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La flessibilità organizzativa e la filosofia partecipata della sicurezza

La flessibilità organizzativa e la filosofia partecipata della sicurezza
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Quesiti sulla sicurezza

23/01/2017

Perché la sicurezza sul lavoro non sia un miraggio è importante comprendere la filosofia partecipata della prevenzione. La flessibilità organizzativa, la dimensione della partecipazione, la Corte di Cassazione e la comunicazione in materia di sicurezza.


Pesaro, 23 Gen –  La sicurezza sul lavoro “non è un miraggio, ma è la condizione a cui non può non puntare un’impresa che intenda definirsi tale alla luce di quanto stabilisce l’art. 41 della nostra vecchia ma inossidabile Costituzione: quello per cui l’intrapresa privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana”. Infatti è bene capire che, “grazie alla dimensione della partecipazione su cui si regge tutto l’assetto regolativo della prevenzione di cui al d.lgs. n. 81/2008, è possibile e non irrealistico adempiere l’obbligo di sicurezza”.



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A fare queste affermazioni è il prof. Paolo Pascucci – Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’ Università di Urbino Carlo Bo – invitato a riassumere e tirare le conclusioni del convegno “Modelli di rappresentanza e forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” - organizzato da OPRAM (Organismo Paritetico Regionale Artigianato Marche) e coordinato dallo stesso del prof. Pascucci  - che si è tenuto a Pesaro il 30 settembre 2016.

 

Il professor Pascucci nel suo intervento conclusivo si sofferma in particolare su alcuni aspetti della gestione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

 

Ad esempio ricorda che nel convegno si è parlato diffusamente delle questioni legate alla tutela della sicurezza sul lavoro relative ai lavoratori che operano mediante contratti di lavoro flessibili e si è evidenziato “come i rischi della flessibilità tipologica (vale a dire connessa al tipo di contratto di lavoro utilizzato) si aggiungano ai normali rischi insiti nell’oggetto della prestazione dedotta in contratto”.

Tuttavia non si deve limitare l’attenzione alla sola flessibilità tipologica, bensì “estenderla alla flessibilità organizzativa, vale a dire quella che, a prescindere dal tipo di contratto di lavoro utilizzato, incide sul modo di rendere la prestazione”. E questo in relazione ai nuovi scenari dell’economia globalizzata in cui “le imprese sono chiamate a competere in modo sempre più spasmodico” e in cui emerge il “bisogno di una crescente capacità di adattamento dei lavoratori ai quali si chiede di fare e di saper fare più cose. L’oggetto dell’obbligazione di lavoro dedotta in contratto tende così ad ampliarsi, non limitandosi alle mansioni previste dal contratto medesimo od a quelle equivalenti”.

 

La relazione fa riferimento, in questo senso, alla modifica dell’art. 2103 c.c. ad opera dell’art. 3 del Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81attuativo della delega contenuta nella l. n. 183/2014 (“Jobs Act”), dove “si è previsto, da un lato, che, in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incida sulla posizione del lavoratore, lo stesso possa essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale e, da un altro lato, che ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possano essere previste dai contratti collettivi. Si prevede inoltre che il mutamento di mansioni sia accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni”.

E balza agli occhi – continua la relazione - come la modificazione in pejus delle mansioni, che non riguarda solo i contratti tipologicamente flessibili, “rischi di evidenziare nuovi problemi per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori se non supportata da un’adeguata formazione. Il che, tuttavia, desta alcune perplessità se si considera che la nuova norma prevede sì l’assolvimento dell’obbligo formativo ove necessario, ma, nel contempo, in mancanza di tale assolvimento, lascia in essere la validità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni”. E c’è quindi da chiedersi “come possa ritenersi ragionevole che l’omessa formazione obbligatoria in materia di sicurezza”, benché penalmente sanzionata dal d.lgs. n. 81/2008 e che deve avvenire anche in occasione del cambiamento di mansioni, “non riverberi alcun effetto civilistico sulla validità dell’atto datoriale di assegnazione”.

