lavorative perse”. E non bisogna dimenticare che i rischi psicosociali e lo stress, “non sono una colpa individuale”: sono “rischi lavorativi e come tali devono essere valutati e gestiti”.
A ricordarlo con queste parole è l’intervento di Graziella Silipo (Responsabile Dipartimento Salute e sicurezza sul lavoro CGIL Piemonte) al seminario “ Il rischio aggressione, violenze e molestie per le lavoratrici e i lavoratori” che, organizzato dalla CGIL Piemonte, si è tenuto il 26 marzo 2024 a Torino.
L’intervento di Graziella Silipo – “Il rischio aggressioni, violenze e molestie per le lavoratrici e lavoratori" – si sofferma su molti aspetti correlati ai vari documenti pubblicati sul tema e sui dati relativi ad aggressioni, violenze e molestie.
L’articolo affronta i seguenti argomenti:
- Le cause di stress e l’aumento del rischio di violenze e molestie
- Le violenze e le molestie: definizioni e valutazione dei rischi
- Le violenze e le molestie: personale sanitario, dati e identikit
Le cause di stress e l’aumento del rischio di violenze e molestie
Con riferimento al documento “ Appunti e suggerimenti (non esaustivi) per gli accordi di II livello in materia di prevenzione delle violenze e delle molestie anche sessuali nei luoghi di lavoro”, la relatrice ricorda alcuni elementi che “possono configurare rischi psicosociali e contribuire ad aumentare il rischio di violenza e molestie sul lavoro”:
- pretese eccessive: “ad esempio, incarichi non corrispondenti alle conoscenze e alle capacità dell’interessato
- controlli sul lavoro: ad esempio, al lavoratore e alla lavoratrice viene data poca o nessuna voce in capitolo riguardo allo svolgimento del proprio lavoro
- modalità di svolgimento del lavoro: ad esempio, lavori ripetitivi o monotoni
- chiarezza dei ruoli: ad esempio, l’indeterminatezza delle responsabilità, dei doveri e dell’autorità del lavoratore e della lavoratrice
- rapporti lavorativi: ad esempio, critiche inappropriate, isolamento, mancanza di supporto da parte dei superiori e/o colleghi/e, carenza di feedback e di comunicazione
- modalità attraverso la quale vengono svolte le responsabilità del datore e della datrice di lavoro: ad esempio, leadership autocratica con limiti al coinvolgimento dei lavoratori e lavoratrici nel processo decisionale; leadership troppo permissiva con scarsa supervisione e poco o nessun orientamento ai lavoratori e alle lavoratrici
- giustizia organizzativa: ad esempio, mancanza o applicazione incoerente delle politiche e delle procedure sul lavoro, anche per quanto riguarda l’avanzamento di carriera e il reclutamento; ingiustizia nel processo decisionale
- gestione dei cambiamenti organizzativi: ad esempio, ristrutturazione e ridimensionamento organizzativo; cambiamenti nelle strumentazioni tecnologiche, nei metodi di lavoro e/o nell’organizzazione del lavoro; outsourcing
- luogo di lavoro fisico: ad esempio, progettazione e manutenzione delle attrezzature e delle strutture sul posto di lavoro”.
Con riferimento poi ad un sondaggio di opinioni effettuato dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro ( EU-OSHA), “tra le cause più frequenti di stress legato al lavoro figurano:
- la riorganizzazione del lavoro
- l’insicurezza del lavoro
- le lunghe ore lavorative
- l’eccessivo carico di lavoro nonché
- le molestie e la violenza sul lavoro”.
Le violenze e le molestie: definizioni e valutazione dei rischi
Il documento si sofferma anche su cosa si intende per violenza e molestia, con riferimento alla “Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n.190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro”, adottata a Ginevra il 21 giugno 2019 e recepita in Italia con la Legge 15 gennaio 2021, n. 4.
L’espressione « violenza e molestie» nel mondo del lavoro “indica un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere”.
Sono poi riportate molte indicazioni, anche con riferimento alle politiche di contrasto nei luoghi di lavoro, e si ricorda che la valutazione dei rischi (articolo 28, D.Lgs. 81/2008) “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori”, compresi “quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’ età, alla provenienza da altri Paesi”.
Le violenze e le molestie: personale sanitario, dati e identikit
L’intervento si sofferma poi sul personale sanitario.
