La connessione tra tutela della sicurezza e organizzazione del lavoro
Sesto Fiorentino (FI), 7 Giu – L’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) ha evidenziato come i soggetti con rapporti di lavoro flessibile e destinati a svolgere una prestazione lavorativa temporanea siano soggetti a frequenti variazioni di ambiente lavorativo e di condizioni di lavoro, con frequente mutamento di mansioni e maggiori difficoltà, rispetto a lavoratori con rapporti di lavoro meno discontinui, ad adottare procedure e buone prassi per minimizzare e prevenire rischi correlati al lavoro.
Delle scarse tutele per i lavoratori flessibili, della normativa italiana e delle azioni per tutelare la sicurezza e il benessere in una prospettiva organizzativa, parla una relazione dal titolo “Sicurezza sul lavoro, sicurezza del lavoro” e a cura di Annalisa Tonarelli ( Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Scienze politiche e sociali). La relazione si è tenuta al seminario “La nuova legislazione del lavoro: ruolo e funzioni degli RLS nell’organizzazione del lavoro e nella valutazione dei rischi” (1 dicembre 2016, Sesto Fiorentino) organizzato dalla Rete Regionale Toscana RLS e dall’ Azienda Sanitaria di Firenze.
Nell’intervento - che PuntoSicuro ha già presentato nelle scorse settimane riportando interessanti analisi sulle dimensioni dell’insicurezza – si sottolinea che riguardo al tema dello stress lavoro-correlato e dei rischi psicosociali le misure adottate in Italia dal legislatore attraverso il D.lgs. 81/2015 e il D.lgs. 151/2015, “rappresentano un’occasione mancata”.
Infatti se tale intervento normativo contiene “modifiche poco incisive e piuttosto marginali”, ha in realtà un impatto negativo proprio rispetto al tema della tutela della salute fisica e psicosociale del lavoratore, un impatto che si esplica sia in modo indiretto che diretto.
Indirettamente perché “l’aver contribuito, attraverso l’agevolazione dei licenziamenti, il contratto a tutele crescenti e alle possibilità di de-mansionamento, a fare dei lavoratori individui maggiormente ricattabili”, renderà più difficile che essi “si impegnino per chiedere miglioramenti delle loro condizioni, ad esempio in relazione a turni e orari, o miglioramenti nelle dotazioni produttive degli insediamenti industriali”. E ugualmente sarà più difficile che persone all’interno dei luoghi di lavoro si offrano per il ruolo centrale e faticosissimo di RLS ( Rappresentanti dei Lavoratori per Sicurezza) e RLST (Rappresentanti Territoriali dei Lavoratori per la Sicurezza).
Senza dimenticare poi quella fetta di lavoratori “più fragili, giovani e over 50, che saranno disposti a duri sacrifici, anche sul piano della salute e del benessere, pur di conservare il proprio posto di lavoro”.
Riguardo invece agli effetti diretti, la relatrice ha evidenziato, concordemente con altri autori, come l’intervento normativo “non abbia migliorato in modo significativo il livello di tutela precedentemente ritoccato dal D.Lgs. n. 106/2009”.
Si indica, a questo proposito, che in generale “la logica che ha guidato il legislatore è stata la convinzione che il principio universalistico della tutela non possa avvenire attraverso un’estensione omogenea e indiscriminata, offrendo tutto a tutti”. Il Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008 – TU) si è “limitato a seguire, timidamente e moderatamente, la logica della mera assimilazione (totale o parziale) delle tipologie contrattuali c.d. flessibili e/o atipiche al modello standard, trascurando il fatto che esse, come ha evidenziato la Commissione Europea, sono caratterizzate, in virtù della natura stessa del contratto che comporta un inserimento soltanto temporaneo nei luoghi di lavoro, da prestazioni discontinue e frammentate (di breve e spesso di brevissima durata), ma soprattutto da una limitata conoscenza del modello organizzativo e delle relazioni sinergiche con gli altri lavoratori”.
E dunque queste tipologie contrattuali flessibili e/o atipiche presentano “rischi più elevati di marginalizzazione, nocività e pericolosità e, per tali ragioni, richiedono, come evidenziato a livello comunitario, un’individuazione attenta e puntuale di specifiche misure di protezione attraverso una normativa complementare particolare”.
E dunque per creare luoghi di lavoro sicuri e salubri occorrerebbe “un maggiore sforzo riformatore, sorretto da un’adeguata consapevolezza dei problemi applicativi propri di una materia così complessa, senza dimenticare che, per poter funzionare, un sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro richiede un impegno ai più alti livelli capace di coinvolgere i lavoratori, il cui ruolo è determinante per contribuire a una valutazione dei rischi ben informata e specifica”. Un aspetto, questo, che ha a che fare con la dimensione organizzativa del lavoro.
