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Dove va la giurisprudenza della Cassazione in materia di sicurezza?

Dove va la giurisprudenza della Cassazione in materia di sicurezza?
Tiziano Menduto

Autore: Tiziano Menduto

Categoria: Quesiti sulla sicurezza

25/01/2017

Un intervento, che si sofferma sul diritto penale e sulla sicurezza sul lavoro, cerca di comprendere dove va la giurisprudenza della Cassazione in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro. Alcune sentenze significative commentate.


Urbino, 25 Gen – Abbiamo compreso in questi anni di riflessioni sulle sentenze in materia di salute e sicurezza, come le strade della giurisprudenza, nel senso delle decisioni prese dai giudici nel risolvere una determinata controversia interpretando e applicando una norma giuridica, non siano spesso né semplici da seguire, né univoche nelle direzioni.
È perciò utile ogni tanto fermarsi e raccogliere informazioni per capire verso dove sta andando la giurisprudenza, a partire dalle sentenze della Corte suprema di Cassazione che costituiscono un importante criterio orientatore. 
 
 
E per farlo ci soffermiamo su un contributo ad un focus tematico (Sicurezza sul lavoro e responsabilità amministrativa delle persone giuridiche) al convegno di studi su «La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali» (Università di Urbino, 14 novembre 2014). Un contributo raccolto, insieme agli altri atti del convegno, nel Working Paper, pubblicato da Olympus nel mese di dicembre 2015, dal titolo “ La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali - Atti del Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014” e a cura di Piera Campanella e Paolo Pascucci (professori ordinari di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo).

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E dopo aver ricordato anche alcuni dati relativi a infortuni e malattie professionali - perché “ogni intervento normativo dovrebbe vivere la verifica dei fatti che esprimono un fenomeno deviante” - il contributo ripercorre brevemente alcune sentenze per “offrire un’idea di dove va la giurisprudenza della Cassazione in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro”.

 

Ne riprendiamo brevemente alcune, riportando anche i commenti del Prof. Bondi.

 

Sicurezza prima di economia”, come sostenuto dalla giurisprudenza penale in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro. Un’affermazione, secondo l’autore, “lontana dal mondo anglosassone e tutt’altro che scontata quando la crisi economica detta le agende dei governi come delle Unioni di Stati. Eppure in Italia ‘le esigenze economiche e produttive di un’impresa non possono in alcun modo ledere la vita e l’integrità fisica del prestatore di lavoro’ (Cass. pen., sez. IV, 9 aprile 2015, n. 20883).

Al di là della “prevalenza della sicurezza sulle economie necessarie per realizzarla”, viene ricordata anche “l’indicazione della misura adottata per giudicarle: la ‘massima sicurezza tecnologicamente possibile’ rilevabile con l’ordinaria diligenza. Vale a dire, uno standard che permetta di contenere le fonti di pericolo per i lavoratori adottando ‘nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per garantire la sicurezza dei lavoratori. [A questa regola] può farsi eccezione nella […] ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza’ (Cass. pen., sez. IV, 30 maggio 2013, n. 26247).

 

Nell’intervento si passa poi dalla “misura della condotta, attraverso il grado della tecnologia richiesta per prevenire l’infortunio”, ai soggetti chiamati a risponderne. “Il debitore principale della sicurezza sui luoghi di lavoro è il datore di lavoro, individuato dalla giurisprudenza come colui che è ‘soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’organizzazione dell’impresa, ha la responsabilità dell’impresa stessa ovvero dell’unità produttiva’ (Cass. pen., sez. III, 14 giugno 2012, n. 28410).

E per riconoscere il datore di lavoro, le corti si sono occupate di “poteri gestionali e autonomia di spesa attribuiti a presidenti del consiglio di amministrazione, direttori generali e amministratori vari. Ma non è sufficiente. La giurisprudenza armata di pena deve orientarsi col caso concreto, cercando conferma nei fatti delle disposizioni statutarie e degli organigrammi”. Il Prof. Bondi nel suo contributo, che vi invitiamo a leggere integralmente, ripropone un caso preso a modello, in cui il debitore principale della sicurezza sui luoghi di lavoro è individuato nel direttore generale, e affronta anche l’individuazione della figura del datore di lavoro nella pubblica amministrazione.

 

Un altro aspetto su cui la Corte di Cassazione si è soffermata spesso è la delega.

Il datore di lavoro “non può delegare ciò che lo Stato prescrive in una fattispecie penale determinando il soggetto responsabile della condotta. Semmai la delega può riguardare alcune funzioni cui, è vero, si collegano responsabilità. In questo senso, alla giurisprudenza piace parlare di trasferimento a terzi della posizione di garanzia. Sicché ‘in caso di una valida ed efficace delega di funzioni in materia di sicurezza, formalmente adottata ed espressamente accettata dal delegato, si verifica un trasferimento a terzi della posizione di garanzia gravante sul datore di lavoro circa gli obblighi in materia di prevenzione e di sorveglianza antinfortunistica’ (Cass. pen., sez. IV, 8 marzo 2012, n. 25535).