 

Un altro aspetto del suo intervento, con riferimento alla “filosofia partecipata” della prevenzione che la direttiva quadro europea n. 391/1989 ha inaugurato, riguarda i “segnali che, finalmente, iniziano a cogliersi anche nel diritto vivente, vale a dire nelle pronunce della giurisprudenza, che inizia ad avvertire la portata delle innovazioni introdotte dal d.lgs. n. 81/2008”.

Ne sarebbe prova, ad esempio, una pronuncia della Cassazione penale ( Sez. IV, 10/02/2016, n. 8883) che, sulla scorta della natura “collaborativa” (cioè “partecipata”) dell’attuale sistema di prevenzione, afferma che ‘il datore di lavoro non ha più… un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, come in passato, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore’.

Una sentenza che, ad avviso del relatore, “lungi da significare che il datore di lavoro sia esonerato da qualsiasi responsabilità, può lasciare intendere che, ove lo stesso datore abbia adeguatamente provveduto a tutti gli adempimenti prevenzionistici e, in particolare, a fornire al lavoratore una adeguata formazione, nel senso pregnante con cui il legislatore la definisce nell’art. 2 del d.lgs. n. 81/2008, in caso di infortunio non potrà non tenersi nel debito conto l’effettivo comportamento del lavoratore al quale quell’adeguata formazione abbia fornito le necessarie competenze per svolgere in sicurezza le proprie mansioni”. E ciò può contribuire a “stemperare la rigidità di quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il datore di lavoro non risponde dell’infortunio solo in caso di un comportamento del tutto esorbitante o abnorme ed imprevedibile del lavoratore”.

 

La relazione conclusiva, che si sofferma anche sugli organismi paritetici e sul ruolo del RLST, si conclude affrontando il tema della comunicazione in materia di sicurezza sul lavoro.

Una comunicazione in cui “troppo spesso i messaggi sulla sicurezza sul lavoro hanno come eco di fondo il tintinnar di manette”. In cui “troppo spesso, anche in eventi pubblici di notevole rilievo culturale, si tende a convincere gli astanti sull’importanza della sicurezza sul lavoro con la minaccia delle sanzioni penali”.

Il messaggio secondo cui, “per quanto tu possa adoperarti, in caso di infortunio 99 volte su 100 il datore di lavoro sarà chiamato a risponderne” non solo “finisce per dar sostanzialmente ragione a chi sostiene che quella di cui all’art. 2087 c.c. è una responsabilità oggettiva – il che, però, non è vero” – ma anche scoraggia e disincentiva “chi voglia intraprendere azioni virtuose”.

 

Ed invece, come riportato in apertura di articolo, occorre sforzarsi di far capire che proprio grazie alla dimensione della partecipazione “è possibile e non irrealistico adempiere l’obbligo di sicurezza, facendo leva soprattutto su tutti quegli strumenti che il legislatore ha previsto per supportare l’azione delle imprese”. Un approccio che, “lungi dal liberare il datore di lavoro dalla sua primaria posizione di garanzia quale principale obbligato in merito alla sicurezza sul lavoro”, tuttavia può far sì che il datore di lavoro “esca dal solipsismo in cui le vecchie norme lo relegavano, affiancandogli nello stesso sistema aziendale di prevenzione una serie di soggetti (RSPP, ASPP, Medico competente, Lavoratori, RLS ecc.), i quali, ognuno con propri compiti, funzioni e/o prerogative, possono sostenerlo nella costruzione e nel miglioramento di detto sistema prevenzionistico”.

 

 

 

Intervento conclusivo delProf. Paolo Pascucci”,Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Urbino Carlo Bo – Presidente della Commissione tecnico-scientifica dell’Osservatorio Olympus, intervento al convegno “Modelli di rappresentanza e forme di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” (formato PDF, 138 kB).

 

 

Tiziano Menduto



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