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Fattore umano: classificare gli errori e valutare l’affidabilità

Fattore umano: classificare gli errori e valutare l’affidabilità
Redazione

Autore: Redazione

Categoria: Rischio psicosociale e stress

11/10/2016

Una pubblicazione affronta il tema della gestione dell’elemento umano nelle organizzazioni per la salute e sicurezza sul lavoro. Focus su alcuni aspetti correlati all’elemento umano: fattore umano, errori, e studi sull’affidabilità umana.


Roma, 11 Ott – Nei mesi scorsi, anche attraverso idonee interviste, abbiamo affrontato e presentato un nuovo concetto, “l’elemento umano”, con riferimento alla “Gestione dell’Elemento Umano nelle organizzazioni per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro” (HMS-OHS: Human Management System for Occupational Health and Safety), un’integrazione funzionale agli SGSL partendo proprio dalla considerazione dell’ elemento umano e del suo impatto “organizzativo” sui rischi per la SSL a tutti i livelli di responsabilità.

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L'errore umano
A cura di James Reason, Traduzione di Oronzo Parlangeli

 

Per tornare a parlarne riprendiamo a sfogliare la pubblicazione della Contarp dell’ Inail - a cura di Paolo Clerici, Annalisa Guercio e Loredana Quaranta – dal titolo “ La gestione dell’elemento umano nelle organizzazioni per la salute e sicurezza sul lavoro”. Pubblicazione che sottolinea come l’espressione “elemento umano”, ideata dagli autori, comprenda, in questo contesto, “sia il significato di ‘fattore umano’, nel senso ergonomico, ossia legato alle interazioni tra uomo e ambiente di lavoro/macchine/ impianti/attrezzature, sia il significato di ‘risorse umane’ ossia relativo al personale dipendente che lavora in un’azienda”.

 

Per favorire la comprensione dei possibili benefici dell’approccio sistemico alla gestione dell’ elemento umano, la pubblicazione si sofferma in particolare su temi come “fattore umano”, “errore umano” e “affidabilità umana”.

 

Si è già ricordato che nel termine “fattore umano” sono inglobati molteplici aspetti correlati all’ergonomia, allo studio delle “interazioni tra essere umano e gli altri elementi di un sistema”.

E in relazione allo stretto “legame tra organizzazione e comportamento”, il fattore umano si riferisce a “quegli elementi quali lavoro, organizzazione e individuo che hanno influenza sul comportamento e dunque conseguenze sugli obiettivi dell’organizzazione”.

Si segnala, inoltre, che l’obiettivo primario dell’approccio “fattore umano” è il “miglioramento del livello di affidabilità dell’operatore, intendendo con tale termine la probabilità di portare a termine un’azione senza errori in un determinato tempo, e più in generale del sistema all’interno del quale il singolo lavoratore - elemento  umano - opera a tutti i livelli di responsabilità, tenendo conto della complessità di tutti gli elementi con i quali egli si deve interfacciare”. E l’errore umano può venire in questo caso inteso come uno squilibrio tra le componenti del sistema ‘uomo-macchina-ambiente’ che “provoca un abbassamento dell’affidabilità dell’intero sistema, anche se le singole componenti mantengono elevata affidabilità”.

 

Parliamo ora in particolare di “errore umano”.

Se la centralità dell’organizzazione è un “concetto ormai diffuso anche per comprendere le cause degli infortuni e degli incidenti”, tuttavia molti eventi gravi vengono frequentemente attribuiti ad “ errore umano”, inteso come “fallimento nell’esecuzione di un’azione”.

 

Come classificare gli errori umani?

Ad esempio considerando l’interazione tra pianificazione ed esecuzione, gli “errori umani possono essere classificati secondo il punto di vista dei processi mentali:

- errori di tipo skill based: “errori dovuti a disattenzione, che si presentano soprattutto nel caso di operatori che abbiano una buona esperienza nello specifico campo di lavoro, e che quindi nello svolgerlo ricadono in modalità di abitudine, diminuendo l’impegno mentale”;

- errori di tipo rule based: errori “riferibili ad applicazione di procedure corrette nel momento sbagliato, o a scelta di procedure non adeguate alla situazione”;

- errori di tipo knowledge based: errori dovuti a mancanza di conoscenze o alla loro non corretta applicazione, e quindi alla difficoltà di trovare le soluzioni ottimali.

 

Un’altra classificazione degli errori può far riferimento all’intenzionalità.  

Ad esempio gli errori dovuti a disattenzione (slips) o di conoscenza (lapses) “sono errori che scaturiscono da azioni involontarie, mentre gli errori basati sulle regole (mistakes) scaturiscono da una cosciente applicazione di una regola, che risulta non corretta per la situazione specifica. Tra gli errori umani sono comprese anche le ‘violazioni’, azioni intenzionali in violazione delle procedure, che possono avvenire eccezionalmente o costituire una routine. Queste azioni possono essere realizzate con lo scopo specifico di causare un danno, ma in molti casi sono scelte in buona fede per “migliorare” o “velocizzare” le procedure esistenti”.

