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Il phubbing: le nuove tecnologie ci espongono a nuovi rischi?

L'uso degli smartphone è aumentato notevolmente negli ultimi anni. I cellulari hanno rivoluzionato il modo in cui le persone comunicano tra loro ma mentre a volte aumentano le occasioni di interazione sociali, altre volte ne peggiorano la qualità. Questo avviene, per esempio, col fenomeno del phubbing, ossia l’abitudine di distogliere l’attenzione dalle persone e dalle attività che si stanno svolgendo intorno a noi per concentrarci sui nostri dispositivi elettronici, come smartphone o tablet.

 

Termine coniato nel 2013, “phubbing” deriva dalla fusione di due ulteriori termini inglesi “phone” (telefono) e “snubbing” (snobbare): si riferisce infatti all’ignorare o trascurare il proprio interlocutore nel proprio contesto sociale per concentrarsi, piuttosto, sul proprio smartphone.

 

Ormai, i cellulari sono come un prolungamento della nostra mano, costantemente accesi e costantemente utilizzati anche per svolgere azioni che, prima, richiedevano l’utilizzo di strumenti diversi e ora possiamo trovare tutte sullo stesso dispositivo. Il nostro continuo ricorrere allo smartphone, però, non si limita più a quando siamo in coda alla cassa o in attesa del nostro turno in sala d’attesa, per ingannare il tempo e sconfiggere la noia, ma ci rifugiamo in lui anche quando siamo immersi in relazioni sociali, in famiglia, con i colleghi, tra amici e in coppia.

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Ignorare gli altri ci porta, nel migliore dei casi, ad essere distratti ma anche all’isolamento vero e proprio. Secondo alcune ricerche, infatti, il phubbing avrebbe un impatto negativo e comporterebbe un abbassamento del tono dell’umore, riducendo, quindi, la qualità della comunicazione e del rapporto interpersonale specifico in quanto andrebbe ad intaccare gli stessi bisogni che vengono minacciati quando le persone si sentono socialmente escluse: bisogno di appartenenza, di autostima, di attribuzione di significato e controllo, portando a un vissuto di ostracismo e isolamento.

 

In una ricerca condotta da un’équipe di psicologi dell’Università del Kent e pubblicata sulla rivista “Journal of Applied Social Psychology” è emerso che, secondo i partecipanti allo studio (153 studenti universitari) a cui è stata sottoposta una scena di 3 minuti che mostrava l’interazione tra due persone con 3 condizioni sperimentali (nessun phubbing, phubbing leggero o phubbing massiccio), più il livello di phubbing aumentava, più i soggetti percepivano che la qualità della relazione era peggiore e la relazione insoddisfacente.

 

Ma questo fenomeno, così come per le nostre relazioni quotidiane, può essere pericoloso anche:

  • in auto, in quanto può causare distrazioni e aumentare il rischio di incidenti stradali;
  • sul lavoro, in quanto può ridurre la capacità di concentrarsi su compiti importanti, portare ad errori, ritardi nella consegna dei progetti, problemi di comunicazione con i colleghi e veri e propri infortuni sul lavoro, mentre in auto può causare distrazioni.

 

Quello che emerge da un’osservazione della quotidianità della nostra società, è che l’uso di queste tecnologie sta aumentando il fenomeno del phubbing e quindi dell’attenzione Bottom-up.

 

Il nostro cervello processa le informazioni in due modi differenti:

  • Attenzione bottom-up: attraverso i nostri sensi, percepiamo l’ambiente esterno che attira la nostra attenzione guidata, appunto, dai segnali sensoriali esterni (es. un odore, un colore o un movimento);
  • Attenzione top-down: le aspettative e le conoscenze pregresse dell’individuo guidano la sua attenzione nel contesto in cui si trova e agisce. In questo caso, l’attenzione è focalizzata su un obiettivo specifico in base alle informazioni che il cervello ha già a disposizione.

 

Entrambi i tipi di attenzione sono importanti per consentirci di processare correttamente le informazioni ma, il phubbing avrebbe una forte correlazione solamente con la tipologia bottom-up, correlata anche con la “distrazione”.

 

Nuovi studi sottolineano, inoltre, che il phubbing non sarebbe grave solo perché cattiva educazione, ma soprattutto per la sensazione che genererebbe nell’altro, ossia quella di essere lasciati soli oltre che per il senso di inadeguatezza che deriverebbe dal fatto di non riuscire a catalizzare su di sé l’attenzione dell’altro. Solitamente poi, chi subisce phubbing, per soddisfare quel bisogno di attenzione, che non viene colmato da chi lo sta “snobbando”, piuttosto che recuperare l’interazione faccia a faccia per ricostruire quel senso di inclusione, tenderebbe a rifugiarsi nei social network per riguadagnare il senso di appartenenza perso. Sostanzialmente, chi viene ignorato per colpa dello smartphone, vi si rifugia a sua volta.

 

Infine, vi sarebbe un indebolimento del benessere psicologico per i soggetti che subiscono phubbing, che registrano livelli di stress e depressione maggiori.

 

In base a molte ricerche, alla base di questo fenomeno si celerebbe una dipendenza da smartphone che, a sua volta, avrebbe come fattori determinanti la dipendenza da internet e la “FOMO” (fear of missing out) ossia la fobia e l’ansia di esser tagliati fuori, di perdersi qualcosa di interessante sui social o in generale online, accompagnata al pensiero che gli altri stiano facendo qualcosa di più interessante di quello che stiamo facendo noi. Vi sarebbe, inoltre, una mancanza di autocontrollo, fattore chiave delle dipendenze generalmente intese.

 

Ma cosa possiamo fare per evitare di fare e subire phubbing?

 

Alcuni consigli:

  • Evitiamo di usare i dispositivi digitali a tavola: usiamo questo momento per relazionarci con gli altri commensali, per parlare, raccontare e ascoltare;
  • Disattiviamo le notifiche dei social network;
  • Disabilitiamo le notifiche non fondamentali quando siamo in un contesto sociale (anche usando le applicazioni apposite);
  • Quando siamo vittime di phubbing, proviamo a riprendere la conversazione, a volte chi lo fa non se ne rende nemmeno conto;
  • Controlliamo il tempo di utilizzo quotidiano dello smartphone, spesso non corrisponde alle nostre aspettative;

 

 

Massimo Servadio

Psicoterapeuta sistemico-relazionale e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni

Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa e Psicologia della Sicurezza Lavorativa





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Rispondi Autore: giovanna strabla - likes: 0
20/04/2023 (08:08:41)
Articolo molto interessante ed attuale. Effettivamente capita sempre più di frequente e vanno costruite le corrette attenzioni per resistere: basta appunto la consapevolezza del problema.
Rispondi Autore: SARA ZANETTICHINI - likes: 0
20/04/2023 (18:00:29)
finalmente un articolo che evidenzia questo ingombrante e grossolano problema di comunicazione, educazione e distorsione cognitiva. PHUBBING. Non sapevo dare un nome ma l ho sempre considerato come una forte barriera concettuale ed emotiva Grazie Massimo Servadio per la condivisione dei suoi molto interessanti articoli ed interventi. SARA ZANETTICHINI

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