Si segnala che lo Stato italiano “riconosce attualmente 30 professioni sanitarie per l’esercizio delle quali è obbligatoria l’iscrizione ai rispettivi Ordini professionali. Si tratta di circa 1.500.000 professionisti che operano in strutture pubbliche e private”. Ed esistono ordini professionali per: medici chirurghi e odontoiatri, veterinari, farmacisti, psicologi, chimici e fisici, biologi, professioni infermieristiche, ostetriche, fisioterapisti e tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione.
Sono presentati alcuni dati relativi alle violenze, aggressioni e minacce nei confronti del personale sanitario accertati dall’Inail.
Nel triennio 2020-2022 sono stati “registrati circa 6000 casi (+ 41% rispetto a tutti quelli registrati nello stesso periodo tra i lavoratori dell’Industria e dei servizi”. E nel 2022 “i casi di sono stati 2.243” (+ 14% rispetto all’anno precedente, circa il 70% ha riguardato le donne).
Inoltre:
- “il 39% interessa personale socio-sanitario tra i 50 e i 64 anni (per le donne la quota sale al 40%)
- poco più del 36% tra i 35 e i 49 anni
- il 23% fino a 34 anni
- l’1% oltre i 64 anni”.
Si parla per lo più di “episodi di violenza esercitata da persone esterne all’azienda (reazioni da parte dei pazienti o dei loro familiari)” e “in minor misura, di liti e incomprensioni tra colleghi”.
Chi ha riguardato questi eventi?
La categoria dei “tecnici della salute è quella più coinvolta in violenze e aggressioni, con circa il 41% del totale seguita dalle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali (27%) e da quella dei servizi personali e assimilati (13%) più distaccata, con il 3,5% dei casi di aggressione, la categoria dei medici, che non include nell’obbligo assicurativo Inail i medici di base e i liberi professionisti”.
Quasi “un’aggressione su tre è avvenuta nel Nord-Ovest (17% in Lombardia e 8% nel Piemonte), il 28% nel Nord-Est (14% in Emilia Romagna e 9% in Veneto), il 22% nel Mezzogiorno (7% in Sicilia e 5% in Puglia) e il 19% al Centro (9% in Toscana e 6% nel Lazio)”.
Inoltre circa “il 59% dei casi ha comportato una contusione, il 22% una lussazione, distorsione e distrazione, l’8% una frattura e il 7% una ferita”.
Questo l’identikit principale della vittima: una donna “di età compresa tra 51 e 60 anni di nazionalità italiana che vive in Lombardia o Emilia Romagna, lavora come operatrice socio-sanitario o infermiera in struttura ospedaliera o in Rsa, prevalentemente in ambito psichiatrico o dell’emergenza/urgenza, ha subito violenza fisica, colpita con pugni o calci o con afferramento, ha riportato contusioni con assenza per malattia mediamente di 22 giorni e, nella quasi totalità dei casi, menomazioni micropermanenti valutate fino al 5%”.
Un ulteriore identikit dell’aggredito “è quello dell’educatore professionale che opera in strutture diverse come gli istituti scolastici, le comunità socioeducative e le case circondariali, che rappresenta la terza figura maggiormente oggetto di episodi di violenza”.
Si riportano poi alcuni spunti propedeutici ad azioni di prevenzione.
Infatti “la complessa relazione tra l’ operatore sanitario, i pazienti o i loro familiari, dalla quale possono sfociare episodi di aggressione, può essere migliorata per esempio attraverso procedure organizzative volte a:
- ridurre la burocrazia e i tempi di attesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie;
- aumentare e rendere più puntuale l’informazione e a incrementare la partecipazione, con l’eliminazione di barriere culturali e linguistiche”.
Inoltre è fondamentale “lo sviluppo di ulteriori indagini qualitative su questo fenomeno ancora fortemente sottostimato”.
Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale delle slide dell’intervento di Graziella Silipo che si sofferma anche su:
- la legge 14 agosto 2020, n. 113, “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni”
- l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie (ONSEPS), con riferimento ad un monitoraggio effettuato che ha un ambito ben più ampio di quelli già esistenti essendo state considerate non soltanto le aggressioni fisiche, ma anche quelle verbali e quelle contro la proprietà
- i dati Regionali e delle Province Autonome trasmessi dai Centri Regionali per la Gestione del Rischio Sanitario (CRGRS) con particolare riferimento al Piemonte.
Tiziano Menduto
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