 

Invece altri metodi classificano gli errori basandosi sulla “causa scatenante e sulle condizioni in cui l’errore si verifica”.

In tal senso - continua la pubblicazione Inail -  la componente umana “agisce in seguito a una non adeguata progettazione e gestione, inclusa la vigilanza e il controllo, della sua attività e, dunque, l’azione errata può essere intesa come una conseguenza di un ‘errore organizzativo’”.

Dunque gli errori possono anche essere classificati come:

- di tipo attivo, “risultanti da azioni degli operatori, più facili da riconoscere ed analizzare poiché immediatamente percepiti e facilmente individuabili (generalmente, slips, mistakes e violazioni)”;

- dovuti a fattori passivi, “dovuti a cause non  immediatamente presenti sul luogo dell’errore, che richiedono un’analisi molto più laboriosa per rintracciarne l’origine. Questa tipologia, infatti, viene denominata anche ‘errori latenti’ poiché associati ad attività distanti dal luogo e dal momento dell’incidente (attività manageriali, normative e organizzative), le cui conseguenze diventano evidenti solo quando si combinano con altri fattori in grado di rompere le difese (barriere) del sistema stesso o se non sono state poste barriere poiché il rischio è stato sottovalutato o non considerato”.

 

Dopo aver riportato indicazioni sui metodi per valutare le condizioni in cui si può verificare l’errore e sul sistema di analisi e valutazione dei fattori umani, si indica che l’azione finale, “il comportamento insicuro dell’attore ultimo, può trasformarsi in un effettivo incidente solo se a monte si sono verificati altri errori, che sono rimasti latenti e che hanno reso inefficaci o inesistenti le azioni di salvaguardia e le barriere. Le azioni insicure che portano all’incidente sono precedute, a livello immediatamente superiore, da sistemi o procedure di controllo non adeguati e, al vertice, da decisioni inadeguate della dirigenza che influenzano direttamente o indirettamente tutti i livelli sottostanti”.

 

Dunque l’incidente avviene “solo se tutta una serie di precondizioni si verificano, mentre molto più spesso si verificano errori che però vengono corretti dagli altri livelli di salvaguardia” e in questi casi si parla dei cosiddetti “ quasi incidenti”: “la loro rilevazione può essere un potente strumento per le eventuali condizioni di rischio”.

 

Si indica poi che lo studio dell’affidabilità umana, sviluppato per minimizzare l’evenienza di “comportamenti errati”, vuole evidenzia il “collegamento tra errori, latenti o decisionali e esecutivi, incidenti e comportamento”. Uno studio che, malgrado alcune criticità, risulta utile perché finalizzato alla valutazione di quei fattori interni (legati a caratteristiche individuali, sono correlati alle condizioni psico-fisiche) ed esterni (legati alle interazioni tra uomo e ambiente di lavoro/attrezzature/materiali e all’organizzazione del lavoro) che influenzano l’efficienza e l’affidabilità della performance del lavoratore.

 

Concludiamo ricordando che esistono tecniche di analisi che stimano l’affidabilità umana “attraverso la parametrizzazione di alcuni elementi relativi alle modalità con cui si svolge il lavoro”. Ne riportiamo alcuni:

- livello di adeguatezza dei compiti svolti dall’organizzazione;

- condizioni e caratteristiche fisiche dell’ambiente di lavoro;

- adeguatezza dell’interazione uomo-macchina e dei supporti operativi;

- fattibilità delle procedure e delle pianificazioni;

- quantità dei compiti contemporaneamente svolti dall’operatore;

- tempo a disposizione, grado di routine;

- idoneità dell’addestramento e della preparazione; caratteristiche personali dell’operatore: le abilità, l’esperienza, la motivazione e le aspettative;

- livello di collaborazione ed interazione del personale del reparto.

 

Rimandando alla lettura integrale del documento Inail, segnaliamo infine che gli autori si soffermano anche sullo stress lavoro correlato, sul contesto legislativo e sul rischio organizzativo.

 

 

Inail, “ La gestione dell’elemento umano nelle organizzazioni per la salute e sicurezza sul lavoro”, pubblicazione realizzata dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione (CONTARP) e a cura di Paolo Clerici, Annalisa Guercio e Loredana Quaranta, edizione 2016, pubblicazione maggio 2016 (formato PDF, 3.13 MB).

 

 

 

Vai all’area riservata agli abbonati dedicata a “ La gestione dell’elemento umano nelle organizzazioni”.

 

 

RTM



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