E a questo proposito la relatrice ricorda - come V. Pasquarella in “L’organizzazione della sicurezza in alcune tipologie di lavoro revisionate dal Job Act” – che in base al TU sono “considerati lavoratori, ai fini del riconoscimento della tutela antinfortunistica, tutti i soggetti coinvolti funzionalmente nell’ambito organizzativo del datore di lavoro”. E questo evidenzia la dimensione organizzativa della sicurezza come “strettamente connessa con l’esercizio del potere attribuito a chi ha la responsabilità e la direzione dell’organizzazione”.
E se l’organizzazione diventa “l’elemento essenziale per individuare i soggetti passivi (e quelli attivi) dell’obbligo di sicurezza”, è evidente “l’interdipendenza tra la tutela della salute e della sicurezza e l’organizzazione del lavoro”.
Tuttavia in diverse norme del TU è, in realtà, “il luogo fisico costituito dall’’ambiente di lavoro a fare da scenario e, quindi, ad assumere rilevanza ai fini della tutela prevenzionistica. I beneficiari delle tutele sono i soggetti che svolgono la prestazione in un determinato ambiente di lavoro (inteso come contesto produttivo fisico-spaziale) e il destinatario dei relativi obblighi è il titolare di quest’ultimo”. Si ha insomma un sistema di prevenzione “costruito a misura dei luoghi di lavoro nel cui ambito i lavoratori sono esposti e protetti e si finisce con il restringere il campo di applicazione della normativa, calibrando in misura diversa la tutela a seconda che la prestazione sia resa all’interno o al di fuori dei luoghi di lavoro tipici”.
Ma la possibilità, che, come spiega nell’intervento la relatrice, è “più enunciata che praticabile”, di individuare “quella organizzativa (in senso funzionale) come la dimensione implicata nella tutela e prevenzione della salute e della sicurezza sul lavoro, diventa ancora più importante nella prospettiva dei rischi psicosociali”. Infatti lo stress lavoro-correlato è una problematica che “si colloca a livello di organizzazione e non una colpa personale”.
In questo senso si indica che “un approccio preventivo, olistico e sistematico alla gestione dei rischi psicosociali, che coinvolga la dimensione organizzativa, è ritenuto essere il più efficace”.
Infatti adottando il giusto approccio “è possibile prevenire e gestire con efficacia i rischi psicosociali e lo stress lavoro-correlato, a prescindere dalle caratteristiche o dalle dimensioni dell'impresa, e affrontarli con la stessa logica e sistematicità riservate ad altre questioni di salute e sicurezza sul lavoro”.
E la relatrice conclude indicando che un’adeguata gestione del rischio stress lavoro-correlato “non è solo un imperativo morale e un buon investimento per i datori di lavoro, bensì anche un dovere giuridico stabilito dalla direttiva quadro 89/391/CEE e ribadito dagli accordi quadro tra le parti sociali sullo stress lavoro-correlato e sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro”.
Infine sebbene spetti ai datori di lavoro la responsabilità di garantire una corretta valutazione e gestione dei rischi, è indispensabile “coinvolgere anche i lavoratori, che insieme ai loro rappresentanti conoscono meglio di chiunque altro i problemi che possono verificarsi nei luoghi di lavoro. La loro partecipazione può assicurare l'adeguatezza e l'efficacia delle misure adottate”. E in questo senso si ritiene che RLS e i RLST, adeguatamente sensibilizzati e formati rispetto al problema, “possano svolgere un ruolo fondamentale nella prevenzione del rischio psicosociale”. Queste figure sono infatti in grado di rilevare “condizioni ambientali e/o personali di sofferenza tali da configurare potenziali rischi in ambito psicosociale”.
E in questo senso la relazione auspica la promozione di un confronto tra RLS/RLST, parti sociali e datoriali, organismi di vigilanza, servizi sanitari, istituzioni e Università, nella prospettiva di “sperimentare pratiche di formazione, ricerca, azione” che vadano a coprire questo campo d’intervento.
“ Sicurezza sul lavoro, sicurezza del lavoro”, a cura di Annalisa Tonarelli (Università degli Studi di Firenze – Dipartimento di Scienze politiche e sociali), intervento al seminario “La nuova legislazione del lavoro: ruolo e funzioni degli RLS nell’organizzazione del lavoro e nella valutazione dei rischi” (formato PDF, 43 kB).
RTM
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