Tuttavia “rimane una sorta di responsabilità residua del vertice, ossia il datore di lavoro risponde fino alla prova contraria di una funzione delegata e delegabile. Il datore di lavoro, infatti, ‘quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro’ (Cass. pen., sez. IV, 21 ottobre 2014, n. 4361)”.

Il contributo si sofferma poi sulle funzioni indelegabili, sulla forma necessaria alla legittimità della delega di funzioni e ricorda che al datore di lavoro “ricade la responsabilità per chi nomina. Si prenda, ad esempio, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, una specie di ‘consulente del datore di lavoro […]. I risultati dei suoi studi ed elaborazioni sono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo è chiamato a rispondere delle eventuali negligenze del primo’ (Cass. pen., sez. IV, 3 giugno 2014, n. 38100).

 

Ricordando che il contributo si sofferma su sentenze significative su vari aspetti e ruoli in materia di sicurezza (costruttore, medico competente, appalti, responsabilità incrociate, terzi estranei, ...), veniamo al tema della responsabilità degli enti per fatti di reato.

 

In particolare viene proposta una sentenza, una “sentenza contestabile, perché fondata su un ragionamento formalistico, con preoccupazioni legislative lontane dai principi diritto penale”.

 

Infatti “in contrasto con diversa decisione (Cass. pen., sez. VI, 3 marzo 2004, n. 18941 Soc. Ribera), la Terza sezione penale della Cassazione afferma che ‘è indubbio che la disciplina dettata dal d.lgs. n. 231 del 2001, sia senz’altro applicabile alle società a responsabilità limitata c.d. “unipersonali”, così come sia notorio che molte imprese individuali spesso ricorrono a un’organizzazione interna complessa che prescinde dal sistematico intervento del titolare dell’impresa per la soluzione di determinate problematiche e che può spesso involgere la responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore ma che operano nell’interesse della stessa impresa individuale’ ( Cass. pen., sez. III, 15 dicembre 2010, n. 15657)”.

O, come riassume il Prof. Bondi, “siccome le imprese individuali possono essere non meno complesse di quelle ‘metaindividuali’, perché escluderle dalla disciplina aggiuntiva della responsabilità degli enti?  D’altronde, ‘una lettura costituzionalmente orientata della norma in esame dovrebbe indurre a conferire al disposto di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs., in parola una portata più ampia, tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai a un’implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma. Una loro esclusione potrebbe infatti porsi in conflitto con norme costituzionali – oltre che sotto il riferito aspetto della disparità di trattamento – anche in termini d’irragionevolezza del sistema’ (ibid.)”.

Dunque - continua il Prof. Bondi - alla Corte preoccupa “la disparità di trattamento perché si suppone che l’impresa individuale potrebbe essere simile a quella meta individuale”.

Ma “chiarito che il problema per la Terza sezione della Cassazione era il rinvio alla definizione d’imprenditore pur trattandosi di persona giuridica, si ritorna sul leit motiv ‘l’interpretazione in senso formalistico dell’incipit del d.lgs. n. 231 del 2001, così come esposto dalla ricorrente (che, a proposito degli enti collettivi, ha evocato il termine di soggetti “metaindividuali”) creerebbe il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse a una disparità di trattamento tra chi ricorre a forme semplici d’impresa e coloro che, per svolgere l’attività, ricorrono a strutture ben più complesse e articolate» (ibid.)”.  Insomma “non sia mai che la Cassazione permetta vuoti di tutela, con buona pace della tassativa applicazione della norma penale”. E “in nome di una definizione generica di ‘ente’, che non esclude di per sé l’impresa individuale, la s’include. Il tutto, il tanto, il troppo per rispondere all’esigenza – non penalistica – di evitare vuoti di tutela”.

 

Concludiamo dunque - estrapolato dal contributo che si sofferma e approfondisce vari aspetti del rapporto tra diritto penale e sicurezza sul lavoro - questo percorso attraverso le sentenze della Cassazione che mostra come la giurisprudenza si sia preoccupata di “definire le priorità tra sicurezza ed economia; di quantificare la tecnologia richiesta; d’identificare il datore di lavoro e i responsabili della sicurezza; di distinguere funzioni, deleghe e responsabilità connesse; di sommare responsabilità individuali con quelle dell’ente”.

 

 

Olympus - Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro, “ La sicurezza sul lavoro nella galassia delle società di capitali - Atti del Convegno di Studi - Urbino - 14 novembre 2014”, a cura di Piera Campanella e Paolo Pascucci - professori ordinari di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino Carlo Bo - Working Paper di Olympus 44/2015 inserito nel sito di Olympus il 31 dicembre 2015 (formato PDF, 2.56 MB).

 

 

 

Tiziano Menduto



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